Racconti di sport

Gimondi 80.

Avrebbe compiuto 80 primavere un immortale dello Sport italico.

Roma, 29 settembre 2022.

 

<29 settembre> è un vecchio brano di fine anni sessanta, portato al successo da Lucio Battisti e dall’Equipe 84, che all’inizio presenta la voce di uno speaker di un radiogiornale che richiama la data del pezzo.

Rifacendomi a questo ricordo oggi, 29 settembre 2022, è l’ottantesimo compleanno di uno degli atleti più rappresentativi dello sport italiano: Felice Gimondi.

Il 1942 è un anno importante e dalle nostre colonne abbiamo omaggiato personaggi sportivi come Alì, Monzon, Agostini o grandi attori come Giancarlo Giannini.

Oggi celebriamo Felice perché, anche se scomparso tre anni fa, come tutti i miti dello sport è sempre tra noi nel ricordo delle sue imprese e dell’esempio che ha lasciato.

Tanti sono gli aneddoti legati a Gimondi, tra i tanti un paio che mi hanno colpito per episodi accaduti a distanza esatta di un anno, relativi al Tour de France.

Nel 1964 Felice sta completando l’ultimo anno da dilettante prima dell’approdo al professionismo e si appresta a disputare il Tour de l’Avenir, corsa per le giovani promesse del ciclismo mondiale.

La gara viene svolta da squadre nazionali ed il nostro Commissario Tecnico è un signore di buon senso, competente, che si chiama Elio Rimedio.

Rimedio conosce Gimondi forse più dei suoi genitori e sa che è un cavallo di razza che però deve essere opportunamente inquadrato.

Il primo luglio 1964 parte la corsa e Rimedio, prima del via, catechizza Felice:<mi raccomando non partire subito sparato, studia gli avversari, poi durante le tappe successive piazziamo il colpaccio>.

<Stia tranquillo signor Rimedio, seguirò alla lettera i suoi consigli>.

Al via della prima tappa, dopo qualche chilometro, Felice scatta come un dannato per inseguire un ristretto gruppo e con essi va all’arrivo dove li infilza con una perentoria volata.

Subito maglia gialla, premiazione, foto, e appena sceso dal palco Felice si ritrova davanti la faccia torva di Rimedio che quasi lo vuole picchiare.

<Mi scusi signor Rimedio ma non ho potuto fare a meno di andare a prendere quei fuggitivi>.

Il Commissario Tecnico lo guarda e alla fine lo abbraccia, apprezzandone la sincerità, comunque contento dell’impresa compiuta.

Il quattordici luglio Gimondi vince il Tour de l’Avenir, con un colpo di mano all’ultima tappa, consacrandosi come giovane promessa del panorama ciclistico internazionale.

L’anno successivo Felice è un professionista della Salvarani, diretta da una vecchia volpe come Luciano Pezzi, e viene convocato per il Tour de France per acquisire esperienza in appoggio al suo capitano Vittorio Adorni.

In realtà Pezzi, così come Rimedio l’anno prima, intuisce di avere per le mani molto più di un esordiente alle prime armi, che tra l’altro arriva terzo al suo primo Giro d’Italia, e si coccola il giovanotto.

<Felice non preoccuparti, stai tranquillo, corri in appoggio ad Adorni, conosci un po’ di corridori, le loro caratteristiche, e se ad un certo punto la corsa dovesse essere troppo pesante da gestire va bene, puoi ritirarti e tornare in Italia>.

Anche stavolta Felice annuisce e concorda la tattica col suo direttore sportivo.

Alla terza tappa con arrivo a Rouen, la città del grande Jacques Anquetil, Felice, che già il giorno prima a Roubaix aveva dato spettacolo sulle pietraie dell’inferno del nord, piazza un attacco nel finale, sbaragliando il campo, vincendo in volata e conquistando la maglia gialla!

Stesso copione dell’anno prima, premiazione, foto, champagne e un Pezzi che smoccola in dialetto romagnolo davanti a tutti per poi abbracciarlo in separata sede.

Particolare curioso: anche il Tour del 1965 si chiude il 14 luglio che per noi italiani rappresenta un dolce ricordo sportivo e non la presa della Bastiglia…

Ecco, due aneddoti che, al di fuori di altri racconti maggiormente riportati negli anni e più che mai celebrati, inquadrano l’uomo, l’atleta, la sua feroce determinazione di bergamasco della Val Brembana.

Felice Gimondi ha insegnato valori sportivi e morali attraverso quelli che in gergo si chiamano “comportamenti concludenti”, in un’epoca ancora venata da un sano romanticismo.

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