Racconti di sport

Il mondiale di Fausto Coppi.

Settant'anni fa il trionfo dell'Airone.

Roma, 30 agosto 2023.

 

Domenica 30 agosto 1953, esattamente 70 anni fa, a Lugano, Canton Ticino-Svizzera, si corrono i Campionati del mondo di ciclismo su strada, edizione numero 26.

Anche se il Natale è ancora lontano, un paio di giorni prima i cinegiornali dell’epoca filmano una precoce bambina di cinque anni che legge una letterina dove chiede al suo papà di vincere una maglia iridata.

La piccina si chiama Marina ed è la figlia del Campionissimo Fausto Coppi e commuove un’Italia col fiato sospeso che vuole la vittoria del suo idolo.

Coppi sta per compiere 34 anni, un’età importante per un ciclista che ha vinto tutto ma a cui manca il titolo mondiale.

Il circuito di Lugano è di media difficoltà, circa 13,5 km. da ripetere venti volte per un totale di 270 km.

In mezzo al percorso c’è la salita della Crespera, una rampa di 1650 metri, con punte al 8% e che ripetuta per venti volte può diventare pesante.

Lugano viene presa d’assalto da carovane di italiani di tutte le età, chi in treno, chi in automobile, chi in torpedone, chi addirittura in vespa o lambretta o bicicletta.

Quasi tutti aprono le loro valigie improvvisando bivacchi con pane e salame, torte fatte in casa, fiaschi di vino, rimanendo comunque sobri in attesa del Grande Airone.

Il ciclismo, nei duri anni del dopoguerra, è di gran lunga lo sport più popolare del nostro Paese anche perché rispetto al calcio, rappresentato dal Grande Torino anche in ossequio alla sua tragica scomparsa, sono i Coppi, i Bartali, i Magni che ci sdoganano dallo scetticismo e dall’odio di mezza Europa.

Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco mentore di Fausto, dopo averlo affiancato nel mese precedente nella meticolosa preparazione alla gara, gli prepara una borraccia di caffeina pura ed un’altra bibita con della stricnina.

A circa cento km. dal traguardo, dodicesimo giro, Coppi risponde ad un attacco di Bobet e Kubler; li raggiunge ed al culmine della Crespera li stacca mantenendo alla sua ruota il belga Derycke.

Il belga se ne guarda bene dal collaborare con Fausto per alternarsi nei cambi, sperando di giocarsi le sue possibilità in una volata.

<Dai tira, dammi un cambio>, gli urla Coppi ma Derycke fa finta di nulla e lo irride rispondendo:< Sei tu il Campionissimo, tira tu>.

A circa un giro un giro e mezzo dal termine l’Airone, sulla pendenza più dura della Crespera, scatta una, due, tre volte e pianta finalmente il succhiaruote belga.

Raphael Geminiani racconta a fine corsa, ad un giornalista dell’Equipe, lo scatto di Coppi: <Un razzo, non ho mai visto niente di simile>.

Nell’ultimo giro Coppi, ormai solo, dilata il suo vantaggio che al traguardo arriva a 6’22’’ su Derycke e a 7’33’’ sull’altro belga Ockers.

Il Campionissimo dunque conquista finalmente il titolo di Campione del Mondo.

E’ la certificazione dello status, nel ciclismo internazionale, del ruolo di Fausto dalla ripresa dell’attività sportiva dopo il conflitto mondiale.

Fausto Coppi ha soltanto bisogno della maglia iridata, per essere il tutto, suggellando un’era che si avvia ad un ciclismo moderno.

Tra le braccia di Biagio Cavanna si lascia andare alla commozione, come tredici anni prima quando, appena ventenne, vince il suo primo Giro d’Italia tra gli imminenti venti di guerra.

Un trionfo che Coppi coglie contro le avversità, forse anche contro se stesso, contro l’incapacità di essere normale nella vita di tutti i giorni e con, all’orizzonte, la storia turbolenta con Giulia Occhini, la Dama Bianca.

Cavanna, nella confusione dei festeggiamenti gli chiede preoccupato:< Fausto cosa c’è di vero?> e l’Airone di rimando:< Tutto, sono innamorato e stavolta voglio seguire i miei istinti. Non mi fermare Biagio>.

Quest’ultima però è un’altra storia…

 

 

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