Spettacolo

Accademia di Santa Cecilia – Anna Tifu diretta da Rizzari nel ‘Concerto in re’ di Sibelius

Voci del Primo Novecento

Roma, 27 ottobre 2019 – Anna Tifu è una giovane donna dai capelli biondi e gli occhi cerulei e il suo corpo minuto ed elegante regala immagini armoniose quando fende il palcoscenico dell’Auditorio Parco della Musica per prendere posto accanto al podio dove Carlo Rizzari è venuto a sostituire il direttore MIkko Franck, che ancora una volta ha dichiarato forfait al pubblico dell’Accademia di Santa Cecilia, in quanto indisposto.
Perché Anna è una violinista, aureolata da una serie di riconoscimenti, fra cui segnaliamo il Concorso Internazionale di Stresa vinto ad appena 14 anni (ma aveva cominciato ad esibirsi in pubblico già a 8 anni) e, nel 2007, il premio Enescu di Bucarest.
Anna che suona uno Stradivari ‘Maréchal Berthier’ del 1716 ex Napoleone, ha all’attivo una carriera già assai prestigiosa che l’ha portata ad esibirsi con le più importanti orchestre del mondo, con direttori del calibro di Dudamel, di Temirkanov e con musicisti come Yuri Bashmet, Mario Brunello e Andrea Bocelli.
Qui, per l’Accademia, ha scelto il ‘Concerto in re minore per violino e orchestra’ op.47 del finnico Jean Sibelius, considerato come un esempio di concerto tardo-romantico, una composizione tipica del musicista per le sue melodie semplici e spontanee affidate al solista, per il trattamento dell’orchestra che si limita spesso a far da sfondo al suono del violino. Il Concerto fu scritto tra il 1902 e il 1904, e dopo una prima presentazione al pubblico con lo stesso Sibelius sul podio e un solista mediocre, rimaneggiato, venne dato nel 1905 con la guida direttoriale di Richard Strauss. Da allora il suo successo si è proiettato nel tempo, tanto da essere diventata un’opera assai amata dai virtuosi, per il ruolo di protagonista assegnato dal compositore al solista, per il suo trattamento magistrale. Anna Tifu che suona con l’anima ha colto le sfumature più romantiche del brano, esaltandone il lirismo per poi infondere alla pagina lo slancio perfetto del suo terzo tempo, ’Allegro ma non tanto’.
Altro ambito è quello de “Le sacre du printemps”, quadri della Russia pagana, titolo chiarificatore dell’ispirazione sottesa che racconta le atmosfere prese a protagoniste del balletto per il quale era stata concepita la partitura da Igor Straviskij. Già autore di balletti di successo come L’uccello di Fuoco e Petruška, Stravinskij racconta di avere avuto come una sorta di visione ad occhi aperti su un grande rito pagano culminante con il sacrificio di una giovinetta al Dio della primavera. L’impressione avuta dal sogno fu tale che Stravinskij ne informò l’amico Djaghilev, il celebre impresario creatore dei Ballets Russes, il quale intuì subito che da quell’idea si sarebbe potuto trarre un balletto fortemente suggestivo da mettere in repertorio e da proporre con la coreografica del mitico Vaclav Nižinskij. Alla prima apparizione pubblica, l’opera ebbe il potere di scatenare la platea in due fazioni, c’era il gruppo della avanguardie amanti delle novità ad ogni costo e gli altri. Colpivano nella composizione quelle note acute del fagotto dell’inizio , colpiva il grande uso delle dissonanze, la strumentazione tutta poggiata sui fiati, brillante, lussureggiante, poderosa, tutte le inconsuete combinazioni sonore. Oggi ‘Le sacre du printemps’, che nel lontano 1914 ha aperto una nuova era musicale, ha assunto di diritto il ruolo di capolavoro che vive perfettamente senza il supporto della danza, perché è esso stesso immagine e movimento. Tutto questo è sottolineato con vigore dall’orchestra di Santa Cecilia ben condotta da Rizzari.
Il programma ceciliano era completato da l’ouverture da ‘Béatrice e Bénédict’ di Hector Berlioz, brano del fil rouge iniziato con la ‘Grande Messe des Morts’ scelta per inaugurare la stagione ceciliana, per omaggiare il compositore a centocinquanta anni dalla sua morte,

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