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“Il professore dei misteri”. Rileggiamo le pagine dell’Italia tenebrosa per il terrorismo… ed è per questa logica di morte che l’avv. De vita doveva morire ! … con ricordi personali …

Roma, 20 dicembre 2019 – “Il professore dei misteri. E con lo stato e con le BR: Giovanni Senzani e la storia segreta del doppio livello” di Marcello Altamura, Ponte alle Grazie Editore – marzo 2019 …Un libro molto interessante, che consiglio di leggere….
Si, la prima storia completa del più enigmatico terrorista di sinistra…Professore universitario, consulente di Ministeri, amico ovviamente di massoni, esponenti dei Servizi e uomini politici ma soprattutto leader delle Brigate Rosse. Giovanni Senzani è una figura chiave degli anni di piombo, un uomo-cerniera capace di muoversi a suo agio in ambienti diversi, in apparenza antitetici tra loro, eppure incredibilmente vicini. Una figura sfuggente, al centro di relazioni pericolose come solo un agente segreto sembrerebbe in grado di fare. Attraverso documenti e testimonianze inedite raccolte da Marcello Altamura, si ricostruisce qui per la prima volta a tutto tondo la sua figura ambigua. Non solo: Senzani è il teorico dell’alleanza strategica tra BR e malavita comune, in particolare ’Ndrangheta e camorra, che proprio in quegli anni accrescono il loro peso politico. Moro, D’Urso, Cirillo, Peci (il primo pentito delle BR catturato dall’ Antiterrorismo del grande Generale Dalla Chiesa), casi diversi uniti da un filo rosso sangue che porta a lui, il professore dei misteri, il vero collegamento con il «cervello» brigatista, l’emblema di quel rapporto inconfessabile tra Stato e terrorismo che ha condizionato l’Italia negli anni di piombo.
Fatta questa doverosa premessa, nei giorni scorsi, visto il volume in libreria, come d’abitudine prima dell’acquisto, ho scorso l’ indice dei capitoli e poi quello dei nomi…Un soprassalto quando ho letto il nome di un vecchio, caro Amico, frequentato nel tempo, purtroppo da alcuni anni non più con noi: l’Avvocato Antonio De Vita…conosciuto sin dal 1971 quale Comandante del Nucleo Operativo della Compagnia Roma Trastevere, frequentando quasi giornalmente aule uffici e corridoi di Piazzale Clodio…In questo articolo mi soffermo ovviamente solo sulla figura di questo legale….rassicurando i miei 25 lettori che l’esame del bel libro, proseguirà, come d’abitudine…
A pag. 122…””Con Senzani, dunque, le BR sono ipertecnologiche. Per farsene un’idea concreta basta ricordare (tra le tante e interessanti situazioni rappresentate) che il 10 giugno 1981 vengono rinvenuti in via De Cesare un altoparlante, un mangiacassette, un amplificatore e cassette audio con inciso un comunicato brigatista. Sempre a giugno dell’81 i brigatisti registrano le telefonate di rivendicazioni effettuate al quotidiano Il Messaggero del tentato omicidio dell’Avv. Antonio De vita, di cui stiamo trattando…
A pag. 372, leggiamo, con titolo “L’avvertimento”…””Il 19 giugno 1981 è un venerdì. L’Avvocato Antonio De Vita, 40 anni, entra nell’androne del numero 146 di Viale Mazzini, dove ha sede il suo studio legale. Nella borsa e sotto il braccio porta una serie di fascicoli, carte che riguardano un incarico molto delicato. De Vita infatti è l’avvocato di Patrizio Peci(il primo pentito delle BR catturato dall’ Antiterrorismo del grande Generale Dalla Chiesa). In teoria, è una nomina d’ufficio ma il pentito in realtà ha chiesto espressamente che sia questo legale, ex Tenente dei Bersaglieri, figlio di un Ufficiale medico e di una Crocerossina, ad assisterlo. De Vita entra nel vano scale e si avvia verso l’ascensore. D’un tratto il suo sguardo incrocia quello di un uomo e di una donna. L’avvocato non ci fa caso, pensa che stiano aspettando qualcuno o che si accingano a salire. Così, lui fa altrettanto e si avvia a passo veloce verso l’ascensore. E’ un attimo: De Vita sente uno sparo, si volta e viene colpito di striscio ad un orecchio e ad una spalla.
Da quando assiste Peci, De Vita è più guardingo. Un amico Ufficiale dei Carabinieri gli ha consigliato di girare armato, aiutandolo a ottenere velocemente il porto d’armi e consigliandogli l’acquisto di una rivoltella.Così, con invidiabile sangue freddo, De Vita si volta e fa fuoco verso i suoi assalitori.
I suoi colpi feriscono una donna Natalia Ligas, “Angela”, che però riesce a fuggire insieme al suo complice grazie all’aiuto di un terzo brigatista, che li aspetta all’esterno in un’auto che verrà ritrovata dopo pohi minuti nella vicina via Lepanto. I brigatisti spararono ben 45 proiettili contro 15 del legale. Quell’azione, probabilmente progettata per eliminare De Vita, si trasforma invece in un avvertimento. E il destinatario è ovviamente Peci, le cui rivelazioni si sono “triplicate””.Sin qui il libro…
Il caro Avv.De Vita, che aveva uno spiccato senso dello Stato con ammirevoli qualità di senso civico e amor di Patria, in verità accettò l’ incarico propostogli dai Pubblici Ministeri Sica e Priore, con consapevole coscienza e quell’intemerato coraggio che lo caratterizzava… Ammetto, per amore di verità,di essere stato io a suggerirgli di richiedere il porto d’ armi… come giusto… In quegli anni ero operativo all’Antiterrorismo del Ministero dell’Interno, sotto la Direzione del grande Prefetto Vincenzo Parisi, le cui attività erano sempre svolte d’intesa con la Magistratura…
La coraggiosa reazione di Antonio De Vita portò al recupero delle armi, che poi, si disse, si rivelarono le stesse che avevano ucciso l’indimenticato Generale dei Carabinieri Enrico Galvaligi, nel pomeriggio del 31 dicembre 1980, dando impulso alle indagini per la disarticolazione della colonna brigatista.
Come si ricorderà, la Ligas fu operata segretamente nella Clinica di Lagonegro del Prof. Domenico Pittella, importante esponente del Partito Socialista Italiano, Senatore della Repubblica per tre legislature.
Quello stesso tragico 19 giugno, sempre a Roma, poche ore prima, nel quartiere Primavalle, all’epoca al centro di forti tensioni politiche e sociali (ricordiamo l’uccisione a seguito dell’incendio dell’appartamento dei fratelli Mattei, di 8 e 22 anni, nell’aprile 1973, da parte di elementi di Potere Operaio), le BR avevano ucciso il Vice Questore Sebastiano Vinci, validissimo Dirigente di quel Commissariato di PS. Il valoroso Funzionario, attinto da numerosi colpi d’arma da fuoco, morì poco dopo al vicino Policlinico Gemelli, mentre l’ Agente, sebbene gravemente ferito, reagendo con ammirevole sangue freddo con l’arma in dotazione, mise in fuga i terroristi.
Riguardo all’attività professionale, ricordiamo che De Vita, tra le tante cause in cui ha evidenziato brillantemente sia le sue alte qualità dottrinarie di illustre giurista, sia oratorie in memorabili arringhe, assunse la difesa del portiere di via Poma, a Roma, Pietrino Vanacore, a seguito dell’ uccisione nel 1990 della giovane Simonetta Cesaroni, sino alla completa sua assoluzione. Fu un caso, come si ricorderà, clamoroso che per anni appassionò la pubblica opinione divisa tra innocentisti e colpevolisti. Al riguardo, ricordiamo che il 26 febbraio 2014, in questa storia giudiziaria infinita, la Cassazione ha assolto in via definitiva il fidanzato della ragazza a seguito di ulteriore processo. Quattro anni prima, il cadavere dell’ex portiere di via Poma, fu trovato nello specchio di mare di “Torre Ovo”, vicino a Taranto, con una caviglia legata a una fune che aveva l’altra estremità assicurata a un albero. Nell’auto, Vanacore lasciò un messaggio di addio: “Venti anni di martirio senza colpa e di sofferenza portano al suicidio”. A questo punto è certo…le modalità sono quelle che appartengono a una persona che non voleva creare problemi a nessuno, neanche alla Polizia e a chi avesse trovato il suo corpo. “Un atto di gentilezza verso gli altri; lui aveva questa gentilezza e tutti lo sapevano e lo sanno”, disse il Legale…
L’avvocato De Vita, quindi, parlò di gentilezza del suo cliente, quella stessa gentilezza che Lui ha manifestato ovunque abbia svolto la sua professione al servizio dei semplici e di chi ha sbagliato per errore, non già per scelta meditata; Lui, il patrocinante a titolo gratuito di rappresentanti delle Forze dell’Ordine sotto processo per motivi di servizio; Lui, Antonio De Vita, l’ Avvocato che ha onorato l’Ordine Forense con quella nobile passione di servire il Magistero di Giustizia e quindi lo Stato in modo consapevole e ragionante, quale riconoscimento ha ricevuto per il suo atto di Valore reagendo alla protervia omicida del terrorismo?
Proprio nulla!
Al riguardo, ci associammo coralmente e moralmente, dalle pagine di questo Giornale, che si ispira ai valori di Democrazia e Civiltà giuridica di Gaetano Salvemini, ai tragici fatti di quell’ infausta giornata del 19 giugno 1981, a quanto richiesto dall’Associazione Nazionale Bersaglieri per il suo benemerito socio, Tenente Antonio De Vita, con vibrante lettera del dinamico Presidente della Sezione di Roma Capitale, dott. Massimo Flumeri, ai Bersaglieri d’Italia dal titolo: “”Antonio De Vita un eroe dimenticato dallo Stato” per un riconoscimento necessario, anche se tardivo, quale la Medaglia d’Oro al Valore Civile, invitando” gli aderenti a mobilitarsi perchè venga riconosciuto l’eroismo dell’ azione di Antonio, che sopravvisse alla ferita e rimase sordo da un orecchio, per ottenere, a tanti anni di distanza, l’apprezzamento per il suo gesto. Bersaglieri, attivatevi, diffondete la notizia, mandate e-mail di adesione perchè Antonio abbia il giusto riconoscimento!””
Concludiamo, volendo ricordare ai nostri lettori il contesto in cui Antonio De Vita fu protagonista quale vero audace Combattente della Legalità, leggendo almeno i titoli delle pagine tragiche scritte con l’inchiostro del sangue e dell’odio dalle BR in quell’anno, il 1981: -il Magistrato Giovanni D’Urso liberato dopo oltre un mese di prigionia; -l’ uccisione di Luigi Marangoni, Medico del Policlinico Milano; -la Polizia arresta a Milano Mario Moretti, al vertice della direzione strategica delle Br, latitante da nove anni, e l’ideologo Enrico Fenzi; -a Torre del Greco (Na), il sequestro, con liberazione dopo 88 giorni, di Ciro Cirillo, Assessore regionale all’Urbanistica, e uccisione del Brigadiere della Digos Luigi Carbone di scorta, e dell’autista Mario Canciello; -rapimento di Giuseppe Taliercio, direttore dello stabilimento Montedison di Porto Marghera, dopo alcuni giorni ucciso;-rapimento dell’ ingegnere Renzo Sandrucci, responsabile dell’Alfa Romeo di Arese, liberato dopo 50 giorni;- il rapimento, a Verona, del Generale USA Dozier, Sottocapo di Stato Maggiore del Comando delle Forze Alleate del Sud Europa, in seguito liberato dalla Polizia; -rapimento di Roberto Peci, fratello 25enne del pentito, Patrizio, che collaborò con la Giustizia, difeso d’ufficio, come noto, dall’Avv. De Vita, e sua uccisione all’alba del 10 agosto con una vera e propria esecuzione ripresa da una telecamera con l’ “Internazionale” come musica di sottofondo; una tragica liturgia di orgiastici assassini, coloriti di esaltata politica autoreferenziale.
Ed è proprio per questa logica di morte che l’Avvocato De Vita doveva morire!

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