Tematiche etico-sociali

Ancora sul caso del grande Pasolini.. morto di verità…

Roma, 26 marzo 2019 – Su “Il Fatto Quotidiano” di lunedì 25 marzo, un interessante articolo di Simona Zecchi sull’ omicidio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto la notte fra il 1° e il 2 novembre 1975… “”L’omicidio Del Poeta.. Nel fascicolo archiviato nel 2015, c’è un’immagine dell’uomo d’affari (Flavio Carboni), mostrata a un teste dell’Idroscalo che non l’ha riconosciuto. Una nota Sismi parla dei suoi rapporti con Abbruciati, boss della Magliana.. Mentre l’unico processo ha visto condannato il solo Giuseppe Pelosi nel ‘79. Pelosi che, allora 17enne, non sarebbe stato in grado di massacrare da solo lo scrittore. La foto di Carboni, con i suoi dati personali, spunta all’interno di un album allegato a un verbale del 28 aprile 2011.
Nel verbale, un uomo sentito su quanto apprese de relato da un testimone diretto della notte del delitto all’Idroscalo di Ostia, riferisce un’altra dinamica dell’omicidio. Anche lui sostiene che ci fossero più macchine e più persone sulla scena del crimine quella notte mentre si consumava la mattanza. Fatti questi, diversi da quelli suggellati dalla verità processuale ma confermati nel 2011 anche dai figli del pescatore Ennio Salvitti che allora viveva in una delle baracche di via dell’Idroscalo. La Procura non ha tuttavia creduto alle dichiarazioni che hanno ricostruito questa dinamica.
È bene chiarire che la persona interrogata dagli inquirenti nel 2011, sentita anche dal ‘Fatto’, non riconosce in Carboni l’uomo di cui parlava il testimone diretto nel verbale, anzi indica un’altra persona. Impossibile saperne di più dalla Procura dove l’indagine era condotta dal pm Francesco Minisci che ha chiesto l’archiviazione disposta nel 2015.
Un investigatore di allora, conferma l’interesse per Carboni, un uomo, ricorda, “entrato in ogni scandalo italiano”, ma non ha potuto o saputo ricordare il motivo per cui tra le foto del fascicolo ci fosse anche quella del discusso imprenditore.
Carboni nega anche qualsiasi rapporto con esponenti dell’estrema destra. Tuttavia dalle carte allegate alla relazione della Commissione d’inchiesta sulla P2, salta fuori un appunto del Sismi (oggi Aise), datato 24 luglio 1982, che invece riferisce di rapporti diretti fra Abbruciati e Carboni. In particolare di “assegni di Carboni in favore di Abbruciati emessi dalla Cassa di Risparmio di Roma, agenzia 11 di Via Appia”. Non è chiaro quando. Carboni, in relazione all’inchiesta sul delitto Pasolini, ci ha poi detto: “Il collegamento con me lo si spiega solo dalla mia conoscenza con Diotallevi”. Ma l’imprenditore afferma di non sapere se questo possa avere incidenza sull’omicidio Pasolini, con il quale dichiara comunque di non aver nulla a che fare. Ad entrare nelle ultime indagini della Procura sull’omicidio dell’Idroscalo è poi un altro nome legato al clan dei tre marsigliesi: Antonio Pinna, di origine sarda, scomparso il 16 febbraio 1976 e il cui corpo non è mai stato trovato. Su Pinna e il suo ruolo nei sequestri con i marsigliesi, ha indagato il magistrato Ferdinando Imposimato: carte acquisite nell’inchiesta sulla morte dello scrittore. Carboni sostiene di non conoscere Pinna, che entra nel caso per via del possesso di un’auto uguale a quella del poeta, ma di diverso colore: un’Alfa GT 2000. “Abbiamo fatto quello che i colleghi di un tempo non avevano fatto”, riferisce uno degli inquirenti. Tra tutti i segreti e le ombre ancora da svelare dell’Italia di quegli anni, una cosa è però certa: sul feroce omicidio di Pier Paolo Pasolini c’è ancora molto da fare….””
Sin qui il “Fatto Quotidiano”…
Ora nostre integrazioni, per materia ritenuta ancora avvincente, anche per i più giovani, che amano il grande innovativo scrittore…
Al riguardo, sul caso Pasolini, Simona Zecchi ha fatto un gran lavoro di ricerca nel volume “Pasolini, massacro di un poeta” (Ponte alle Grazie editore, settembre 2015), un libro da leggere con interesse, nel quale sono state pubblicate foto e altri documenti inediti.
Quarant’anni dopo, l’autrice ha compiuto un’analisi approfondita delle carte processuali dell’omicidio Pasolini, avvenuto il 2 novembre 1975, rovistando per tre anni negli archivi di mezza Italia, avvicinando alcuni testimoni ancora in vita.
Al riguardo va detto che (pag.33) “…per molti anni, l’idea che Pasolini, con i suoi gusti e le sue abitudini private, possa aver perso la vita per motivi diversi dal suo orientamento sessuale e dal modo in cui viveva la sua omosessualità non ha minimamente attraversato la testa e smosso la penna di molti degli intellettuali e dei giornalisti…”. Una delle piste investigative seguite dagli inquirenti nell’inchiesta è quella del furto, avvenuto nell’estate 1975, delle bobine del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (pag. 53), finito di girare da Pasolini poco prima di essere ammazzato. Pista importante perché l’omicidio potrebbe essere collegato proprio alla restituzione del materiale rubato. Gli investigatori sono riusciti a individuare l’intermediario che, secondo il regista Sergio Citti, collaboratore e amico di Pasolini, avrebbe messo in contatto lo scrittore e un gruppo di persone che avevano effettuato il furto. Questo intermediario, indicato da Citti come “Sergio P.”, ha ammesso di aver parlato con lui del recupero dei negativi, senza però fornire altri elementi sugli autori del furto e sulle altre persone coinvolte. Uno degli elementi investigativi più interessanti emersi dalle nuove indagini avviate nel 2010 dalla Procura di Roma (e terminate nel 2015), è stata la testimonianza di un ex ragazzo di borgata, ora pittore, Silvio Parrello. Questi ha riferito alla Procura le confìdenze ricevute da alcuni conoscenti. Gli inquirenti sono così risaliti a queste persone che, stando a Parrello, sapevano della presenza all’Idroscalo, la notte fra il 1 e il 2 novembre 1975, di un enigmatico personaggio, Antonio Pinna, giunto sul posto con un’Alfa Gt 2000 identica a quella di Pasolini (come sopra citato da “Il Fatto Quotidiano”). Il Pinna, come scritto, era scomparso nel febbraio del 1976 e nel 1988 il Tribunale civile di Roma ne aveva decretato la “morte presunta”. Pinna, comunque, non era un personaggio qualunque; faceva parte della banda di Jacques Berenguer, il marsigliese che nella Capitale negli anni Settanta commise reati gravissimi e sequestri di persona. Nella richiesta di archiviazione emergono le reticenze degli informatori di Parrello, uno dei quali, sottoposto a ulteriori interrogatori, non solo ha ammesso il contenuto dei colloqui avuti con il pittore, ma ha anche fatto riferimento ad altri autori dell’omicidio tuttora in vita. Ancora, le analisi del Dna sui 5 profili genetici individuati dal Ris di Roma (da pag.87), effettuate sui reperti rinvenuti sulla scena del delitto, non hanno infatti consentito di identificare altre presenze.
Secondo l’autrice, i killer sono un manipolo di fascisti che hanno usato catene, tondini di ferro, forse bastoni, una fragile tavoletta di legno già spezzata prima dell’aggressione con su scritto l’indirizzo delle baracche. Le fotografie non lasciano spazio a dubbi; un “rito tribale” di un commando nero. In base a quanto acquisito, due automobili similari (Alfa Romeo 2000 GT) hanno sormontato il corpo di Pasolini, sul quale sono stati rinvenuti i segni del battistrada di motociclette come sul terreno. Pasolini non doveva uscire vivo dal massacro, per questo ognuno degli intervenuti era funzionale nel suo ruolo.
Altro filone d’indagine che andrebbe approfondito è quello relativo a Marcello Dell’ Utri, ex Parlamentare di Forza Italia. Entra nell’inchiesta per alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa nel marzo 2010 a proposito della scomparsa di un capitolo di “Petrolio”, ultima fatica incompiuta del poeta uscita postuma nel 1992. Dell’Utri aveva fatto intendere che la morte di Pasolini era da collegarsi a quella del Presidente dell’Eni Enrico Mattei (addirittura…incredibili dictu!! Nda), il cui aereo, precipitato il 27 ottobre del 1962 a Bascapè, secondo le indagini era stato oggetto di un attentato. “Una persona di circa 60 anni – ha confermato ai Magistrati l’ex Senatore – mi aveva avvicinato dicendomi di essere in possesso di importanti documenti relativi a Pier Paolo Pasolini e che si trattava del capitolo di “Petrolio”, che era stato trafugato e dunque mai pubblicato (pag. 191). Dell’Utri, sentito dalla Procura di Roma nel 2011(da pag.201), aveva ridimensionato però il tenore e la valenza di ciò che aveva precedentemente affermato: “In buona sostanza –scrivono i PM nella richiesta di archiviazione – l’escusso ha modificato la versione resa alla stampa, fatta, per sua stessa ammissione, per ragioni pubblicitarie”. Concludono i Magistrati: “Il tenore delle dichiarazioni rese da Dell’Utri, pertanto, nell’impossibilità di svolgere ulteriori riscontri, non ha offerto alcuno spunto investigativo percorribile e utile dal punto di vista giudiziario”. Interessanti i contatti del Poeta con esponenti dell’eversione nera. Tra questi, figurano il Prof. Aldo Semerari, noto psichiatra criminale ed esponente del neo fascismo rivoluzionario di quegli anni, nominato (da pag.139) tra i periti di parte nel processo Pasolini,
Anche le dichiarazioni di Laudovino De Sanctis (pag 148) soprannominato “Lallo lo Zoppo”, tra i maggiori boss della delinquenza organizzata della Capitale (noto per il sequestro e l’uccisione dell’industriale del caffè Palombini) il quale, in un’intervista pubblicata per la prima volta, sostiene che “…quella sera ce stava tutta Roma lì, tutta la Roma criminale e violenta, agli ordini non so di chi, ma se ce stava Sergio (Placidi) è stata ‘na storia strana. Se sapeva nell’ambiente delle bobbine e che gli avessero chiesti due miliardi, e Pasolini non ce li aveva; quella sera gli avrà portato ‘na milionata pe’ chiude …ma volevano de più…..Ma secondo me non è stato ammazzato pe’ soldi….credo che quel deficiente de Pelosi non sapesse nulla….Pasolini è stato ammazzato perché dava fastidio….”. Ad oltre quarant’anni, alla domanda perché è stato ucciso Pasolini, è ora possibile rispondere: per la forza delle sue parole, non per quello che aveva scritto ma per quello che avrebbe potuto continuare ancora a scrivere. Però quarant’anni non sono bastati per arrivare alla verità.
Possiamo concludere affermando che davvero si può morire di verità!

Su chi è Flavio Carboni, invece, dobbiamo affidarci alla lettura dell’interessante libro di Mario Almerighi, Magistrato, autore del libro “La Borsa Di Calvi” (Chiarelettere Editore, gennaio 2015), che consiglio di leggere, è stato Giudice Istruttore a Roma e ha seguito l’istruttoria del processo a carico di Flavio Carboni (e altri) per il reato di ricettazione della borsa del banchiere, il Presidente del Banco Ambrosiano, trovato morto, impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra, nel 1982. Scrive l’autore: “Quando (da pag.5) ho deciso di scrivere un libro sul caso Calvi….ho pensato al ruolo centrale della famosa borsa di Calvi che sparì misteriosamente la notte della sua morte. Sì, perché in quella borsa erano contenute proprio le testimonianze degli inconfessabili intrecci tra poteri legali e illegali; delle commistioni tra mafia ed esponenti istituzionali; dei rapporti tra il banchiere, la P2, il Vaticano e la criminalità organizzata: tutte verità non rivelate, risalenti a ben prima della morte del Capo dell’Ambrosiano, che era mio dovere far conoscere. Sono convinto che la ricostruzione…svelerà gli aspetti più impensabili di un corpo paragonabile a quello di un mostro…come dimostrano le vicende P3 e P4 e la recente inchiesta di Mafia Capitale”.
Quindi, i documenti usati dal Carboni per un complesso ricatto nei confronti del Vaticano, diventano una pagina spaventosa che fa ritenere il tutto apparentemente inverosimile per l’enormità dei contenuti anche se il tutto risponde ad amara verità, ovviamente difficile da metabolizzare…certamente per i più! Insomma, uno dei maggiori misteri italiani, se si vuol dare dignità di mistero a una sporca pagina della storia italiana dove si interconnettono ambiti certamente opposti come ” Il Diavolo e l’Acqua Santa…”.
Certamente, una storia di potere lurido, violento, un potere estraneo alla morale, al senso comune e alla legge. Un potere velenoso se non verminoso del quale fanno parte mafia, Vaticano, P2, che si collegano e a un certo punto si combattono. Un potere in cui signoreggia il dio denaro. Leggiamo, tra l’altro, che Papa Wojtyla, o chi per lui, con i soldi della mafia riciclati dallo stesso Calvi e Marcinkus, finanziava Solidanosc’ a sostegno della sua battaglia democratica contro il regime totalitario del comunismo russo come anche le dittature centro e sud americane, iniziando da quella Argentina e nicaraguense. Da una copia di lettera di Calvi acquisita nel corso delle indagini, il banchiere infatti sostiene (pag.32):”…Grazie a questi interventi oggi la Chiesa può vantare una autorevole presenza in paesi come l’Argentina, la Colombia, il Perù, il Nicaragua…Mi siano restituiti i mille milioni di dollari che per espressa volontà del Vaticano, ho devoluto in favore di Solidarnosc’…..(e) che io sia lasciato in pace da Silvestrini, Casaroli (Cardinali autorevoli), Marcinkus e Mennini (IOR)…”.Tra i personaggi maggiori della tragica vicenda, il capo dei criminali italiani, Giulio Lena che ha legami con la banda della Magliana e dirige il traffico di droga che dal Libano si espande in Italia e in America nonché quello delle importazioni dal Nord Africa…Nel corso di perquisizione nella sua abitazione viene rinvenuta una microcassetta che registra una conversazione tra Lena e un eminente Prelato (Cardinale?) molto confidenziale sul tema di soldi…ma c’è qualcosa di più sconvolgente..due lettere indirizzate all’On.Andreotti e al Cardinale Casaroli…(pag 12). Ancora, a pag.21, leggiamo: “Uno dei primi documenti contenuti nella borsa di Calvi che sottopongo a sequestro (scrive Almerighi, quale Giudice Istruttore) è una lettera che riguarda il banchiere e Francesco Pazienza, un faccendiere targato P2, frequentatore di Servizi più o meno segreti e caporioni della massoneria…Così Calvi scrive al “fratello” massone Armando Corona (Capo della Massoneria) chiedendo aiuto (pag.22): “….credo sia sufficiente farle notare che la massa di denaro che mi è stata sottratta da questo individuo (Pazienza) e dalla sua banda ha superato i 20 miliardi di lire…Potrei scrivere intere pagine indicando nomi e situazioni da far paura….” In quelle lettere viene fuori l’immagine di un Calvi disperato, che voleva usare tutti i suoi documenti e le sue carte come ricatto nei confronti del Vaticano che, dopo averlo strumentalizzato, lo stava abbandonando (la Banca per il suo indebitamento era prossima alla bancarotta e Calvi stesso nel 1981 era stato condannato in primo grado) tanto da affermare: “La politica dello struzzo, l’assurda negligenza, l’ostinata intransigenza e non pochi altri atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano mi danno la certezza che Sua Santità sia poco e male informata di tutto” (dalla lettera del 5 giugno 1982, pochi giorni prima della morte, a Papa Giovanni Paolo II). Quindi si erge la figura di Flavio Carboni, presentato a Calvi da Balducci, grande usuraio-cassiere della Banda della Magliana, che lo segue nei suoi ultimi mesi, fino all’ultimo viaggio a Londra; viaggio che Almerighi ricostruisce fino all’ultimo dettaglio.
Eppure, proprio nel periodo più acuto della crisi finanziaria del gruppo….Calvi elargisce ben 19 milioni di dollari a Flavio Carboni (pag.150)…”Ma la mungitura di Roberto Calvi (pag 152) non finisce qui…Altri 15 milioni di dollari fuoriescono dal Banco Ambrosiano…”.
Nel rapporto della Guardia di Finanza del 27 giugno 1990, si legge: “È pacifico che tra i moventi dell’omicidio (di Calvi) vi fu la mancata restituzione di ingenti somme a Cosa Nostra…….(per cui possiamo) ritenere che siano rientrate nelle casse di Pippo Calò. Diversamente è assai probabile che Flavio Carboni avrebbe fatto la stessa fine di Calvi”.
L’8 aprile 1997 il GIP Almerighi emette ordinanza di custodia cautelare a carico di Carboni e Giuseppe (Pippo) Calò per l’omicidio Calvi, confermata dal Tribunale del Riesame e dalla Cassazione (pag. 266). Dopo varie vicende processuali diverse e contrastanti, il 17 novembre 2011 la suprema Corte conferma l’assoluzione, diventando definitiva.
Ora, a completamento, una nota finale su Flavio Carboni e sulle sue più recenti imprese come si legge sulla stampa. Si può affermare che è stato coinvolto nelle più scottanti vicende della politica nazionale; si comincia dall’inchiesta sugli appalti per l’energia eolica in Sardegna che vede coinvolti il Presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci e il coordinatore PdL Denis Verdini, il tutto sembra con riunioni alla presenza del Senatore Marcello Dell’Utri…per passare alle pressioni ai Giudici della Corte Costituzionale per un parere positivo sul Lodo Alfano pro Silvio Berlusconi, con riunioni private con Verdini, Dell’Utri, il Sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo e Magistrati. Avrebbe, infine, agito per sostenere la riammissione nella lista del Pdl del candidato di centrodestra per le elezioni regionali in Lombardia del 2010 Roberto Formigoni, tentando anche di supportare il Parlamentare berlusconiano Nicola Cosentino (indagato per camorra-casalese) come candidato Governatore della Campania.
Sin qui la lettura del libro di Mario Almerighi, “La Borsa Di Calvi”.
Ora considerazioni finali
La speranza, dopo aver appreso di tali eventi così nefandi per costume, morale e dispregio della Legge, pur nel rispetto di quanto deciso dall’ A.G., indipendentemente dai “Peana” (canti che venivano intonati dagli Spartani quando andavano all’attacco del nemico) della nostrana vacua politica dei proclami, è quella che la gente, e soprattutto i più giovani, trovino la forza e le energie per rigenerarsi, autonomamente, creando un nuovo umanesimo, attingendo al sapere e all’esperienza degli Avi, soprattutto se provenienti dal mondo del duro lavoro delle braccia e delle professioni, veri Maestri di vita… Altrimenti non c’è futuro!
Solo la nostra storia passata ci può salvare!

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