Cultura

Pennallate di Ferragosto

chitarra giovani franzina 2015Un pomeriggio più giovane di un’ora

Roma, 13 agosto –  La stanza è bianca, abbagliante. Si fa fatica a scoprirvi gli oggetti, che pure ci sono. Persino le persone, raccolte immobili davanti al sottile televisore argenteo, diventano parte dell’ambiente, quasi indistinguibili, abbacinate e silenziose. Un’attenzione concentrata li tiene ad occhi spalancati, senza battiti di ciglia. Fanno pensare a massaie imbambolate dall’atmosfera di un supermercato con troppi richiami.

Le tende sono aperte. Il cielo biancastro per la gran calura entra liberamente e fascia di cotone ogni cantuccio della stanza. E nella stanza ci sono due giovani in jeans e una donna con una gran massa di capelli rossi riccioluti, magra, acciambellata come un gatto su un tappeto di pelo sintetico. Ma non suda.

….Sono ore calde. Il pomeriggio, da troppi anni si sveglia più giovane di un’ora: da quando fanno spostare avanti gli orologi per carpire sessanta minuti di sole in più.

    Il televisore grugnisce suoni che somigliano alla musica. Ha un luccichio discontinuo, linee trasversali e, persi i colori per il capriccio del regista, mostra un’infinità di variazioni in tinta, in grigio. Agli angoli del video, punte luminosissime, bianche e arcobaleno. Una voce metallica, senza inflessioni ripete incessante. “I cannot”.

….La casa è in corso Italia, si affaccia sulla Rinascente, una via popolosa, piena di movimento, luci intermittenti della pubblicità. Ad ogni ora del giorno si sente il sibilo dei freni degli autobus, prima di imboccare il tunnel, da lontano arriva nel cielo compiacente e terso la campanella cantilenante di un tram. E lo scalpiccio della folla su e giù per i marciapiedi, rapidi a sfruttare la sfera verde del semaforo per tentare l’avventura dell’attraversamento pedonale. Vigili, nel silenzio e nel caldo, di vigili neanche l’ombra. Non è inconsueto sentire l’Oh prolungato di molte voci fuse assieme per un incidente nel quale un pedone lento, confuso e stordito, si trova per un momento al centro della curiosità dei passanti.

    Nella stanza, il televisore acceso, ricorda che ancora pochi minuti e poi il collegamento…

    La donna dai capelli rossi si stira sul divano bianco. Estrae un lungo ricciolo dalle confusione della permanente e lo allunga, lo liscia, se lo avvolge lungo le dita, isolandolo completamente e dandogli quasi vita autonoma. Poi con un moto veloce lo sistema accuratamente dove crede debba essere il suo posto. Ne estrae ancora uno e ripete con la stessa cura, oziosa e monotona, lo stesso gesto.

    I due ragazzi in jeans si snodano da invisibili spire con tale lentezza che sembrano immobili. Hanno cosce secche, ossute, ma spalle muscolose. Sulla faccia di bambini cresciuti in fretta, una peluria biondiccia, striata, comincia ad adombrare le guance. Sembrano gemelli, tanto sono simili. I capelli cortissimi, con una ciocca lasciata a pendere sulle spalle, intrecciata con perline di vetro colorato, simile ad un crotalo corallino.

    Nella via,ora è silenzio. L’ultimo sibilo gassoso di un aereo, alto nel cielo, s’è fuso nel calore intorno. E ogni cosa s’è lasciata andare ad una immobilità che sa di morte. La città, addormentata e solitaria, è una vescica inerte: I semafori programmati a regolare il flusso dei veicoli, di gente, continuano nel loro gioco di alternanze dei tre colori, con la stessa ottusa meccanicità inesorabile, angosciante.

    Un cane passa guaendo spaesato, forse ha fame. Annusa e grufola tra i fogli di carta raccolti attorno alla vetrina del grande magazzino d’angolo. È anacronistico, quel cane, e fuori posto. La cerca è infruttuosa, spreme gocce d’orina, come un filo d’Arianna, a marcarsi il cammino del ritorno, s’affaccia all’angolo della via. Ancora silenzio, solitudine. La città è vuota e muta. Il cane scompare senz’ombra.

    Non ci sono più passeri. L’ultimo nidificò dieci anni fa. Poi se ne persero le tracce. E il ricordo.

    La ragazza magra ha una sottana a fiorellini provenzali, di cotone. Ha grosse pieghe che si gonfiano e l’ingoffano. Da sotto il viluppo del tessuto escono due gambette gracili, senza polpaccio e i piedi simili a rametti autunnali. Certo, la ragazza respira, ma il seno piatto non trattiene l’aria. Ha occhi grandi e un grande naso. Forse non è bella, ma ha il fascino stilizzato e patetico di un fiore di papiro. Alza la testa a cercare con lo sguardo i due giovani in jeans. Sembra sul punto di chiedere qualcosa, forse una sigaretta. È da un po’ che ha voglia di fumare. Rinunzia, torna alla posizione di prima, a sfiorare il tappeto con dita leggere.

    Non viste, nel cielo si vanno addensando nuvole. Il cielo si fa opaco e il grigio diffuso ha luminescenze afose.

    Il televisore ripete lamentosamente:”I cannot”.

    La donna dai capelli rossi lustra con un dito inumidito di saliva lo smalto fluo delle unghie dei piedi. Lo fa accuratamente, come tutto quello che fa per sé, per la propria bellezza, nella quale crede senza remissione: gli occhi verdini, rivestiti di ciglia lunghe e folte, si volgono socchiusi intorno. Sembra cercare ispirazione per rompere il silenzio, ma se ne stanca presto, vinta dal caldo, dall’atmosfera stagnante come il tettuccio di fumo cilestrino della sigaretta che ha appena spento. Si mordicchia le labbra, le vela di saliva per farle risplendere, la lingua asciutta solleva una pellicina secca: sa di essere bella, comunque, con quei capelli spalmati di fuoco. Nessuno nella stanza fa caso alla sua pelle ambrata e al fascino che sa di sprigionare.

    Una foglia di geranio, malata, cade con un tonfo leggero sul pavimento bianco e nero, a grandi quadri. Nel nero si annidano fiocchi di polvere. Di tanto in tanto, una bava di vento li raggiunge, li solleva come petali. Sul pavimento a scacchiera le persone riunite sono pezzi in attesa di una mano che li sposti, anche solo per una prima mossa.

    I ragazzi in jeans hanno allungato le gambe, si urtano, senza scusarsi.

    Ora, ferragosto è tutto una nuvola. S’ingigantisce un rumore come di aereo a reazione, lascia un’eco di brontolii sempre più sordi. Il televisore ha uno scricchiolio insolito. Sembra un lamento.

    Nella stanza entrano le prime ombre. Il divano s’esalta nel suo candore. Una pianta verde messa in un angolo ritrova le sue tre dimensioni. Tutto è ancora immobile, ma un brivido sottile pervade ogni cosa.

    I ragazzi in jeans si alzano. Uno si dirige alla finestra, sbadigliando. Due passi, ma già fili di pioggia tessono rughe nell’aria.

…La donna dai capelli rossi si solleva pigra, si dirige verso il fondo della stanza. E, sulla parete, si ferma a guardare lo specchio. Intinge l’indice sulla lingua e lo passa sulle ciglia. Si conferma soddisfatta con un tentennio della testa.

    La pioggia cade dritta, squadra angoli perfetti con i palazzi allineati.

    La ragazza raccoglie le gambe sotto la veste, si alza leggera. La penombra leviga i tratti del suo viso, rimodellandoli. È dolce, esile, elastica. La gonna sfiora il pavimento, sveglia fiorellini provenzali sul tappeto bianco.

    L’altro ragazzo in jeans stacca una chitarra dal chiodo, suona un motivo lamentoso su poche note, l’accompagna con mugolii.

    La donna dai capelli rossi si sporge dalla finestra, non scopre tracce umane e impreca.

    Ora sono tutti attorno alla chitarra. La ragazza spegne il televisore.

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