Spettacolo

Teatro Quirino – Il Gabbiano di Cechov per la regia di Giancarlo Sepe con Massimo Ranieri e Caterina Vertova.

Fantasmi di memorie e desideri

Roma, 21 marzo 2019 – “Il Gabbiano”, uno dei capisaldi della cultura drammaturgica mondiale, ritrova vitalità al Teatro Quirino nell’allestimento di Giancarlo Sepe. Si tratta di una lettura del tutto nuova, che, a prima vista, rivoluziona l’opera di Anton Cechov cambiando l’angolo prospettico degli eventi.
In realtà è un coup de théâtre che il creativo regista adotta, un artificio, di cui dà immediatamente al pubblico una chiave di lettura con la specificazione da “Il Gabbiano di Cechov” e il sottotitolo “à ma mère” in locandina.
Ma i topoi principali di Cechov, il tempo e la memoria, e la vita che di essi si ciba fra un presente che non realizza se stesso e un futuro vago e imprecisato nei suoi lontani confini insondabili, sono scrupolosamente rispettati dall’operazione di scavo e majeutica, che approfondisce il testo per scoprirne i segreti più celati e, portatili alla luce, ricostruire con essi la vicenda. Sepe addirittura gioca con il tempo, entra con i personaggi in questo immaginario specchio di Alice e mescola i piani cronologici, così la scena si apre con un redivivo Kostja che dall’età matura dell’eclettico e bravissimo Massimo Ranieri si impadronisce di una impossibile materialità, per rievocare un fantasma, il fantasma di se stesso giovane, morto suicida (che è indossato nella finzione scenica da Francesco Jacopo Provenzano), interpretandone il fascio indistinto di desideri di affermazione, di sensibilità, di amore fatto di bisogni verso la figura materna, da cui invano aspetta una consacrazione artistica. Ad uno ad uno tutti i fantasmi, i “miti” della vicenda entrano in palcoscenico dalle quinte nere (create come i costumi da Uberto Bettacca), si illuminano, arricchiti di significazioni. Vengono a rappresentarsi, mentre il giovane Cechov ricorrendo all’artificio del meta-teatro , il teatro nel teatro, strizza l’occhio all’Amleto di Shakespeare, di cui riprende il rapporto di amore e odio fra madre e figlio, con Irina e Kostja che ne citano alcuni brani del I° Atto.
In questo percorso simbolico arricchito da allegorie Kostja viene ad incarnare la tragedia dell’esistenza incapace di donare quelle certezze rassicuranti di un cammino giunto a meta. Risposte d’amore chieste senza voce a sua madre, Irina Arcadina, che ha la potenza interpretativa di Caterina Vertova. Irina è elegante e svagata, melodrammatica e teatrale come si conviene ad una diva, ossessionata da se stessa, dal proprio amore per il romanziere Trigorin ( calibrato sui mezzi espressivi di Pino Tufillaro).
L’amore è un altro dei “miti” di quest’opera così ricca di sfumature: un amore perverso che corre sempre su binari non paralleli; così la giovane e innocente Nina (dolcissima Federica Stefanelli nel ruolo) che vive nella simbologia del gabbiano, felice di planare sulla libertà delle acque, tutta proiettata verso il bisogno di salire sul palcoscenico a rappresentarsi, si lascia catturare dal fascino di Trigorin, che non disdegna il suo fervore, ignorando l’amore di Kostja, il quale è amato non corrisposto da Mascia (Martina Grilli a proprio agio nel ruolo), figlia dell’amministratore della tenuta. Una girandola di sentimenti che non trovano soddisfazione. Tutti poi sono come trascinati dal vento impetuoso dell’arte, con Irina e Trigorin rimasti ancorati a vecchie formulazioni estetiche, mentre Nina vive i propri aneliti come mezzo per accedere alla libertà espressiva di un palcoscenico.
Nello spettacolo di Sepe l’attenzione al tempo è visibile anche nella scelta di far interpretare con la voce di Massimo Ranieri che irride il passare degli anni brani come “Avec le temps” di Leo Ferré, “Je suis malade” di Serge Lama, la dolente “Hier encore” di Aznavour, “Et maintenant” di Gilbert Bécaud, poi “La foule” di Cabral portata al successo da Edith Piaf, o ancora “La chanson des vieux amants” di Jacques Brel, un repertorio peraltro già affrontato dal nostro artista con grande successo e qui intimamente intessuto nella trama narrativa e rievocativa della regia di Sepe.

 

 

 

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