Spettacolo

Teatro Quirino – I Malavoglia di Giovanni Verga, capolavoro del Verismo

quirino malavoglia ferroRoma, 12 novembre 2016 – Il Teatro Quirino ospita il capolavoro di Giovanni Verga, i Malavoglia, romanzo del 1871, allora trasposto per la scena da Ghigo de Chiara e interpretato da Turi Ferro a cento anni dalla sua pubblicazione, e oggi riportato sul palco e curato nella regia da Guglielmo Ferro, figlio del grande attore, con un nutrito gruppo di bravi e affiatati attori capeggiati dal protagonista Enrico Guarneri, attore di grande espressività, capace di giocare sulle corde più diverse, sempre puntuale, qui impegnato anche a costruire il tempo che passa sull’andatura del vecchio Padron ‘Ntoni sempre più stanco, sempre più consapevole della fine imminente, particolarmente in vena a trascinare gli altri personaggi nella visione fatalistica dell’universo dei vinti, nella dimensione di rassegnata accettazione di una realtà negativa nella quale imperano le ingiustizie, sociali e naturali come le tempeste marine che distruggono le barche e mandano a fondo vite umane.

Il romanzo, che consacrò una corrente letteraria, il Verismo, destinata ad andare lontano, che con il nome di Naturalismo e poche differenze si installò in Francia, dove prese il nome di Naturalismo, costituiva la prima tappa del ciclo “I Vinti” che avrebbe dovuto estendersi in altre quattro opere, Mastro Don Gesualdo, La Duchessa di Leyra, l’onorevole Scipioni e L’Uomo di Lusso.

Non era semplice riuscire ad adattare il respiro narrativo del romanzo ai ritmi, ai tempi, alle sfumature di un testo per il Teatro. Si trattava di fare risaltare due caratteri essenziali, l’onnipresente respiro corale e il sentimento del mare: mare amaro che ti dà e prende e spesso lo fa contemporaneamente. E soprattutto si trattava di riproporre le appoggiature dialettali, il linguaggio popolare dei pescatori di Acitrezza. Un linguaggio farcito di proverbi che costellano i momenti e le occasione della giornata con la certezza di valori arcaici, in un clima di predestinazione e di rassegnata accettazione della lotta costante per la sopravvivenza incuneata nelle tradizioni più radicate, rivoluzionati poi di colpo dai tempi della storia che aveva introdotto forzatamente il germe della modernità e una nuova visione della vita. Siamo nel pieno di quell’”ideale dell’ostrica” e del suo tenace attaccamento allo scoglio, indispensabile alla propria sopravvivenza. Del pari solo la coraggiosa accettazione di una vita sia pure di stenti, illuminata dalla religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la circondano può distruggere le speranze di chi lascia il proprio ambiente per curiosità, per migliorare la propria condizione o per esplorare altri luoghi (vaghezza dell’ignoto) finendo inevitabilmente con l’essere divorata dal mondo.

Al centro di questa messinscena c’è la vita della famiglia Toscano, ovunque intesa come Malavoglia, del loro rapporto drammatico con la storia e con il mare La storia impone di adeguarsi a leggi incomprensibili come quella che sottrae forze giovani e vigorose al lavoro e li catapulta in un mondo lontano che corrompe per cinque lunghi anni, quelli della naja, sradicandoli per sempre e restituendoli alle famiglie patriarcali dalle quali provengono con bisogni e valori sconosciuti prima.

Così accade che ‘Ntoni, nipote di Padron ‘Ntoni sia costretto a partire, vittima della violenza sociale impersonata dalle leggi piemontesi, perseguendo incomprensibili mete non sue e aliene al mondo di pescatori dal quale proviene, Scelte altre che lo costringono a privare “La Provvidenza” (il peschereccio che assicura il sostentamento della sua famiglia) delle sue forti braccia e questo quando già il mare si è preso Bastianazzo suo padre e il colera ha falcidiato la madre, Maruzza, la longa. Nella casa del Nespolo con il nonno restano gli altri fratelli, fra cui Luca, imbarcato poi su una nave in guerra, e destinato a morire nella battaglia di Lissa.

Ma ormai la disgrazia sembra avere imparato perfettamente l’indirizzo di casa dei Malavoglia: il carico di lupini che Padron ‘Ntoni ha comprato a credito si perde in mare, lasciando dietro di sé un debito che costringe a vendere la casa di famiglia. La piccola Lia, travolta da uno scandalo, fugge di casa e finisce col diventare una prostituta. La dolce Mena è costretta a rinunciare al matrimonio con l’amato “compare” Alfio, per non infangarne l’onore. ‘Ntoni, corrotto dalla vita di città, ritornato ad Acitrezza non riesce più ad integrarsi nel mondo ristretto della propria famiglia e del villaggio. Le sue ambizioni di attingere ad una realtà diversa vengono vanificate, quando frequentando cattive compagnie si dà al contrabbando e finisce in galera. L’unico a sottrarsi alla fatalità, alla predestinazione, alla sconfitta sembra Alessi che riesce a riscattare la casa del Nespolo. Ma è troppo tardi, la sua famiglia è distrutta senza scampo.

Guglielmo Ferro ha costruito uno spettacolo corale con ben quindici attori, ai quale è dato singolarmente modo di emergere dal gruppo, lasciando in piedi l’espressività di un linguaggio che racconta una visione del mondo ancorata ai valori ancestrali di famiglia e ai doveri ad essa connessi, di una società che si basa sul rispetto della parola data, alla tragicità di una condizione inappellabile.

E tuttavia non mancano i momenti umoristici sottolineati in modo brillante ma a fil di penna dal regista. Il tutto è narrato sulla scena bellissima di Salvo Manciagli, che ha un elemento centrale forte, una zattera, ispirata al quadro di Géricault, la Medusa, con una vela, che separa i momenti e i diversi ambienti, permettendo nella convenzione teatrale, di assumere tutti i topoi della rappresentazione.

In scena con Guarneri anche un cast brillante: Ileana Rigano, Rosario Minardi, Vitalba Andrea, Francesca Ferro, Vincenzo Volo, Rosario Marco Amato, Pietro Barbaro, Nadia De Luca, Ciccio Abela, Giovanni Arezzo, Giovanni Fontanarossa, Verdiana Barbagallo, Gianni Sinatra e Gianmaria Aprile. Tutti sono vestiti dai costumi di Dora Argento.

 

 

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