Oggi non se ne va solo un attore. Se ne va una stella che non ha mai avuto bisogno di abbagliare per farsi ricordare. Robert Redford si è spento serenamente, nel sonno, nella sua casa nello Utah. Aveva 89 anni.
Nato il 18 agosto 1936 a Santa Monica, Redford non è stato soltanto un protagonista della storia del cinema: è stato un custode di valori, di diritti umani, di bellezza, di coerenza. Per oltre sessant’anni ha attraversato la scena con il suo sguardo intenso, la voce pacata, il passo sicuro di chi non ha bisogno di urlare per farsi ascoltare.
Vincitore di due Premi Oscar (alla Regia nel 1980 e alla Carriera nel 2002), del Leone d’Oro alla Carriera alla Mostra del Cinema di Venezia e la Legion d’Onore francese, lo abbiamo amato nei ruoli che lo hanno reso immortale, I tre giorni del Condor, Butch Cassidy e il Sundance Kid, La stangata, Gente comune, Tutti gli uomini del presidente, La mia Africa. Ma il suo impatto è andato ben oltre lo schermo.
Redford ha costruito un mondo. Ha fondato il Sundance Institute e il Sundance Film Festival, diventati rifugio e fucina per il cinema indipendente, quello vero, fatto di idee, di voci nuove, di libertà creativa. Era convinto che il cinema potesse ancora cambiare le cose. Ma la sua vita non è stata solo arte.
Anche il dolore ha bussato alla sua porta
Sposato in gioventù con Lola Van Wagenen, da cui ha avuto quattro figli, e poi con l’artista Bylle Szaggars, Redford ha vissuto una tragedia che nessun genitore dovrebbe affrontare: la perdita del figlio James, detto Jamie, scomparso nel 2020 a soli 58 anni.
Una ferita profonda, che, come confessò in rare e pudiche interviste, “non si rimargina mai davvero”.
Forse è anche per questo che scelse la natura come rifugio, il silenzio come casa. Tra alberi, cavalli e cielo, cercava e offriva un po’ di pace.
I suoi valori
Parlava di diritti umani, di ambiente, ma lo faceva attraverso l’arte, senza prediche. Le sue scelte erano silenziosamente rivoluzionarie, guidate da una bussola interna che non ha mai smesso di puntare verso il rispetto per la terra, per le persone, per gli animali.
Il suo grande amore per i cavalli
Più di tutto, Redford ha amato la natura. E tra tutte le creature che popolano questo mondo, i cavalli hanno avuto un posto speciale nel suo cuore. Aveva sei anni quando salì per la prima volta su un pony. Lo raccontava spesso con tenerezza: fu un amore immediato, puro.
Quel momento lo segnò. Lo cambiò. E, in fondo, lo guidò per tutta la vita. Da adolescente, lavorò in un ranch a Estes Park, in Colorado. Non era ancora una star. Era un ragazzo che si sporcava le mani, che imparava a pulire, a nutrire, ad accudire.
Lì capì che un cavallo non si comanda: si ascolta. Che la fiducia si conquista con il silenzio e la presenza, non con la forza.
Questa filosofia lo accompagnò anche nel suo lavoro da regista. The Horse Whisperer (1998) non fu solo un film: fu un manifesto d’anima. Il cavallo non era un simbolo. Era un essere vivente, con emozioni, paure, linguaggio proprio che Redford trattava come un compagno, non come un oggetto di scena.
Nel libro Riding Home The Power of Horses to Heal, Redford scrisse la prefazione, raccontò quanto questi animali potessero guarire le ferite invisibili delle persone.
Per lui, i cavalli erano maestri silenziosi. Anime che sentono, che aiutano, che riflettono quello che siamo.
Durante le riprese de The Electric Horseman (1979), si legò profondamente al cavallo protagonista, Let’s Merge. Quando il film finì, non riuscì a separarsene. Lo portò a casa, nel suo ranch nello Utah, e lo tenne con sé fino alla fine dei suoi giorni. Come si fa con un amico.
Una vita ritirata, ma piena
Nello Utah, lontano da Hollywood, Redford aveva trovato il suo rifugio. Tra gli alberi, i silenzi, gli spazi aperti, si sentiva libero. Era lì che coltivava il suo “giardino interiore”, fatto di semplicità, ascolto, rispetto. È da lì che ha continuato a proteggere l’arte indipendente, a dare voce a chi nessuno ascoltava, a costruire ponti tra cultura e coscienza.
Oggi il mondo lo saluta. Ma in quella sua ultima carezza a un cavallo, c’è tutto quello che Robert Redford è stato: un uomo elegante nell’anima, coerente nella vita, umile nella grandezza. Un attore immenso. Un essere umano raro. Una leggenda che ha lasciato orme leggere e profonde.