“Eravamo quattro amici al bar…”

…beh, come si diceva una volta, “stretta la foglia, larga la via…”… Gino Paoli non è un’eccezione destinata a fare scalpore e a farci gridare allo scandalo, ma è la normalità dei nostri tempi. Anche lui passa attraverso alcuni stadi di evoluzione e lui stesso, forse profeticamente, forse senza rendersene conto, forse nelle vesti di un improvvisato “fustigatore di costumi”, giunge alla sintesi di tutti e di sempre e, con il suo stesso comportamento…ce ne dà conferma.
Gli “amici al bar” sono lui e altri tre compagni che, causa disoccupazione (si intuisce), sono poveri in canna e consumano il loro tempo avanti ad una Coca Cola e un caffè, divagando in idee rivoluzionarie con cui vorrebbero cambiare il mondo e disprezzando tutte le risoluzioni alla loro situazione che hanno il sapore della mediocrità, il posto di lavoro tranquillo, ma, presto, il primo di loro abbandona la Coca Cola e il caffè perché ottiene il tranquillo posto in banca, che aveva disprezzato tanto, e lascia i tre amici a divagare sulle loro idee aiutati, adesso, da un bicchiere di vino e dal solito caffè, fin quando anche il secondo lascia i discorsi utopistici e sconclusionati perché opta per la propria donna e la giornata al mare. Con amarezza Gino conclude che è possibile “fare molto” anche in due fin quando anche il terzo amico, trovata la “sua strada”, si invola nel suo futuro e, allora, il bicchiere di vino lascia il posto ad un bicchiere di Whisky e apre, a Gino, rimasto solo, gli ultimi spazi di utopie e sconclusionatezze…Passa il tempo e Gino si accorge di non essere solo perché ad un tavolo vicino ci sono quattro ragazzini, figli dei suoi vecchi “amici al bar”, che “consumano” il loro tempo parlando di anarchia e di libertà e di idee con le quali vorrebbero cambiare questo mondo…che non va…arriveranno a realizzare i progetti, più fantasmi che altro?…o diventeranno stars di un mondo di cartapesta o si incontreranno sempre rincorrendo ciascuno le difficoltà della propria vita?
È la più intelligente canzone di Gino Paoli, incredibile a credersi di un autore che ha sfornato prodotti come “Sapore di sale” e “Un uomo vivo” che, mancanti di qualsiasi contenuto, più che una caratterizzazione di una moda non sono stati,  sembra una canzone profetica perché i diversi livelli di evoluzione da lui attraversati, la coca cola, il vino e il whisky, attraverso i loro fumi venefici, una volta abbandonato dagli amici al bar, gli hanno fatto rinnegare tutti i principi di quando parlava di anarchia e di libertà e gli hanno fatto accettare quegli strumenti di prevaricazione che lui, in primis, nella sua etica, condannava.
Con quelle canzoni, che non sono canzoni, e che qualche nostalgico ha preteso di definire poesie, si è costruito un’immagine e grazie a questa è assurto alla posizione di alto burocrate che lui medesimo, sulla base della etica che professava, alla pari degli “amici al bar”, disprezzava e condannava. Certo, non l’ha rifiutata, anzi!…e, come ultima professione di quella etica, ha messo al sicuro, nelle banche svizzere, una bella sommetta, cosa che non poteva essere fatta da un modesto pensionato, e, persa la faccia, a ottanta anni vorrebbe tirare ancora dei pugni a chi lo accusa…
“Eravamo quattro amici al bar” è la prima più intelligente canzone da lui scritta; la seconda felice intuizione è il rassegnamento delle sue dimissioni da Direttore della Siae.                  
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