Spettacolo

Accademia Nazionale di Santa Cecilia -Valčuha dirige Colli nel Concerto n.3 di Rachmaninov

Valcuha direttore orchestraEmozioni sonore

Roma, 5 maggio – L’altra sera all’Accademia di Santa Cecilia, l’occhio di bue era certo acceso su Sergej Rachmaninov e il poderoso Concerto n. 3 in re minore per pianoforte orchestra, un brano che strizza l’occhio al pubblico, scelto da molti solisti perché lascia ampio spazio al talento di chi lo esegue che può dispiegare la propria tecnica fino a suscitare un entusiasmo contagiante, costruito com’è in modo grandioso e virtuosistico.

Fu scritto da Rachmaninov, grandissimo pianista, con l’intento di promuoverlo durante una tournée negli Stati Uniti. La prima esecuzione avvenne il 28 novembre del 1909 con la New York Symphony Orchestra e la direzione di Walter Damrosch e pochi giorni dopo fu Mahler a proporlo alla prestigiosa Carnegie Hall con la New York Philharmoniker.

Al Parco della Musica, la magnifica Orchestra di Santa Cecilia, condotta da Juraj Valčuha, già noto al pubblico romano, dal 2009 Direttore principale della Sinfonica RAI di Torino, accompagnava un debuttante nei concerti ceciliani, Federico Colli, brillante pianista, vincitore del Primo Premio al Concorso Mozart di Salisburgo, in grande ascesa in una carriera internazionale che lo ha già visto trionfare in tutta Europa, in America e in Giappone, e lo ha inserito autorevolmente tra i 30 pianisti “under 30” emergenti a livello mondiale. Un’occasione offerta al pubblico del Parco della Musica che ha potuto valutarne la felice sicurezza con la quale ha superato le difficoltà tecniche sparse ovunque in  questo lunghissimo concerto( ben 45 minuti ). Il brano è diventato famosissimo dopo essere stato inserito nel film “Shine” di Scott Hicks imperniato sulla vita del  pianista australiano David Helfgott. L’interpretazione valse il premio Oscar come migliore attore a Geoffrey Rush, che impersonava il pianista che impazzisce studiando le difficilissime pagine dello spartito del Concerto numero 3, abbreviato e mitizzato secondo l’abitudine americana in “Rach 3”. Colli, riccioluto come un efebo scuro, snello ed elegante nella figura, quasi sussiegoso nel passo, volto da bambino che tenta di ingannare Kronos con la sua barbetta, ma piglio dinamico e deciso quando le mani si poggiano sulla tastiera, ha affrontato il Concerto con vigore e passione, virtuosismo d’eccellenza, profondendo energie ma anche languori e una soffusa malinconia che è una caratteristica del tema principale e che parla direttamente all’emotività di chi ascolta.

Naturalmente il pubblico si è esaltato e ha premiato con una ovazione l’impegno del solista, “ pretendendo” i due bis concessi. Ed è qui che si è potuta dispiegare in pieno la valentia del giovane musicista, perché la cifra richiesta non era più l’eccitata e virtuosistica riproposizione di una pagina celebre, ma un momento altamente poetico, la trascrizione fatta dallo stesso Colli di ”Lascia ch’io pianga mia cruda sorte”, un’aria di Haendel che il grande pubblico conobbe in una pellicola di raffinata eleganza di Gérard Corbiau del 1995, “Farinelli – Voce regina” sulla vita del celebre castrato dell’Ottocento Carlo Broschi. In questo e nel successivo bis, una Corale di Bach, si è potuto cogliere il perfetto equilibrio interpretativo, la purezza del suono che raggiunge alti momenti di lindore e quasi di rarefazione e la capacità di regalare al pubblico un’emozione profonda.

Il Concerto n. 3 era incastonato come una gemma tra due autori come Glazunov e Janaček, poco frequentati nel calendario ceciliano, che ama presentare di regola il grande repertorio. Juraj Valčuha ha scelto la Cantata commemorativa “per Puškin” per soli, coro e orchestra scritta da Aleksandr Glazunov nel 1899 per il centenario della nascita del grande poeta, in prima esecuzione nei concerti dell’Accademia. Glazunov, musicista assai fertile nel milieu russo dei primi decenni del ‘900, fu attratto dapprima dalla scuola nazionale russa che propugnava con Borodin, Balakirev e Rimskij-Korsakov un legame più stretto fra i compositori classici e il ricco patrimonio dei canti, delle danze popolari e delle leggende della sua terra. In piena maturità, il musicista si rivolse alle suggestioni occidentali, ispirandosi soprattutto a Brahms. La Cantata ha il testo del Granduca Kostantin Kostantinovič, nipote dello zar. Versi banali e retorici che tuttavia Glazunov ha saputo rivestire di una partitura in cinque momenti, di una orchestrazione ricchissima e di una melodia piena di cantabilità. Ottima prestazione dei solisti scelti, il mezzosoprano Julia Gertseva e il tenore Francesco Toma e una menzione speciale per il Coro diretto dal nostro grande Ciro Visco.

A chiusura del programma le note festose, piene di vigore e le invenzioni ritmiche straordinarie di Leóš Janáček, pezzo di rara esecuzione che si caratterizza per il numero enorme di ottoni richiesto, che ha suscitato l’entusiasmo del pubblico di Santa Cecilia.  Molto applaudito anche l’ ottimo concertatore Juraj Valčuha.

  

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