Politica

La verità sul caso Moro è vicina?

Moro complici copertinaRoma, 12 ottobre – Sul caso Moro abbiamo una verità manovrata e destabilizzante…
Nella storia dell’Italia repubblicana mai c’è stato un delitto politico così tenebroso, ancora vivo nel ricordo degli Italiani. Il libro di Stefania Limiti e Sandro Provvisionato:  “Complici. Caso Moro. Il patto segreto tra Dc e Br”, Edizioni Chiarelettere, Milano 2015, Pagg. 290 tratta l’argomento, raccontando che “”…. è l’anatomia di un delitto politico avvenuto oltre trentasette anni fa. Abbiamo analizzato minuziosamente, con gli strumenti dell’inchiesta giornalistica, un avvenimento storico che, nonostante il tempo passato, è ancora cronaca viva, al punto da meritare, dopo cinque indagini giudiziarie e quattro processi, l’istituzione di una nuova  Commissione d’Inchiesta Parlamentare, la seconda, senza considerare le tante sedute dedicate al tema dalle Commissioni Stragi che si sono succedute nel tempo….È per questo che il nostro racconto comincia proprio in via Fani dove – ora è possibile dirlo senza più ombra di dubbio – l’agguato delle Brigate rosse non andò come hanno stabilito le tante sentenze giudiziarie e neppure come ha raccontato l’unica «voce di dentro» dell’organizzazione armata presente sul luogo della strage: Valerio Morucci. Infatti, quella mattina, il commando non era composto solo da dieci brigatisti (otto uomini e due donne), ma ben supportato da elementi estranei che parteciparono in maniera attiva. In questo libro ricostruiamo pazientemente – sostengono gli autori -, e con l’aiuto indispensabile delle tante perizie tecnico-scientifiche, la dinamica di un’operazione terroristica che fino a oggi presentava  troppe anomalie, troppe discrasie…  Sappiamo già che solo questa nuova ricostruzione dell’assalto del 16 marzo – e solo per aver fatto il nostro mestiere di giornalisti – basterà a farci piovere addosso le solite, stucchevoli critiche di «dietrologia» e «complottismo». Non ce ne rammarichiamo… Dall’analisi minuziosa della dinamica della sparatoria e del rapimento dell’ostaggio alle confuse vie di fuga del commando; dalle tante bugie sulla «prigione del popolo», all’opaca e nebulosa gestione politica del più importante sequestro di persona mai compiuto in Italia…..Una soluzione tombale sotto cui seppellire la verità dei fatti, scomoda per le Brigate rosse così come per il potere, non solo quello democristiano; per finire con l’infinita e scandalosa gestione delle carte recuperate a rate in via Monte Nevoso – e che contenevano il vero pensiero del prigioniero – fino all’individuazione, quanto mai tardiva, del misterioso «quarto uomo» a guardia della prigione…Quali verità dovevano essere coperte? Prendiamo un singolo fotogramma: 16 marzo 1978, poco dopo le 9 di mattina, in via Licinio Calvo. Lì i brigatisti riportano le auto usate nell’agguato: perché sfidare la sorte e rischiare di tornare così vicini al luogo del delitto? Non c’è logica. A meno che, attorno a quella via, ci sia una loro base. Aldo Moro trascorre lì i primi momenti dopo l’inferno di via Fani?…Questo libro non affronta le trattative avviate (o fintamente avviate) per salvare la vita di Moro, un capitolo senz’altro rilevante del quale molto si è appreso nel corso degli anni. Anche se ancora non abbiamo una ragionevole spiegazione del perché fallì la possibilità di un accordo. Continua a essere oscuro il motivo per cui Paolo VI non riuscì nel suo pressante tentativo di restituire Moro al paese e alla sua famiglia. Eppure, come dimostra l’audizione di don Mennini in Commissione Moro del 9 marzo 2015, c’era stato il tentativo di aprire un «canale di ritorno», utile a una comunicazione diretta tra le Br e la famiglia Moro. E forse anche qualcosa in più. Dice il sacerdote amico di Moro: «Il 20 aprile 1978, vestito da prete, andai a ritirare un messaggio delle Br nascosto nei pressi di un bar. Lì vidi un uomo con i baffi che in seguito riconobbi dalle foto segnaletiche: era Valerio Morucci. Solo che in tutte le foto segnaletiche pubblicate, dopo la fine del sequestro, Morucci è senza baffi». Cosa ci vuol dire don Mennini? Che ci fu un contatto diretto tra i due?…Si pensi alle tante ambiguità sugli effettivi sforzi compiuti nella localizzazione della «prigione del popolo», alla scarsa capacità che ebbero i suoi massimi dirigenti di respingere le intrusioni esterne: da quel folto consesso piduista insediatosi al Viminale durante i giorni del sequestro, fino alle manovre degli esperti americani per orientare i rapitori all’eliminazione dell’ostaggio. Gli interrogativi che ancora rimangono troveranno in futuro nuove risposte. Qualcuno sostiene che un giorno sarà aperto un cassetto degli archivi di Washington, e salterà fuori qualche altro frammento di verità. Si ritiene che Giulio Andreotti e Francesco Cossiga siano stati tra i maggiori depositari dei misteri del «caso Moro». Non si sa con chi abbiano stretto il patto ferreo del silenzio, ma lo hanno fatto…..più comodo consegnare alla storia tutto il dossier Moro così com’è. Infatti, ci sono coloro che vogliono che nulla si muova, che tutto resti immobile: questo non solo non è accettabile, ma non è neppure possibile…(per questo nel titolo leggiamo di “complicità”!). “” Sin qui il libro in esame.
Non possiamo però omettere l’intervista al Generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo, il quale, il 17 apr 2015, ampliando quanto contenuto nel libro di Limiti-Provvisionato, ha affermato: “Avevamo scoperto la prigione dove Moro fu portato. Raccontai tutto al Capo di Stato Maggiore dell’Arma Generale De Sena ma lui, alla napoletana, mi rispose: ‘Guagliò, qui a Roma di Brigate rosse non c’è traccia…..Alla prigione, in quel posto dove Aldo Moro fu portato, potevamo arrivarci, l’avevamo scoperta. Addirittura prima che il sequestro di Moro avvenisse….Sì, parlò proprio di quell’appartamento in via Montalcini”. Aggiungiamo noi al groviglio di situazioni, che fedele  alla consegna del silenzio, Prospero Gallinari, morto il 14 gennaio 2013, nulla potrà dire sui suoi rapporti con l’ “Istituto di Lingue Hyperion”, che aveva sede a Parigi (centro di “compensazione” tra Servizi e terrorismi internazionali, mai indagato in profondità), come non potrà dire chi fu davvero a uccidere Moro. Si era sempre assunto lui la responsabilità di aver sparato, ma poi la colpa venne scaricata addosso a un altro brigatista, Germano Maccari, dopo che questi, perfettamente sano e all’età di 50 anni, morì d’infarto (agosto 2001) in carcere…. Certo, (Gallinari) era da tempo gravemente malato di cuore. Di Gallinari, almeno si è saputo. Ma della morte per infarto, in Francia, di Corrado Simioni, il capo di Hyperion, la notizia è stata lanciata su facebook….Altro aspetto inquietante dell’intera vicenda, come scritto su altro articolo di questa testata, è quello che nella casa romana di Giuliana Conforto, dove i dissidenti B.R. Morucci e Faranda il 29 maggio 1979 furono arrestati, fu rinvenuta la mitraglietta Skorpion con cui fu ucciso il Presidente della Dc.
Ricordiamo che Giuliana Conforto era addirittura la figlia di Giorgio Conforto, alias agente “Dario”, capo della rete spionistica del Kgb della Russia comunista in Italia.
Concludiamo con l’incredibile testimonianza dell’ex di Gladio Antonino Arconte il quale accusa: “Distrutte prove sul ritrovamento di via Fani”, segnalando che sono scomparsi dagli archivi della Rai uno dei documenti più sconcertanti del caso Moro, consegnato 12 anni fa. Lo dice lo stesso Arconte affermando di essersi recato mesi addietro con un ufficiale giudiziario presso gli studi televisivi RAI per riottenere i documenti a suo tempo forniti per un’inchiesta sul sequestro Br, ma erano introvabili.
Il più importante una velina del Ministero della Difesa, datata 2 marzo 1978, da distruggere dopo essere letta (invito evidentemente disatteso), in cui si affermava: “Autorizzazione ministeriale a G-219. È autorizzato a ottenere informazioni di 3° grado e più, se utili alla condotta di ricerca contatto con gruppi del terrorismo M.O. al fine di ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione dell’On. Aldo Moro”. Ma Moro il 2 marzo 1978 non era stato ancora rapito! Lo sarà soltanto il 16 marzo, 14 giorni dopo… La RAI si era fatta consegnare la velina per sottoporla a perizia, che diede esito positivo. La carta e gli inchiostri erano infatti quelli in uso alla Marina nel 1978.
A questo punto, sarebbe bene, come auspicano Stefania Limiti e Sandro Provvisionato nel loro coraggioso libro, che si chiarissero tutti questi spaventosi intrecci; che si approfondisse una volte per tutte, aggiungiamo noi, il gran tema delle aree della contiguità mai scoperte, cioè quelle aree della società, politica, del sindacato e della cultura in cui le Br hanno sempre goduto di forte simpatia e grande sostegno.
L’auspicio, quindi, che si verifichi quello che ha detto il neo Presidente della Bicamerale Fioroni: “Si cambia verso solo se si chiudono i conti col passato”.
Lo speriamo fermamente, anche se avanziamo motivati dubbi!
Sull’argomento : “Ancora un processo sul caso Moro“, del 10 Dicembre 2014, di questo giornale.

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