Scienza

La produzione di carne bovina e l’impatto ambientale

La produzione di carne bovina richiede 28 volte più terra, 11 volte più acqua e sei volte più fertilizzanti, liberando cinque volte più gas serra rispetto alla produzione di altre carni, uova e prodotti caseari.

A parità di calorie consumate, la produzione di carne bovina ha un costo ambientale enormemente superiore a quello degli altri tipi di carne (pollame e maiale), delle uova e dei prodotti lattiero caseari, che a loro volta richiedono da due a sei volte le risorse necessarie a produrre grano, riso o patate per un valore calorico equivalente. 

A determinarlo è uno studio relativo agli Stati Uniti condotto da ricercatori del Weizmann Institute of Science a Rehovot, in Israele, del Bard College ad Annandale-on-Hudson e della Yale School of Forestry and Environmental Studies a New Haven, negli Stati Uniti, che hanno analizzato i dati dei Dipartimenti dell’agricoltura, degli interni, e dell’energia statunitensi per calcolare il consumo di terreno, acqua di irrigazione, fertilizzanti le emissioni di gas serra necessari a produrre quantitativi equivalenti (dal punto di vista del fabbisogno calorico soddisfatto) delle altre quattro classi di alimenti di origine animale.

Complessivamente le cinque categorie  di alimenti considerate dai ricercatori – latticini, manzo, maiale, pollame, uova- forniscono il 96 per cento delle calorie di origine animale presenti nella dieta dei cittadini americani, ma il manzo ne apporta appena il sette.

Di fatto, spiega Gidon Eshel  in un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, la produzione di carne di manzo è quella che ha di gran lunga il peggior rapporto apporto nutrizionale/impatto ambientale in quanto richiede 28 volte più terra, 11 volte più acqua di irrigazione, cinque volte più emissioni di gas serra e sei volte più concime azotato di quanto necessario per la produzione di un quantitativo caloricamente equivalente (della media) degli altri quattro alimenti di origine animale. Ben distaccatati dalla carne bovina seguono,in ordine di “inefficienza energetica” decrescente i latticini, il maiale, il pollo e le uova. 

Per avere un’idea più concreta del peso sull’ambiente degli alimenti di origine animale basti dire che la loro produzione richiede l’uso di 3,7 milioni di chilometri quadrati di terreno (il 40 per cento della superficie degli Stati Uniti, o 12.000 metri quadrati circa a persona), buona parte dei quali destinati alla produzione dei mangimi, che richiede a sua volta il 27 per cento di tutte le acque irrigue della nazione e circa sei milioni di fertilizzanti azotati all’anno (la metà del consumo totale nazionale), con una produzione di gas serra pari al 20 per cento di quelle del settore dei trasporti e al cinque per cento delle emissioni totali degli Stati Uniti.

“Anche se la nostra analisi si basa su dati degli Stati Uniti, e quindi riflette direttamente le attuali pratiche negli Stati Uniti – scrivono gli autori – la rapida diffusione indotta dalla globalizzazione degli usi statunitensi, abitudini alimentari comprese, anche in economie grandi e fiorenti come quelle della Cina o dell’India, conferisce un significato globale alla nostra analisi.”

Confronto fra l’impatto in termini di consumo di territorio (a), consumo di acqua (b), emissione di gas serra (c), e uso di fertilizzanti (d) della produzione di una quantità equivalente di proteine da latticini (grigio), carne bovina (rosso) pollame (arancione), maiale (rosa) e uova (blu). I dati relativi alla carne bovina sono talmente elevati da andare fuori scala. Il riquadro (e) indica l’apporto proteico medio nella dieta di un cittadino americano dei diversi tipi di alimenti.(Coretsia G. Eshel et al./PNAS)Alla luce di queste considerazioni, concludono i ricercatori, sarebbe importante varare misure legislative correttive che permettano di alleviare le conseguenze ambientali delle politiche alimentari. A indirizzare gli attuali modelli di consumo verso i diversi tipi di alimenti, non sono solo le preferenze etniche e culturali  ma anche le politiche governative di sostegno ai diversi settori dell’industria agroalimentare.

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