Tematiche etico-sociali

Emancipazione femminile: utopia o realtà?

La donna, nel corso dei secoli, è stata sempre considerata figura di supporto a quella maschile senza una sua priorità.

Se guardiamo ai fatti storici, come ad esempio durante l’unità d’Italia, la contessa di Castiglione ebbe un ruolo fondamentale nel non intervento del Re di Francia e ancora nel caso di Anita Garibaldi, i libri menzionano la sua morte, senza descrivere la combattente che essa rappresentava.

Così tante altre figure, considerate di strategica importanza, spesso non sono menzionate: Amalia Earhart nel 1932 fu la prima donna a pilotare un aereo, Valentina Tereskova guidò nello spazio lo shuttle. Così i premi nobel al femminile sono rari in Italia: per la letteratura abbiamo avuto Grazia Deledda e Rita Levi Montalcini perla medicina. Lo stereotipo “l’angelo del focolare”, ha portato alla poca visibilità della donna, in quanto il suo compito è stato sempre assecondare ogni attività del proprio consorte, senza dare spazio alla propria personalità, un cliché che si ripete ormai da anni.

Eppure il primo a parlare di pari dignità tra uomo e donna è stato Gesù Cristo, che con la diffusione del concetto di persona, ha più volte ribadito che non esiste differenza tra uomo e donna, tra vecchio e giovane, tra ricco e povero, perché ciò che conta è l’integrità della persona, le sue caratteristiche e le sue diversità arricchiscono gli altri.  Anche nella Genesi si parla di un’unica umanità ed un unico corpo che danno vita all’insieme uomo-donna.

Nel corso dei secoli il cammino sociale della donna è stato lungo e doloroso, già nel 1789 con la rivoluzione francese, si parlava di uguaglianza tra individui e anche le donne ribadivano questo principio.

Nel 1860 abbiamo movimenti importanti che hanno portato alla luce la sofferta condizione femminile: le suffragette in Francia e in Inghilterra e tra queste ricordiamo Emelin e le sue figlie, chiedevano il suffragio universale, la facoltà di poter partecipare

alla vita politica e sociale con il diritto al voto, acquisito solo ai primi del ‘900. Invece in Italia solo nel 1946 c’è stata la possibilità anche per le donne di votare.

Nei primi del ‘900, donne e ragazzi lavoravano per 16 ore al giorno e venivano pagati a metà salario, solo perché appartenenti a una categoria debole, pur realizzando lo stesso lavoro degli uomini.

L’art. 37 della Costituzione prevede pari dignità sul posto di lavoro fra i sessi, ma le leggi in Italia non hanno molto salvaguardato la tutela femminile, se pensiamo che solo nel 1975 è stato eliminato il delitto d’onore, con il quale

un uomo che uccideva una fedifraga veniva condannato a 2 anni con la condizionale, significa che questi non avrebbe fatto nessun giorno di carcere (e ci meravigliamo dei mussulmani che in alcuni Paesi Arabi lapidano

ancora le donne).

Vi è stata una revisione sulle ultime leggi che riguardano la violenza sessuale, definita non più sull’individuo, ma perpetrata sulla persona, differenza non solo etimologica, ma rivela il profondo rispetto del corpo, ma anche delle conseguenze psicologiche e morali subite.

Nel nuovo disegno di legge si sottolineano anche le violenze subite nelle relazioni familiari (di qualsiasi genere) e in riferimento allo stalking che pur non essendo violenza fisica viene considerato un’oppressione psicologica e invalidante della persona.

Le sanzioni prevedono l’allontanamento dal luogo dove vive la vittima, che ha diritto al patrocinio gratuito nel processo.

Sul fenomeno della violenza, così frequente nel nostro Paese, possiamo additare varie cause: in primis dobbiamo analizzare uno stereotipo culturale che si perpetua negli anni, della figura maschile (macho) contrapposta alla figura femminile che deve essere attenta ai bisogni del suo “uomo”, spesso non ritenendo importanti i propri progetti e lo sviluppo della propria personalità.

La docente universitaria Prof.ssa Elena Giannini Bilotti, montessoriana, nel suo libro “Dalla parte delle bambine”, scritto già vari anni fa e ancora oggi oggetto di studio, mette in rilievo la differente educazione che riceve in famiglia una bambina rispetto ad un maschio. La professoressa afferma che non ci sono fattori “innati” bensì condizionamenti culturali con ruoli già assegnati ad ambedue, ad iniziare dai giochi, che devono essere le pentoline per una bambina, le macchinine per un maschio, poi compito delle ragazze è rassettare in casa, mentre per un maschio non c’è nessun obbligo, cliché adeguato ai valori che si vogliono trasmettere; tra questi il mito della naturale “superiorità” maschile dinanzi all’inferiorità femminile.

da “L’Attualità”

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