Prezzi petrolio e carburanti con la guerra Israele-Iran: ora è calma piatta, perché?
Di solito, le tensioni in Medio Oriente portano a un boom dei prezzi di petrolio e carburanti: eppure ora con la guerra Israele-Iran è calma piatta. Che accade?

È corretto il pensiero comune secondo cui la guerra Israele-Iran porta a un boom dei prezzi di petrolio e carburanti, visto che da Teheran arriva un carico gigantesco di oro nero per il mondo. Eppure, nelle scorse ore il costo del barile di greggio è crollato, con riflessi su benzina e diesel.
Prezzi petrolio e carburanti con la guerra Israele-Iran: mille fattori
Sui circuiti elettronici internazionali, i prezzi del petrolio e dei prodotti petroliferi sono crollati proprio a inizio settimana, con la questione Medio Oriente tuttora bollente. In Italia benzina in self a 1,748 euro il litro e diesel in self a 1,887. Niente di che.
1) Eccesso di offerta globale. Attualmente, il mercato petrolifero globale è caratterizzato da un’offerta abbondante. La produzione di petrolio da parte di paesi non-OPEC+, come gli Stati Uniti (con il petrolio di scisto), il Canada e il Brasile, ha raggiunto livelli record. Questo surplus di offerta crea un cuscinetto che può assorbire eventuali interruzioni minori o percepite nella fornitura.
2) Domanda contenuta. Sebbene la domanda globale di petrolio sia in crescita, lo è a un ritmo più lento rispetto al passato, anche a causa delle preoccupazioni per la crescita economica globale e la transizione energetica. Una domanda meno robusta contribuisce a mantenere i prezzi sotto controllo.
3) Capacità inutilizzata dell’OPEC+: Nonostante le quote di produzione, alcuni paesi dell’OPEC+ (in particolare l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti) detengono una significativa capacità produttiva inutilizzata. Questo significa che, in caso di interruzioni dell’offerta, potrebbero rapidamente aumentare la produzione per stabilizzare il mercato, mitigando la speculazione al rialzo.
4) Percezione del rischio. Anche se la situazione tra Israele e Iran sia tesa, il mercato potrebbe non percepire un rischio immediato e prolungato di interruzione massiccia delle forniture di petrolio. Le minacce e le risposte possono essere considerate più come una “guerra di nervi” che come un conflitto su vasta scala che bloccherebbe le principali rotte di trasporto o le infrastrutture petrolifere.
5) Fattori macroeconomici. Le preoccupazioni per un rallentamento economico globale o per l’inflazione possono spingere gli investitori a ridurre le loro posizioni su asset più rischiosi, compreso il petrolio. Una minore attività speculativa può contribuire a tenere i prezzi bassi.
6) Rilascio di riserve strategiche. Alcuni Paesi hanno ancora la possibilità di attingere alle loro riserve strategiche di petrolio in caso di emergenza, un deterrente implicito contro aumenti eccessivi dei prezzi.
7) Comunicazione e diplomazia. La comunicazione tra i Paesi e gli sforzi diplomatici, anche se non sempre visibili al pubblico, possono contribuire a contenere l’escalation e a ridurre la percezione di un’interruzione imminente della fornitura.