Cultura

Onore agli Arditi d’Italia, combattenti esemplari per audacia e coraggio – INNO DEGLI ARDITI

arditi italiaGli Arditi dei reparti d’assalto creati nel 1917 per la guerra di trincea sono ancora oggi accompagnati da una leggenda di valore e ardimento esasperato alimentata dalle loro imprese belliche, ma anche dal ruolo politico che ebbero in guerra e più apertamente nel dopoguerra, e poi dalla propaganda fascista, che li presentò come precursori del regime e come modello di un nuovo tipo di combattente politicizzato. Fondamentale al riguardo il volume di Giorgio Rochat (Gli Arditi nella Grande Guerra – Origini, battaglie e miti – Libreria editrice goriziana editore, ott.2009, pagg 251, euro 20,00), che nei suoi studi ha sempre cercato di unire storia militare e storia politica, affrontando per la prima volta le vicende e le leggende degli arditi delle trincee della prima guerra mondiale alla strumentalizzazione fascista del combattentismo. In particolare ricostruisce le origini e il ruolo militare dei reparti d’assalto nel 1917-18, le loro imprese e i loro successi, che provocarono il rapido sviluppo della specialità e la resero popolare. Allo scoppio della guerra, nel 1915, la gente scendeva nelle piazze italiane convinta che sarebbe stata l’occasione per cambiare in meglio le sorti del paese. Sul volto dei soldati, che per primi lasciarono le loro famiglie per dirigersi a nord-est, traspariva un misto tra paura ed esaltazione. Gloria o morte, dunque, e pronti a mettere gli scarponi sul Carso e sulle alte cime delle Dolomiti laddove, come aquile silenti, vigilavano i soldati dell’Imperatore.
La “gloriosa” guerra, sognata dai tanti ragazzi provenienti da tutta Italia, diede subito una forte delusione: dopo i primi mesi di relativo movimento tutto il fronte si impantanò nel fango e nella roccia carsica, i combattimenti si fermarono e tutti gli uomini furono ingoiati dalla terra, infossati in lunghe trincee che per molti sarebbero diventate tombe maleodoranti. Dal 1915 al 1917 l’uomo mostrò al mondo il suo lato più barbaro; gli Stati Maggiori, incapaci di uscire da quella situazione d’immobilità, lanciavano migliaia di soldati verso la morte solo per conquistare un lembo di suolo nella famigerata “terra di nessuno”. Le battaglie combattute sull’Isonzo avevano provato l’inadeguatezza del comando italiano; il Generale Cadorna, definito un macellaio e la fanteria la sua carne da macello: i ripetuti e inutili assalti italiani sulla linea dell’Isonzo si infrangevano davanti al fuoco delle mitragliatrici austriache e viceversa. Gli stati maggiori tedeschi e Imperial regi avevano già dimostrato l’efficacia in battaglia circa l’utilizzo di sparuti gruppi d’assalto i quali, operando indipendentemente dal battaglione, riuscivano ad infiltrarsi nelle linee nemiche. Ma qualcosa doveva cambiare anche da noi, qualcuno doveva sollevare la testa. Infatti, in un piccolo paesino nella provincia di Udine, Sdricca di Manzano, pochi uomini stavano per mutare le sorti delle battaglie. Fu così che presso il comando della II armata, il Comandate, Generale Capello, il Generale Grazioli, Comandante della Brigata Lambro, e il Tenente Colonnello Bassi, istituirono – a Sdricca di Manzano, in provincia di Udine – il I reparto d’assalto (“Le origini degli Arditi”, pag 27). Agli ufficiali occorrevano soldati motivati, coraggiosi, armati ed equipaggiati in modo leggero per facilitarne la mobilità dovevano essere pochi elementi scelti, riuniti in gruppi ristretti e di facile comando. Assalti e ancora assalti, gli arditi dovevano acquisire nuove tecniche di combattimento e di uso delle armi, dovevano diventare dei “professionisti” della guerra, analogamente ai loro pari delle truppe d’assalto tedesche (“Reclutamento” pag.41). Era importante, dunque, per gli Ufficiali italiani, mantenere alto il morale di questi bravi ai quali fu concesso molto: prima cosa fra tutte, evitare la terribile vita di trincea. Ogni ardito poi vestiva una divisa diversa: un maglione, una giacca e i pantaloni all’alpina, considerati più comodi, non portavano zaini o ingombranti buffetterie; le fiamme nere, ostentate sul bavero, li contraddistingueva dal resto dei reparti e tra di loro cominciava a maturare uno spirito di corpo senza eguali (“Spirito di corpo” pag.38)……. L’ardito andava all’assalto non per puro spirito di dovere, ma perché fortemente determinato e sorretto da un addestramento particolare che esaltava l’iniziativa personale e un’aggressività, per alcuni, innata. Non a caso, alcuni detrattori del corpo, sostenevano che la violenza espressa dagli arditi nei loro attacchi, derivasse dalla loro fedina penale non sempre limpida.
Lo storico Giorgio Rochat, nel suo libro, smonta in qualche modo la teoria secondo la quale gli arditi fossero in buona parte avanzi di galera. La nascita dei reparti d’assalto rappresentò per l’Esercito italiano un elemento d’assoluta novità. Prima di allora, truppe scelte erano state utilizzate per compiti di particolare difficoltà, rimanendo però sempre inserite nei loro reparti d’origine. Nel giugno del 1917, invece, con i primi reparti di Arditi, nati all’interno della 2ª armata, si diede vita ad un corpo concepito e realizzato “per cambiare l’organizzazione della battaglia offensiva” (Giorgio Rochat), in un momento ove era indispensabile mantenere serrate le fila e necessario rinvigorire il morale di un esercito tutt’altro che coeso. Le novità nell’addestramento del nuovo reparto ( “L’addestramento, l’armamento,gli organici” pag.36) erano decisamente avanzate per gli standard dell’esercito comune, e, infine, simulazione di veri e propri assalti compiuti sotto il tiro dell’artiglieria lezioni di lotta giapponese, di scherma e di pugnale, corsi d’equitazione e di nuoto. Il soldato, in tal modo, veniva pienamente preparato sotto l’aspetto sia morale che tecnico, tanto da farne un combattente di tipo nuovo. Il motto “vivere pericolosamente” costituiva la filosofia di questo nuovo soldato.  Il battesimo del fuoco dei reparti di arditi accadde in occasione della sanguinosa battaglia della Bainsizza (pag. 47). Grazie al coraggio di questi pochi uomini – è bene ricordare l’esiguità del reparto – il I assaltatori riuscì ad espugnare tre linee di trincee nemiche, senza però che il grosso dei reparti di fanteria potesse seguirli giacché bloccati dal pressante fuoco dell’artiglieria imperiale. Effettivamente il primo impiego degli arditi fu davvero limitato rispetto alle aspettative che il reparto aveva attirato su di se. La disfatta di Caporetto (pag. 57) segnò uno spartiacque nella storia dell’esercito italiano: circa il comportamento degli arditi è certo che quest’ultimi ressero al limite delle loro forze, tuttavia nella fase finale cedettero anche loro al generale sconforto che aveva colto tutti i nostri reparti. Passato l’inferno del 1917 era arrivato il momento di una decisa riorganizzazione delle diverse brigate italiane, ivi compresi i reparti di arditi (“Combattimenti e battaglie degli Arditi nel 1918” da pag 93 a 110).
Interessanti, alla fine del libro, le testimonianze di Arditi e Combattenti, tra i quali segnaliamo: Paolo Giudici, “Sdricca di Manzano. La Patria degli Arditi. estate 1917” (pag.195); Edmondo Mazzucato, “Alla scuola degli Arditi- Sdricca di Manzano” (da pag 201); Salvatore Farina, “Gli Arditi sul San Gabriele” (pag 223); Alberto Businelli, “Gli Arditi del IX reparto sul Grappa.15 giugno 1918” (da pag 235. Ne riportiamo alcuni passi integralmente: “Chi percorre la strada che va da Manzano a Orsaria, a un dato punto deve piegare a destra, scendere la collina e raggiungere la Sdricca (che in dialetto friulano significa striscia). La striscia, ovvero Sdricca, si trova in una piana confinante col fiume Natisone. Là, ormai, semidistrutta, come scheletro al sole, si trova la vecchia Caserma che fu del I° Reparto d’Assalto. Solo una targa che resiste al tempo, ricorda l’epopea del corpo d’èlite del Regio Esercito Italiano. Un colpo di bombarda di grosso calibro, seguito da altri, dava la sveglia agli Arditi. Lì, in quella strana caserma ricca di tende, la tromba, assai più melodiosa nel suono, non esisteva. Tutto era fragore scoppio e vociare. In pochissimo tempo gli Arditi, lavati, vestiti e ristorati, ordinati per plotoni erano pronti per le esercitazioni sulla “collina tipo”. Si allenavano a turni in un addestramento pericolosissimo, basta pensare che dovevano avanzare carponi sotto il fuoco della mitragliatrice, manovrata magistralmente dal Tenente Bravi il quale sventagliava le pallottole a non più di un metro d’altezza dal soldato. Ci fu solo un morto: l’Ardito si alzò in piedi e… ci rimise la ghirba. Nell’avanzare gli Arditi erano preceduti da esplosioni di proiettili di calibro 75, distanti da loro non più che una decina di metri, dovevano tagliare, passare e scavalcare reticolati, sorpassare trincee, bocche da lupo, nidi di mitragliatrici, zaffate di lanciafiamme, scoppio di petardi, contraccambiandoli, per poi finire a fare la lotta col pugnale. Ma prima di essere ammesso alla Scuola di Sdricca, il novizio, doveva vedersela col Capitano Rachi, inventore del famoso “pendolo”. Il machiavello consisteva in un tronco d’albero alto un metro e di 60 centimetri di diametro, del peso di un quintale, appeso con una fune a un supporto. L’aspirante Ardito, previa misurazione della sua altezza fatta in altra sede, quindi inconsapevole, doveva stare sull’attenti col cappello in testa, immobile senza battere ciglio e attendere, che il Capitano Rachi avesse regolato la fune. Aspettare che il “pendolo” lo sfiorasse e gli facesse volar via il cappello. Il povero soldato, qualora si fosse mosso o avesse chiuso gli occhi, veniva inviato al reparto di provenienza perché “non idoneo al Battaglione d’Assalto”. Fra le varie attività di palestra, sempre svoltesi all’aperto, non mancavano i salti mortali, i salti acrobatici sul e col bastone, il pugilato, la lotta greco-romana, il sollevamento pesi, la corsa, la scuola di pugnale.”
 Concludiamo questa intensa narrazione riportando  il “Canto degli Arditi” 
“Mamma non piangere se c’è l’avanzata,
tuo figlio è forte paura non ha
asciuga il pianto della fidanzata,
chè nell’assalto si vince o si muor.
Avanti Ardito, le Fiamme Nere
son come simbolo delle tue schiere
scavalca i monti, divora il piano
pugnal fra i denti, le bombe a mano.
 Fiamme Nere avanguardia di morte,
siam vessillo di lotte e di orror,
siamo l’orgoglio trasformato in coorte,
per difender d’Italia l’onor.
 Avanti Ardito, le Fiamme Nere…
 Una stella ci guida, la sorte,
e ci avvincon tre fiamme d’amor,
tre parole di fede e di morte:
il pugnale, la bomba ed il cor.
Avanti Ardito, le Fiamme Nere…
L’ardito è bello, l’ardito è forte!
ama le donne, beve il buon vin;
per le sue fiamma color di morte
trema il nemico quando è vicin!
Avanti Ardito, le Fiamme Nere…”

 

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