Tematiche etico-sociali

Antonio Pappalardo, un “siciliano sui generis”

Antonio PappalardoParlare oggi di Antonio Pappalardo, Generale dei Carabinieri in ausiliaria, è affare complicato e nello stesso tempo assai oneroso per la complessità del personaggio, molto criticato e avversato da parte di un certo potere.

Ferdinando Galiani, detto l’abbate Galiani, economista del 1700, irritato a chi lo accusava di patteggiare, rispondeva secco: je ne suis pour rien, je suis puor qu’on ne dèrraissone. Traduco, per me, così: io non sono pro questo o quello, sono contro le sciocchezze. L’ho conosciuto quando da Presidente del COCER dei Carabinieri, uno pseudo sindacato, nel 1989 fece tremare i vertici delle Istituzioni militari e di polizia, ma soprattutto la casta politica. Mi sono sempre posto nei suoi confronti in maniera critica, rimproverandogli la sua ‘cocciutaggine’ nell’affrontare i problemi. Un genioide votato ai grandi sistemi , ma dal minore senso pratico. Egli è stato, è e sarà ancora, nonostante l’età oramai non più giovane, un uomo scomodo, un carabiniere scomodo, un politico scomodo. La casta ha sempre cercato di emarginalo, isolarlo, calunniarlo. Egli, con veemenza, ha sempre replicato: “… io sono come un tappo di sughero che una mano invisibile e ignota si ostina a tenermi sotto l’acqua del mare, nel profondo degli abissi, ma, alla fine, questa mano si stancherà e il sughero schizzerà fuori, con tutta la sua forza, verso il cielo, il sole, i colori ”. Antonio Pappalardo è nato in uno dei quartieri più tormentati di Palermo, l’Alberghiera. Non di certo in uno dei palazzi di viale Libertà, di puro stile liberty, dove sono nati e cresciuti alcuni personaggi della Palermo bene, baroni e feudatari, che negli anni si sono dati alla politica nazionale e regionale. E sappiamo con quali risultati! Figlio di un Brigadiere dei Carabinieri – che, tornato nel 1945 dal campo di sterminio di Buchenwald, perché aveva rifiutato di collaborare con nazisti e fascisti, si era trovato a svolgere il suo servizio nella dura lotta contro il banditismo in Sicilia – nacque subito dopo la fine della guerra, in pieno clima democratico. Lasciò la sua Sicilia, dove non c’era lavoro, e si arruolò nell’Arma, dove fino al grado di Tenente Colonnello fece silenziosamente il suo dovere, contro il terrorismo, la criminalità organizzata, ma soprattutto stando sempre vicino alla gente. Pappalardo uomo scomodo. Una sera, mentre stavamo tutti riuniti a parlare del malessere dei Carabinieri, ci raccontò due episodi, che stanno a dimostrare quanto per lui fosse importante operare vicino alla popolazione che soffre. Mentre comandava la Compagnia Carabinieri di San Marco Argentano, in provincia di Cosenza, accadde che nevicò in quelle zone, come non era mai avvenuto. I paesi rimasero del tutto bloccati. Fu in quel momento che giunse una richiesta di soccorso: in una località vicina, una donna aveva abortito e stava perdendo sangue. Occorreva intervenire subito. L’elicottero non si poteva alzare in volo, il medico diceva che non era possibile andare in quel paese, perché sarebbero arrivati troppo tardi, ma Pappalardo si mise contro tutti: bisognava fare comunque un tentativo. Prese una campagnola, con quattro carabinieri e il medico a bordo, cominciarono a spalare neve. Arrivarono sul posto a tarda sera, mentre il medico diceva che era inutile tutta quella fatica. Entrato nella camera, dove giaceva a letto quella donna, il medico, dopo un difficile intervento, bloccò l’emorragia. Sempre a San Marco Argentano gli capitò che un giorno ricevette una telefonata dal Questore di Cosenza: doveva sgomberare con 100 carabinieri un cantiere, in cui si stava costruendo una diga, occupato dagli abitanti del Comune di Roggiano Gravina. Pappalardo obbedì e giunse sul posto. Fermò i Carabinieri a 100 metri e scese solo lui a parlare con i dimostranti, che gli spiegarono il motivo della loro protesta. Era da venti anni che i politici del luogo avevano promesso loro che, con la costruzione di quella diga, ci sarebbe stato lavoro per tanta gente. Invece, la ditta del Nord si era portata i suoi operai. Pappalardo, nonostante le continue telefonate del Questore che voleva l’immediato sgombero, colloquiò con i dimostranti, gli ingegneri e i politici del luogo per oltre quindici giorni in lunghe estenuanti trattative. Rimase molte notti a bivaccare insieme ai dimostranti, prendendo il caffè con loro. Alla fine la vinse. Alcuni abitanti di Roggiano Gravina vennero assunti. Un giorno, il Sindaco di quel paese ricordò i fatti di quattro anni prima e gli confidò che, quando lui venne con 100 carabinieri, così giovane, ebbe paura. Lui, il giovane capitano, fu molto più saggio di tutti e mise tutti d’accordo. Pappalardo carabiniere scomodo. Divenuto Presidente del COCER nel 1988, si accorse che i Carabinieri, tanto amati dal popolo italiano, erano calpestati nei loro diritti da molti loro ufficiali e dai politici, che li temevano, perché essi erano inesorabili nell’indagarli e nel mandarli in galera. Scrisse il famoso libro “Sullo stato del morale e del benessere del personale”, che apparve sui giornali per quindici giorni, in cui si parlava delle condizioni dei Carabinieri e che fece tremare l’allora Presidente della Repubblica Cossiga, che temette che i Carabinieri scegliessero di stare con la gente, invece che con il potere. Maria Teresa Portoghese, nell’introduzione del libro “Lettere al colonello Pappalardo” così scrive di lui: “ … ha rischiato molto, ma ha avuto dietro di sé tanti uomini per i quali egli è divenuto un simbolo, una bandiera; il coraggio di uno suscita il coraggio di molti. Mi sono commossa di fronte a tante anime messe a nudo con disarmante sincerità e affetto. Ho provato una grande tenerezza per ogni scritto: storie di uomini non capiti e maltrattati, che finalmente parlano liberamente”. E’ stato antesignano per aver introdotto delle novità nel mondo della Benemerita, tanto da essere incompreso e mal tollerato dai vertici dell’Istituzione: “ … non ti perdoneremo mai il fatto che hai svegliato le coscienze del popolino dei carabinieri!” sentenziavano i generaloni. Eppure aveva difeso con amore viscerale e profondo l’Arma dei Carabinieri da un intervento esterno, sicuramente umiliante ed emarginante. Il quotidiano “La Repubblica”, l’08 febbraio 1991, così titolava: “Obbediamo senza tacere più e mille carabinieri applaudono”. Quando il tenente colonnello Antonio Pappalardo, presidente del Cocer, ha ricordato il motto dell’Arma: “Usi obbedir tacendo e tacendo morir”, nell’aula è calato un silenzio pieno di rispetto e d’orgoglio. “Quanto al morire – ha continuato il Pappalardo – non c’è problema: noi siamo stati sempre pronti a farlo, servendo la comunità come nessun altro funzionario dello Stato. Invece, per quanto riguarda il tacere, è venuto il momento di cambiare tendenza”. E’ esploso un applauso prolungato, uno sfogo liberatorio, i mille sottufficiali si sono levati in piedi, alcuni hanno cominciato a scandire il nome del presidente del Cocer. Pappalardo un politico scomodo.

Nel 1999 tornò al COCER e pubblicò il famoso documento “Sullo stato del morale e del benessere dei cittadini ”, che fece andare in bestia la casta, perché Pappalardo dichiarò che il malessere dei Carabinieri dipendeva dal malessere generale del Popolo italiano. Qualche ben pensante gridò al colpo di stato, al quale non credette nessuno, né tantomeno la magistratura che archiviò tutto. Ma egli aveva affermato una grande verità: la gente non stava bene e quel regime non poteva durare troppo. Ciò che è accaduto nei nostri giorni. Da neo Sottosegretario alle Finanze, nel 1992, ebbe a dire: “ … scoverò i patrimoni illeciti dei politici corrotti, anche in Australia! ”. Fu un suicidio, l’affermazione gli procurò l’odio di alcuni parlamentari, che gli organizzarono delle trappole per estrometterlo dalla vita politica. Oggi, Pappalardo sembra essere diventato anche un siciliano scomodo. Nel 2004, mentre era a casa, gli giunse la telefonata di un Cardinale. Lo invitava a comporre un’opera per celebrare i 500 anni della Basilica di San Pietro: doveva rifare in note ciò che Michelangelo aveva fatto in pietra 500 anni prima. Pappalardo è un compositore musicale, un pittore, uno scrittore, uno storico. E qui mi fermo, perché qualcuno l’ha definito un “genio rinascimentale”. Quell’alto prelato gli aveva affidato una bella responsabilità! Alla fine, l’opera “Petros enì ”, per soli coro e orchestra, fu eseguita nella Basilica. Solo Mozart e Beethoven vi erano entrati. Nessun altro. Nemo propheta in patria (sua) , in Sicilia non lo sanno e vanno appresso ad artisti che vengono da fuori. Cosa se ne fanno i siciliani di un siciliano che ha osato entrare in quei luoghi sacri laddove hanno suonato Mozart e Beethoven? Ai posteri l’ardua sentenza! Pappalardo che oggi si è svicolato dalla camicia di forza rappresentata dall’uniforme, si è sciolto dai lacci e lacciuoli di norme disciplinari e regolamentari che ne hanno sempre soffocato e frenato la genialità, si è dedicato a pieno titolo, anima e corpo, alla sua amata terra natia. Ho sentito che qualche sicilianista, che si dichiara puro, quando ha capito che Pappalardo, il Carabiniere, lo sbirro, si stava interessando della sua Sicilia e desidera trasformarla in Isola della Pace, Giardino ecologico e Centro Culturale del Mediterraneo con la vena artistica di giovani talenti, ha arricciato il naso e si è dichiarato inorridito. Con i Carabinieri, che escono fuori dalle loro caserme, dove sono stati rinchiusi per secoli, questo capita spesso. Costoro vanno elogiati solo ai funerali di Stato, se poi osano occuparsi, con senso del dovere, della res pubblicae o di attività sociali e culturali, invadono campi non di loro pertinenza, e allora l’intellighenzia nostrana grida allo scandalo. Non tutti sanno che il famoso Saint-Simon, considerato precursore del socialismo, grande assertore dei diritti dell’uomo e del lavoratore, era un Colonnello dell’Esercito di sua Maestà il Re di Francia, ancor prima che scoppiasse la rivoluzione francese. Non tutti sanno che gli Indipendentisti di Finocchiaro Aprile si allearono con baroni e famiglie benestanti, ed anche con mafiosi e banditi. Insomma meglio con loro, che con i Carabinieri. E’ una storia vecchia, speriamo che gli uomini liberi e forti la sappiano seppellire, insieme a coloro che vogliono il bene della Sicilia. Coloro che, al contrario, sono chiusi nei loro circoli, più o meno nobiliari, gattopardeschi nel loro DNA, che vogliono cambiare tutto per non cambiare nulla, dovranno rivedere il loro pensiero e la loro opinione. Pappalardo, purtroppo per loro, è nato nel quartiere dell’Albergheria, testa dura, tenace e caparbio. Uomo che sa andare controcorrente. La storia è ancora tutta da scrivere in questa Sicilia indecifrabile.

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