Spettacolo

Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Sir John Gardiner per la prima volta con l’Orchestra si cimenta in Berlioz e Dvořák.Viola solista Antoine Tamestit

Il Carnevale Romano e altri diletti

Roma, 16.03.2019 – Se il successo e l’ eccellenza si dovessero giudicare dal volume degli applausi e dagli entusiastici consensi del pubblico, allora Sir John Gardiner potrebbe adornare di un alloro in più la sua fama, qui alla Sala Grande del Parco della Musica, in questo spettacolo settimanale dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, dove per la prima volta nella sua brillante carriera ha alzato la bacchetta.
Sir John è già molto noto anche in Italia per i suoi concerti con Ensemble di musica barocca, illuminati da scelte esecutive di raffinata eleganza, oltre che per la vasta discografia. Qui, a Roma, propone nel centocinquantesimo anniversario della morte, un programma imperniato su Hector Berlioz, uno dei suoi autori favoriti, con due brani che incorniciano la Settima Sinfonia di Dvorak.
Apertura con “Le Carnaval romain”, omaggio alla città di Roma dove è possibile leggere lo spirito di una città gioiosa e popolaresca, dove gli accenti euforici dei giorni di festa si raccontano nel saltarello, nel ritmo dei tamburelli, perfettamente distinguibili malgrado l’ebbrezza vertiginosa del tessuto orchestrale – Berlioz fu il compositore delle partiture lussureggianti affidate alla grande orchestra sinfonica -. Era il milieu della città capitolina ad essere immortalato, quello che Berlioz aveva conosciuto direttamente come pensionnaire di Villa Medici, essendo vincitore del Prix de Rome, che lo sconvolgeva per i suoi “giorni grassi”: “grassi di fango, grassi di belletto, di visi dipinti, di feccia di vino, di linguaggio osceno, di ragazze di strada, di delatori ubriachi, di ignobili maschere, di cavalli sfiniti, di imbecilli che ridono, di sciocchi che ammirano, di sfaticati che si annoiano”. Il brano, eseguito per la prima volta il 3 febbraio del 1844, in realtà era già stato presentato come seconda ouverture del “Benvenuto Cellini”, suo capolavoro lirico, ma si adattava perfettamente a rievocare lo spirito della più grande festa pagana.
L’omaggio a Berlioz si completa con l’”Harold en Italie”, una sinfonia “a programma”, ovvero sottesa da un testo letterario, da un personaggio , da una idea poetica, da un’immagine. Ma qui, nell’”Harold”, il compositore va oltre: crea due blocchi, con grande effetto teatrale, da un lato il personaggio Harold che vive musicalmente dei suoni di una viola e la rappresentazione degli eventi e dei luoghi che lo circondano, affidata alla grande orchestra.
Nel programma ceciliano, l’Harold/viola ha il suono purissimo ed elegante del solista Antoine Tamestit, che entra in scena accompagnato dagli accordi impareggiabili dell’arpa. Interprete in senso pieno, Tamestif, perché è riuscito non solo a rendere musicalmente il personaggio ma con pochi accorgimenti, entrando in palcoscenico ad es. con passi esitanti e come attonito di fronte agli eventi che racconta l’orchestra, ha reso valenza drammaturgica al suo intervento, lasciando percepire le impressioni di “Harold fra i monti. Scene di malinconia, di felicità, e di gioia” del primo movimento; la processione liturgica dei pellegrini diretti al Divino Amore, subito seguita nel Terzo Movimento dalla “Serenata di un montanaro d’Abruzzo – durante il soggiorno romano il compositore si recava a piedi in quella regione armato di un archibugio e di una chitarra, dormendo nelle grotte o nelle edicole delle Madonne sparse nel territorio – , fino “all’orgia dei briganti” con l’orchestra scatenata e i musicisti che suonano in piedi il brano mentre la viola si sposta lungo l’arco dell’orchestra schierata, esce fuori dal palco per poi rientrarvi per le poche battute del finale, contribuendo con il suo andare alla spazializzazione dei suoni con effetti già pensati da Berlioz, maestro anche in questa tecnica esecutiva, che, ad esempio aveva voluto che il solista si esibisse dando le spalle al podio.
A completare il programma, la Settima Sinfonia di Dvořák poco apprezzata dalla critica all’epoca della sua composizione, il 1884, che ascoltava un’opera dotta e “seriosa” priva di quegli echi del folklore slavo che avevano reso famoso il musicista ceco. Ma, sotto la bacchetta di Gardiner, il pubblico ha potuto amarne le sonorità piene, i ritmi vivaci e coinvolgenti,quei ricordi lontani beethoveniani e brahmsiani, i temi vigorosi e incisivi che seguono le movenze di danza dello ”scherzo” : il tutto scandito dalla grande chiarezza interpretativa, dalla maestria incontrastabile di Gardiner che hanno offerto il loro contributo alla resa incondizionata degli ascoltatori all’entusiasmo per la magnifica esibizione della nostra maggiore orchestra sinfonica.

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