Trans…igiamo

Roma, 23 luglio – Ci piace la pluralità. Ci piace il rispetto della dignità di ognuno.

Ma l’ ambiguità, le parole tanto per dire, le azioni tanto per fare, l’ arrabbattarsi a far finta di dimostrare, il cercare di fare contento questi o quelli, ci lascia, a dir poco, perplessi. 

Guardare al fatto che ciascuno di noi è parte di un grande mosaico,  è obbligatorio.

Mosaico a cui non abbiamo chiesto di appartenere nascendo, d’ accordo, ma dal quale non ci possiamo esimere, ci piaccia o non ci piaccia, tranne che se non andiamo in una isolatissima porzione di una qualche foresta o deserto, fino a che ne esistano, e definitamente e non per andare e venire a piacimento.

La Cassazione italiana, dunque, ha stabilito che non sia la chirurgia a definire nel proprio genere un uomo che si senta, invece, donna o una donna che si senta uomo, ma che sia bastevole, invece, e fondamentale il parere medico.

Certo, esiste sempre un percorso psicologico e farmacologico prima, in ogni caso.

Certo, la persona è un unicum e va sempre individuata nella sua totalità e complessità.

Ma la personalità è risultato di tali e tante componenti che, e per fortuna, tutte le sfumature, le preferenze che possano orientare l’ appartenenza al maschile o al femminile sono talmente tante, da sfuggire alla mera valutazione di chi le andasse ad esaminare una alla volta.

Allora è la somma che fa il totale, come direbbe un grande e famosissimo comico.
Non basta, c’è di più ed è proprio lì che le diverse competenze psicologiche e mediche intervengono e sostengono nelle necessità.

Però per il famoso metro, che non può allungarsi o accorciarsi ad ogni piè sospinto, lasciando  questi o quegli oggetto di impari vicende o difficoltà, proponiamo di riflettere bene ai Signori Magistrati ed ai Signori Legislatori sul valore sociale della parola “genere” , sulle ricadute interpersonali e burocratiche che può avere o non avere il definirsi ufficialmente, in forma identitaria, uomo o donna, maschio o femmina e il farsi carico o il non farsi carico del valore o non valore di ciò.

Siamo aperti a tutto, ma che i risultati non creino ulteriori o maggiori disparità di trattamento, alla chetichella, pensiamo di poterlo chiedere.

Se chi si dichiara donna  lo è e non lo è, se chi si dichiara uomo può esserlo oppure no, perché non togliere definitivamente il “genere” dai documenti di identità, pariteticamente per tutti, democraticamente, senza che la società sia oggi o domani significante, significata, identificante o identificata da dati, in tal senso, ormai discutibili? Anche perché, se si sta molto discutendo, invece, su unioni, pax o matrimoni fra persone di uguale sesso, già esistenti in tante nazioni, come possibili, impossibili, probabili o improbabili, proponibili o improponibili in Italia, se su ciò siamo stati intanto già richiamati al dovere per non adempienza a normative comunitarie, allora, come la mettiamo se un uomo non operato e che si sente donna e viene definito donna da valutazione medica vuole sposare con matrimonio civile un uomo o se una donna, che si sente uomo  e riceve parere medico a favore, vuole sposare civilmente una donna, come si regola il legislatore o l’ ufficiale di stato civile?

I matrimoni si celebreranno sulla valutazione di “fino a che punto” si sia già donna o uomo? Con quale percentuale?

O si rifletta di più, per il bene di tutti e, se la china è superata, non sarebbe meglio, con o senza rimpianti, ma senza acrimonia, avere un coraggio reale e paritetico ed equiparare davvero tutti e sul “genere dichiarato” metterci una pietra sopra?

E che ognuno, allora, sia a tal senso quello che sa o può.

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