Spettacolo

Teatro Argentina – ‘Non ti pago’ di Eduardo De Filippo

teatro NonTiPago(Foto Filippo Manzini)

La svista di  un fantasma distratto

Tra riso e pianto nell’esitazione umoristica, tra la farsa che si nutre di tutte le convenzioni della risata più epidermica e una feroce ironia che racconta una società in  trasformazione ancorata  ad uno scricchiolante ideale di famiglia piramidale con il padre capo indiscutibile e onorato nelle sue più bislacche pretese di comando: così si può sintetizzare “Non ti pago” , commedia di Eduardo, messa in scena per la prima volta dalla compagnia “Teatro Umoristico I De Filippo”, l’8 dicembre 1940 al Teatro Quirino di Roma con lo stesso autore nella parte di Ferdinando Quagliuolo, il fratello Peppino che impersona l’antagonista Mario Bertolini (che nelle prime versioni si chiamava Procopio) e Titina, la moglie di don Ferdinando.
Oggi, è il Teatro Argentina ad ospitarla, nella regia tradizionale ed accurata di Luca De Filippo, con Carolina Rosi, che ha preso il posto di capocomico del marito e ne prosegue il percorso con grande dedizione nel personaggio di Concetta, Gianfelice Imparato, che ricopre onorevolmente il ruolo di Luca e Massimo De Matteo che dà corpo al personaggio di Bartolini.
 Tra la ricca produzione eduardiana, distinta in ‘ Cantata dei giorni pari ’ e ‘ Cantata dei giorni dispari’,  ‘Non ti pago’  è una commedia sulla valenza dei sogni, sul loro profetismo, sulle superstizioni, sulle credenze popolari che  si colloca perfettamente a mezzo. Catalogata come ‘Cantata dei giorni dispari’ , dal 1971, lo stesso Eduardo per la tematica trattata e la cronologia della sua ideazione volle che fosse inserita nella raccolta ‘Cantata dei giorni pari’. La commedia è anche l’illustrazione di un incaponimento, di una impuntatura.
Perché è sacrosanto: don Ferdinando Quagliuolo,  che ha ereditato la gestione di un banco lotto dopo la morte del padre, non può accettare quel Mario Bertolini, spregevole ragazzo di bottega, che ha l’aureola di una fortuna sfacciata e immeritata; ed è  vero altresì che quei numeri per la più folle e improbabile quaterna , 1, 2, 3, 4,  che frutta ben 4.000.000 di vincita sono stati dati da suo padre in sogno al giovanotto, forse perché la buonanima s’era confusa, credendo di ritrovare nella vecchia casa il figlio, là dove invece viveva ormai il giovanotto; ed è maledettamente vero che lui, accanito giocatore jellato, consuma tutti i guadagni alla ricerca di numeri vincenti collezionando delusioni e speranze.
Che vita quella a casa Quagliuolo! Apparentemente serena e tranquilla, ma nella realtà piena di umori in ebollizione che cercano l’occasione per esplodere, una casa dove don Ferdinando vuole mettere il naso dovunque, fino a presiedere alle operazioni più femminili, come imbottigliare la conserva di pomodoro per l’inverno. Solo in suo aiuto accetta il fido Aglietiello. Dispotico e accidioso, don Ferdinando si sente messo irrimediabilmente all’angolo quando scopre i traccheggi sotterranei fra la moglie Concetta, la figlia Stella e Mario Bertolini, tutti protesi a realizzare il sogno d’amore fra i due giovani, le cui modalità lo escludono, anzi si sviluppano senza che gli sia stato richiesto preventivamente alcun permesso.
Ed ora la ricevuta della vincita, della quale don Ferdinando rivendica la proprietà, dopo aver ‘catturato’ il biglietto. E visto che i mezzi della persuasione non  risolvono il problema, eccolo pronto a chiamare in tutela l’avv. Strumillo (Giovanni Allocca), ma, incompreso dalle leggi umani, eccolo rivolgersi anche a quelle divine, impersonate dal parroco don Raffaele (Gianni Cannavacciuolo). Ma tutti considerano le sue giuste rivendicazioni, pretese inaccettabili. Messo alle strette, don Ferdinando dopo aver tentato di spaventare Mario centrandolo con la bocca di una pistola, che ritiene scarica, gli consegna il biglietto sventagliandogli un corredo   di maledizioni, lanciate come pallottole esplosive,  invocando ogni tipo di incidente e disgrazia davanti al ritratto della buonanima pavesato da  lumini, candeline e fiori di carta sotto quel cielo corrusco traversato da nuvole che sembrano umane tanto partecipano dell’azione, le stesse che don Ferdinando e Aglietiello cercano di interpretare per trarre numeri da giocare sulle ruote del lotto, un cielo che d’improvviso si accende di saette e di tuoni strombazzanti come se tutti i diavoloni dell’Oltretomba venissero a discutere i fatti loro nel salotto Quagliuolo. Le maledizioni dovranno volgere la loro micidiale potenza tutta su Mario, offrendogli un repertorio di cadute accidentali, la perdita dell’impiego, e morti malefiche, persino quella del cane dei vicini che vengono a  chiedergliene conto e soddisfazione. Poi è tutta una corsa dove la farsa insegue se stessa trovando tempi comici che il tempo sembra non appannare. Perché il caso si diverte a giocare a nascondino con gli eventi e quella pistola che ha sparato a vuoto, quel colpo che non è arrivato a segno, hanno fatto tardivamente comprendere i rischi corsi:  un bell’ergastolo  per don Ferdinando mentre Mario era destinato a sorvolare con ali eterne il mondo delle beghe. La potenza dell’anatema ha colpito poderosamente. Bertolini, ancora sotto shock per aver rischiato la vita, deve costatarne i drammatici effetti  che gli impediscono materialmente di ritirare la vincita. Ormai malconcio nel fisico e nello spirito, il giovane cede su tutta la linea e  legittima  le pretese di don Ferdinando consegnando il tagliando vincente.  Così avviene il trapasso e la farsa torna ad impadronirsi della commedia e questa di quel sentimentalismo tenero che fa colpo sulla emotività del pubblico.   Ci si avvia ora verso il finale con il sapore dolce dell’happy end in bocca solo mitigato da un retrogusto amaro. Sul palco incorniciato dai numeri della ‘ Smorfia’ illustrata, gli attori assai affiatati si muovono sulle direttive di una regia classica e tradizionale, firmata da Luca De Filippo,  dove si avverte nella gestualità, nelle inflessioni dialettali rese comprensibili per il pubblico anche non partenopeo, lo sforzo di mantenere una certa autonomia rispetto alla messa in scena di Eduardo, davvero straordinario e memorabile interprete di don  Ferdinando. La compagnia molto affiatata ha il suo punto di forza in bravissimi caratteristi non di maniera, forti nella tradizione espressiva napoletana, fra i quali spiccano Carmen Annibale, la figlia Stella, ragazza che già sente i venti della ribellione spirare nella sua vita, Nicola Di Pinto, Aglietiello, che  aiuta don Ferdinando  a preparare le conserve di salsa di pomodoro e che sa assecondare le sue manie  di ‘smorfiare’ tutto quanto lo circonda, una spiritosa e allegra camerierina, Viola Forestiero, e poi Paola Fulciniti, Federico Altamura e Andrea Cioffi. La compagnia si     muove nelle scene essenziali e gradevoli di Gianmaurizio Fercioni, dove accanto ad un tavolo pronto per la riconciliazione più classica campeggia il salotto di casa Quagliuolo. Curati e in linea con l’epoca della narrazione i costumi di Silvia Polidori. Le musiche di Nicola Piovani sono deliziosamente d’ambiente.

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