Il Califfato va fronteggiato sul terreno con armi adeguate!

Roma, 19 giugno – Loretta Napoleoni è tra i massimi esperti di terrorismo, e ha pubblicato diversi studi su finanziamento di gruppi terroristici e riciclaggio.

Nel libro “Isis, lo Stato del terrore”, pubblicato da Feltrinelli (marzo 2015, 144 pagine, 13 euro) leggiamo con stupore che per la prima volta dalla fine della Prima guerra mondiale un’organizzazione armata sta ridisegnando la mappa del Medio Oriente tracciata da Francesi e Inglesi. Combattendo una guerra di conquista, lo Stato Islamico sta cancellando i confini fissati nell’Accordo Sykes-Picot formulato nel 1916. Oggi la bandiera nera e dorata dell’Isis sventola su un territorio più vasto del Regno Unito o del Texas, che va dalla sponda mediterranea della Siria fino al cuore dell’Iraq: l’area tribale sunnita.

Dalla fine di giugno 2014 questa regione è nota come “il Califfato”, una denominazione che aveva cessato di esistere nel 1924, in seguito alla dissoluzione dell’Impero Ottomano per mano di Ataturk. Quel che distingue l’organizzazione da ogni altro gruppo armato che l’ha preceduta, compresi quelli attivi durante la Guerra fredda, e quel che ne spiega l’enorme successo, sono la sua modernità e il suo pragmatismo.

La leadership sembra comprendere con una lucidità inedita i limiti che un mondo globalizzato e multipolare impone alle potenze contemporanee. Per esempio, lo Stato Islamico ha intuito che un intervento straniero congiunto, simile a quello attuato in Libia o in Iraq, non sarebbe mai stato possibile in Siria.

Sulla base di questa analisi, la leadership ha sfruttato a proprio vantaggio, per di più passando quasi inosservata, il conflitto siriano, versione contemporanea della guerra per procura, dove sono schierati numerosi sponsor e gruppi armati. Mirando a un cambiamento di regime in Siria, paesi come il Kuwait, il Qatar e l’Arabia Saudita hanno attivamente foraggiato una pletora di organizzazioni armate, delle quali l’Isis è soltanto una. Tuttavia, anziché combattere la guerra per procura degli sponsor, lo Stato Islamico ha usato il loro denaro per impiantare i propri capisaldi territoriali in regioni economicamente strategiche, come le ricche aree petrolifere della Siria orientale. Nessuna precedente organizzazione armata mediorientale era stata in grado di promuoversi quale nuovo potere politico della regione e, per di più, con il denaro dei ricchi sponsor del Golfo.

In netto contrasto con la retorica talebana, e nonostante il modo barbaro in cui tratta il nemico, lo Stato Islamico sta diffondendo un potente e in parte positivo messaggio politico nel mondo musulmano: quello del ritorno del Califfato, l’età dell’oro dell’Islam. Questo messaggio arriva in un momento di grande destabilizzazione in Medio Oriente, con la Siria e l’Iraq in fiamme, la Libia sull’orlo di un nuovo conflitto tribale, l’Egitto irrequieto e dominato dall’esercito, e Israele ancora una volta ai ferri corti con i palestinesi di Gaza.

Pertanto, il risorto Califfato con il suo nuovo califfo, Al Baghdadi, appare agli occhi di molti sunniti non come l’ennesimo gruppo armato, ma come una nuova promettente entità politica che sorge dalle ceneri di decenni di guerra e distruzione. Il fatto che questa fenice islamista si sia materializzata il primo giorno del Ramadan, il mese consacrato al digiuno e alla preghiera, del 2014, viene visto come il potente presagio della minaccia che lo Stato Islamico rappresenta per la legittimità di tutti i cinquantasette paesi di fede islamica.

“A questo punto non sarebbe meglio, o meno dannoso, riconoscere questo stato (il Califfato) e arrivare in qualche modo ad una trattativa? Non credo succederà, scrive l’autrice, perché questo è uno stato che minaccia l’Arabia Saudita e gli altri stati del golfo. L’Onu in questo contesto… esiste ancora? L’Onu non serve più a niente. Nel Consiglio ci sono i Russi e i Cinesi e le decisioni devono essere assunte all’unanimità che non ci sarà mai su queste questioni.

La conclusione del ragionamento è che se l’Isis è uno Stato bisogna trovare il modo di capire cosa vogliono fare perché ancora non è chiaro e poi bisogna contenerlo, usando anche l’arma diplomatica. Non dico che bisogna riconoscere l’Isis come uno Stato o parlare direttamente con loro, ma almeno con chi gli è vicino come i capi sunniti perché noi abbiamo bisogno di tornare a una realpolitik.  Gli “uomini neri” agiscono in una modernità che noi quasi non conosciamo, in un sistema multipolare dove hanno messo l’uno contro l’altro e si sono conquistati il loro spazio.

Non si può più ragionare coi vecchi schemi….(anche perché)… le adesioni all’Isis sono in aumento, osserva Napoleoni, anche grazie alla presenza degli occidentali in questo conflitto… All’Isis questa cosa ha fatto gioco e mi spingo a pensare – ipotizza – che anche le decapitazioni via web siano fatte apposta per costringere l’Occidente a intervenire militarmente. Questo infatti permetterebbe all’Isis di fare ancora più presa su quei giovani che sono non ancora radicalizzati ma che non ce la fanno più a vivere in società represse o che vivono all’estero dove si sentono discriminati”.

La responsabilità è quindi degli Stati di escogitare strategie, che vanno da quelle diplomatiche, come auspicato in ultimo dalla Napoleoni, a quelle militari, però caratterizzate da importanti interventi sul terreno (quindi non limitandosi alle attuali inutili incursioni aeree che sovente danneggiano solo la incolpevole popolazione civile…)

L’Isis, secondo lo scrivente, va combattuto, ma non con le modalità usate in passato nei Balcani o in Afghanistan che si sono dimostrate fallimentari; gli aerei non bastano: servono almeno 50mila uomini sul territorio.

Ma in tempi molto brevi!!

 

 

 

 

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