Tematiche etico-sociali

Il grande ma vecchio scandalo dei “paradisi fiscali”

ombrellone dollariRoma, 7 aprile – Sul settimanale “L’Espresso” una grande inchiesta sui paradisi fiscali! Una colossale fuga di notizie. La più grande della storia della finanza internazionale. Milioni di pagine di documenti che raccontano quasi 40 anni di affari offshore.

Tutto parte dallo studio legale Mossack Fonseca, con base a Panama city, nel cuore di uno dei più efficienti e impenetrabili paradisi fiscali del mondo.

Grazie a un informatore, i giornalisti dell’Icij a cui partecipa l’Espresso in esclusiva per l’Italia, hanno avuto accesso a questo enorme archivio di carte segrete. Sulle stesse informazioni sono già al lavoro anche le autorità fiscali di diversi Paesi, tra cui la Germania e gli Stati Uniti. Mai prima d’ora una simile mole di dati finanziari riservati era stata messa, tutta insieme, a disposizione della pubblica opinione e degli investigatori. I numeri parlano da soli. Oltre 200 mila società, fondazioni, trust con sede in 21 paradisi fiscali sparsi per il mondo, dai Caraibi ai mini Stati del Pacifico, da Cipro fino al deserto del Nevada, negli Stati Uniti. E poi decine di migliaia di clienti, cittadini di 200 Paesi diversi, tra cui politici, uomini di spettacolo, imprenditori, sportivi.

I nomi degli italiani citati nell’archivio, sono circa 800. I file riguardano operazioni che vanno dal 1977 fino alla fine del 2015. E offrono un resoconto inedito sulla gestione di grandi flussi di denaro attraverso il sistema finanziario globale, soldi che a volte sono il frutto dell’evasione fiscale, della corruzione o anche del crimine organizzato. La maggior parte dei servizi offerti dall’industria dell’offshore è infatti perfettamente legale se usata nel rispetto delle leggi e dichiarata al Fisco. Ma i documenti esaminati dall’Icij mostrano che banche e studi legali non avrebbero seguito le norme che permettono di individuare i clienti coinvolti in attività illegali. Nei documenti compaiono società offshore che riconducono alla cerchia degli uomini più vicini al presidente russo Vladimir Putin. C’è il presidente ucraino Petro Poroshenko e pure il padre, deceduto nel 2010, del primo ministro britannico David Cameron, che in patria si è lanciato in una campagna politica contro l’evasione. Sin qui L’Espresso.

Aggiungiamo, però, nulla di nuovo sotto il sole! Abbiamo già recensito su questo giornale il libro di Nunzia Penelope “Caccia al tesoro“(Editore Ponte Alle Grazie – giugno 2014) che racconta i retroscena del colossale furto planetario dell’evasione fiscale, un bottino senza precedenti. Spicciolo più spicciolo meno, stiamo parlando di circa trentamila miliardi di dollari: il doppio della ricchezza prodotta ogni anno dagli Stati Uniti o dall’Europa, venti volte quella prodotta in Italia. Questa massa di denaro, sottratta alle casse di tutti i paesi, appartiene soprattutto a quattro soggetti: le grandi multinazionali, le banche, gli evasori fiscali e il crimine. Tutti, sia pure con modalità differenti, rappresentano i clienti ideali dei paradisi fiscali: un mondo parallelo le cui dimensioni non sono mai state calcolate, ma che si ritiene contenga oltre un terzo di tutta la ricchezza privata globale. Una ricchezza esentasse che produce reddito a sua volta non tassato. E basterebbe questo per spiegare il successo crescente del sistema definito offshore: letteralmente “in mare aperto”, tecnicamente “servizi finanziari a non residenti”, in sostanza porti franchi privi di controlli… Nessun Paese infatti è vergine: Londra è considerata la capitale mondiale dei ricchi ma anche del riciclaggio… l’America di Barak Obama ha in casa il Delaware, uno dei più blindati paradisi del mondo. Quanto all’Europa, non c’è nemmeno bisogno di viaggiare fino alle isole Cayman: basta rivolgersi all’Irlanda, all’Olanda, al Lussemburgo, per trovare accoglienza ai capitali  in fuga dal fisco… Questa la sintesi stringata del libro di Nunzia Penelope.

Venendo all’Italia, dopo l’inchiesta “Mani Pulite” (iniziata il 17 febbraio 1992), il cui volume di affari illeciti fu quantificato dai vari processi in 630 mila miliardi di lire, ritenuto però un decimo della tragica realtà, con i grandi scandali che hanno cadenza quasi quotidiana, vediamo che il malaffare è diventato regola, implementato e agevolato da leggi morbide come anche da condoni e scudi che legalizzano l’evasione e il riciclaggio da parte del malaffare.

Come abbiamo già scritto su questo giornale, non tutti sanno che la metà di quello che guadagnamo, annualmente, costituisce ciò che lo Stato italiano preleva ai contribuenti (per bene) e che abbiamo il non invidiabile primato del prelievo fiscale più alto in Europa; però tutti sanno, per diretto riscontro, che i servizi offerti dallo Stato e pagati con le tasse sono quasi sempre molto scadenti, per cui si è costretti a reperire e comprare gli stessi servizi dal mercato privato, mettendo così due, se non tre volte, la mano al portafoglio!

Molti altri, ancora, non hanno contezza che la nostra pressione fiscale è superiore di oltre cinque punti percentuali rispetto a quella della Germania. Ad arricchire tale vergognoso quadro, ben sette condoni dal 1973, uno ogni quattro anni. A questo si aggiunge anche la perla dello Scudo Fiscale attuato ben tre volte, con leggi del 2001, 2003 e 2009. Perché si chiama Scudo? Semplice, perché  è una protezione contro il fisco rapace e le pretese esose dello Stato rapinatore nei confronti del “povero” evasore. Si condona, secondo la Legge, chi ha portato quattrini all’estero, sia lecitamente guadagnati, sia non. Bene, come fare? Basta rivolgersi ad un intermediario, quale una banca, una società di intermediazione, di gestione del risparmio, un agente di cambio etc.  L’evasore, quindi, consegna all’intermediario i suoi soldi provento di reato (perché è reato esportare clandestinamente soldi all’estero) e riceve, in cambio, una dichiarazione riservata senza nome  o altre informazioni utili alla sua identificazione,  che viene comunicata al fisco al quale viene corrisposto appena il cinque per cento prelevato dal conto del cliente-evasore.

Concludendo, una soluzione ci sarebbe, in primis per l’Italia, e poi per tutti gli Stati interessati al nuovo scandalo dei paradisi fiscali, cioè l’obbligo per i cittadini di indicare nella dichiarazione dei redditi qualsiasi rapporto bancario, non solo sui conti, ma anche su valute, cassette di sicurezza, depositi,  e titoli ovunque detenuti, anche alle Cayman o in Svizzera o altri lontani siti, dove sappiamo galleggiano molte migliaia di miliardi di dollari ed euro che andrebbero subito tassati del 100 per cento.

Il tutto, ovviamente, normato con previsione di adeguate sanzioni penali. Non c’è tempo da perdere!

Del direttore:

vorremmo aggiungere che rientra nell’esportazione di capitale all’estero,  anche la valuta inviata fuori  dai cosiddetti “lavoratori stranieri”, sottraendo così beni all’Italia ed aumentando il benessere dei loro Paesi di provenienza.

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