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Racconti di sport. I 60 anni del “tappetaro”

cerezo toninhoAuguri Toninho Cerezo, mito della Roma degli anni ’80 e della Sampdoria campione d’Italia. Fa 60 anni nello stesso giorno in cui si festeggiano anche i compleanni di Roma e della Regina Elisabetta.

Roma, 21 aprile – Nel giorno in cui Roma, la Città Eterna, compie 2.768 anni e la Regina Elisabetta ne fa 89, Toninho Cerezo taglia il traguardo dei 60. Auguri a tutti.

“Lui è stato uno dei cinque giocatori più forti che ho allenato” ci disse una volta Nils Liedholm, che lo ebbe nella Roma a partire dall’estate dell’84, quando per averlo Dino Viola sfidò le leggi federali (e lo stesso fece l’Udinese con Zico) e il suo acquisto comportò la rinuncia ad un professionista esemplare come Prohaska. Ma ogni romanista era estasiato dall’idea di vedere insieme in giallorosso due stelle come Falcao e Cerezo, pilastri di quella nazionale brasiliana che avevamo sconfitto due anni prima in Spagna, al Sarrià di Barcellona. Loro, più Conti, Di Bartolomei, Pruzzo, Ancelotti, Tancredi, Nela e Graziani avrebbero dato vita ad una Roma stellare. Che lo fu davvero, non solo sulla carta.

Cerezo si presentò in Coppa Campioni segnando uno dei gol del 3-0 al Goteborg in una calda serata settembrina all’Olimpico e tutti furono conquistati da quel suo modo strano e dinoccolato di correre, unito all’entusiasmo, alla voglia di vivere, al sorriso e al continuo incitare la folla, primo giocatore in campo a farlo in Italia. Insomma, uno spettacolo nello spettacolo di una Roma che giocava a memoria mandando in tilt gli avversari. Toninho, poi, era l’antitesi del protocollo, la fantasia al potere, l’uomo dei jeans e delle ciabatte da mare al posto dello smoking e delle scarpe da gala. Figlio di una famiglia di clown, cresciuto nel circo e in mezzo alla natura, non era raro vederlo girare per Roma a fare la spesa o in bicicletta, mezzo col quale raggiungeva spesso Trigoria per gli allenamenti. A differenza dei suoi colleghi di ieri e di oggi, quando andava in vacanza non ambiva alle mete mondane, ma al suo Rio delle Amazzoni, dove si rifugiava con la canna da pesca e il sacco a pelo.

Un’abitudine, quella di dormire in terra e all’aria aperta, alla quale è legato un aneddoto sul suo primo ritiro a Trigoria. Al momento della partenza del pullman per lo stadio nessuno lo trovava: la camera era vuota e il letto ben fatto, in giro non si vedeva e la squadra aveva fretta di partire. L’ansia stava salendo a livelli di guardia quando Falcao si ricordò di quella strana abitudine del connazionale. “Vai a vedere in camera sua, dietro al letto, se per caso sta dormendo in terra”, disse al massaggiatore Giorgio Rossi, che salì e lo trovò proprio lì, a dormire sul pavimento. Lo svegliò e insieme scesero di corsa al pullman per andare a giocare la partita, con Cerezo che lasciò Trigoria in pigiama.

In tutta la nostra vita, infatti, non abbiamo mai conosciuto una persona più allegra e simpatica di lui. Nonostante un’infanzia grama Toninho ha sviluppato un carattere eccezionale, da perfetto giramondo, capace di adattarsi in ogni contesto: Brasile, Italia, Giappone. E che peccato che nella maledetta finale della Coppa dei Campioni col Liverpool, dopo aver corso per cento, stremò al suolo per i crampi durante i supplementari. Per il suo modo di correre, dinoccolato e scomposto, a Roma fu  detto “er tappetaro”, un soprannome che poco gli rendeva omaggio, visto che aveva dei piedi eccezionali.

Alla Roma Cerezo dette molto e forse ricevette meno di quello che avrebbe meritato in cambio. Non dai tifosi, però, che gli hanno sempre voluto bene, tanto da scrivere anche uno striscione in portoghese in un’occasione per lui particolare: “Toninho, a torcirda te una força”.

Lui non l’ha mai dimenticato e ogni volta che torna a Roma fa di tutto per farsi vedere nel suo vecchio Olimpico.

Ah, quanti rimpianti vederlo poi trionfare a Genova con la maglia della Sampdoria, dove approdò dopo tre stagioni in giallorosso grazie alla sua ultima partita da romanista: la finale della Coppa Italia 1985-86 contro la Sampdoria, nella quale entrò a cinque minuti dal termine e segnò il gol del definitivo 2-0, che dimostrò a tutti che non era finito, convincendo Mantovani a portarlo a Genova. In blucerchiato ha contribuito a scrivere le pagine più belle della storia del club, vincendo scudetto e Coppa delle Coppe.

Ma quando gli parliamo della Roma, ancora oggi, si allarga in un sorriso meraviglioso e ci dice sempre: “Amico, Roma è nel mio cuore e il colore di Dio è giallorosso!”.

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