Sacchi, il rivoluzionario.

Compie gli anni colui che ha lasciato più il segno, nel calcio, negli ultimi 35 anni.

Roma, 1 aprile 2021.

 

La ricorrenza.

Il primo d’aprile si presta, inevitabilmente, al ricordo del famoso pesce, scherzosamente.

Oggi ricordiamo che 75 anni fa vide la luce un personaggio che avrebbe lasciato un segno profondo nella storia del calcio italiano: Arrigo Sacchi.

Premessa: sono d’accordo che nel gioco del calcio ormai non s’inventa più nulla, ma come accade in diversi campi della vita spesso assistiamo a ripensamenti, revival, di concetti che erano propri parecchi anni fa.

Arrigo Sacchi però è stato un rivoluzionario.

Un’intuizione di Berlusconi lo portò al Milan nell’estate del 1987 e da quel momento il modo di pensare calcio, la preparazione atletica, l’aspetto tattico, in Italia, hanno segnato un significativo cambio di passo.

Prima di Sacchi alcuni allenatori nostrani, dall’inizio degli anni ’70, cominciarono a derogare dai soliti moduli speculativi del calcio all’italiana fatto di difesa ferrea e contropiede.

Viciani nella Ternana, Maestrelli prima nel Foggia poi nella Lazio tricolore del 1974, Vinicio nel Napoli, Radice nel Toro scudettato del 1976, Liedholm nella zona della Roma.

Questi appena citati avevano un pregresso, un’esperienza, di ottimo rilievo mentre Sacchi quando arrivò a Milanello era un illustre sconosciuto.

Al suo attivo solo un buon campionato di serie B con il Parma, oltre a qualche anno di gavetta tra serie D, C e formazioni primavera.

La vera rivoluzione è stata proprio la credibilità che Sacchi ha saputo spendere al cospetto di giocatori e ambiente che all’inizio del rapporto rimasero perplessi (eufemismo).

Si è sempre detto che la fortuna di Sacchi era avere nella rosa del Milan dei veri fenomeni, invece la storia ha dimostrato che i fenomeni sono diventati ancora più forti con i concetti appresi da Sacchi.

La rivoluzione è stata un cambio d’abito, di mentalità, del calcio italico con dispute di ogni tipo tra conservatori ed innovatori.

L’Europa già viaggiava a certi livelli con maestri come Michels, Kovacs, Busby, Clough, poi surrogati dai vari Cruijff, Ferguson, Guardiola.

Il ricordo di aver visto per due anni consecutivi il Milan prendere a pallonate il Real Madrid nel santuario del Bernabeu è qualcosa di unico.

La filosofia di Sacchi è stata sempre quella di predicare, sopra ogni cosa, il bel gioco.

Sempre e solo col gioco Arrigo pretendeva di arrivare al risultato, un tarlo continuo che a lungo andare lo ha profondamente logorato.

Quando arrivò secondo con la Nazionale nel mondiale americano del 1994 non ha avuto problemi nel riconoscere al Brasile Campione maggiori meriti rispetto agli azzurri.

Ho un doppio ricordo personale di Sacchi relativo al 1996, poco prima dei campionati europei di calcio per nazioni che si sarebbero svolti in Inghilterra.

Collaboravo con una radio romana e sia dopo un’amichevole disputata in gennaio a Terni che poco prima dell’inizio della manifestazione continentale mi rilasciò due interviste.

Scoprii un personaggio affabile, sensibile ad una chiacchierata che non fosse indirizzata alle solite domande.

Un uomo distante anni-luce dal prototipo presuntuoso che qualcuno aveva interesse a presentare.

Gli Azzurri furono eliminati nel girone preliminare da una Germania intimorita e catenacciara, complice anche un rigore sprecato da Zola.

L’Italia giocò un calcio spettacolare, di gran lunga il migliore dei campionati, ma Sacchi pagò l’eliminazione con l’esonero.

Il prosieguo è stato altalenante tra panchine e attività dirigenziale fino alla resa definitiva, ormai vuoto, consumato, di qualche anno fa.

Comunque grazie Arrigo Sacchi, visionario in un mondo italico pallonaro pieno di presuntuosi, parolai, conservatori.

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