Lazio, Tricolore col brivido nel 2000.
Vent'anni fa l'incredibile epilogo del Campionato di calcio.
Roma, 14 maggio 2020. <<In questo istante Collina dichiara chiuso il confronto. Sono le 18,04 del 14 maggio del 2000 la Lazio è Campione d’Italia per la stagione 1999/2000>>.
Queste le parole, gonfie d’emozione, che la prima voce di Tutto il calcio minuto per minuto, Riccardo Cucchi, dispensa in diretta radiofonica dallo stadio Renato Curi di Perugia al termine della gara Perugia-Juventus, chiusa con la vittoria degli umbri per 1-0.
La stagione calcistica sopra citata è arrivata alla 34° ed ultima giornata con la Juventus in testa a 71 punti e la Lazio al secondo posto a 69 punti, con le ultime due gare che vedono i bianconeri in trasferta, appunto a Perugia, e i biancocelesti in casa contro la Reggina. Alla fine del primo tempo 0-0 in Umbria e 2-0 all’Olimpico col parziale ricongiungimento in vetta alla classifica. Mancano però ancora 45 minuti…
A questo punto entra in scena Hitchcock o se preferite Dario Argento, nel senso che il miglior giallista della storia non poteva prevedere il finale che si è poi verificato.
A Perugia, durante l’intervallo, scoppia un diluvio da far impallidire persino Noè mentre a Roma, dopo qualche minuto per garantire la contemporaneità col Curi, s’incomincia a giocare il secondo tempo in un clima surreale con la Lazio che chiude la gara vincendo per 3-0 sulla Reggina. Alle ore 17 circa, dopo più di un’ora di fradicia attesa, incomincia la seconda frazione della gara della Juventus su un terreno dall’incredibile drenaggio che rimane però molto pesante. Alle 17,16 Calori, possente difensore centrale del Perugia, porta in vantaggio i suoi ed allo stadio Olimpico un boato terrificante scuote l’impianto mandando in estasi i tifosi laziali rimasti sugli spalti, in silenzio ed in trepida attesa, dopo la loro partita.
Calma ragazzi ci sono ancora 40 minuti più recupero e la Juve non muore mai, mentre la Lazio nella sua storia può scrivere un trattato su cocenti delusioni subite ed in generale sulla cultura della sconfitta. Il tempo non passa mai e ci si inventa qualsiasi cosa per distrarre l’attenzione rimanendo incollati sulle posizioni che fino a quel momento, scaramanticamente, hanno portato bene.
Sono in tribuna Tevere in compagnia del mio secondogenito di 10 anni e di mio fratello, col piccoletto che non sta fermo un momento incurante dell’angoscia paterna. <Papà, non ti preoccupare lo Scudetto lo vinciamo noi (!)>.
Nel frattempo un parente del Mago del Brivido (sempre Hitchcock…) acuisce l’incredibile tensione che c’è allo stadio e diffonde dagli altoparlanti, in un eccesso di sadismo, gli ultimi 10 minuti della radiocronaca di Perugia. Riccardo Cucchi, che confesserà a fine carriera la sua fede laziale, si comporta da grande professionista e col suo ritmo incessante ci fa vivere i minuti finali di quella gara come fosse la fine del mondo. L’epilogo sta nell’incipit ed è l’apoteosi per tutto il popolo laziale tra abbracci, pianti e deliri vari.
Particolare curioso e che farà piacere (?) ai cugini giallorossi è la strana coincidenza che i due tricolori conquistati dalla Lazio presentano un comune denominatore in Maestrelli, Eriksson e Carlo Mazzone. Il primo da giocatore, il secondo da allenatore, hanno avuto qualcosa di romanista, mentre il terzo ne era (è) un acceso tifoso.
Giorgio Chinaglia, indimenticato eroe del primo titolo laziale, da semplice tifoso, dichiara: <Quando Collina ha fischiato la fine di Perugia-Juve ho pianto ed ho pensato a Maestrelli, da lassù avrà fatto festa anche lui>.
Dunque Lazio Campione d’Italia.
Cantori più famosi e smaliziati del sottoscritto hanno abbondantemente descritto ed incensato l’avvenimento; quello che posso aggiungere dopo vent’anni è un semplice ringraziamento. A mio padre, che mi ha introdotto s’in da bambino alla cultura dello sport e nello specifico all’amore incondizionato verso i colori biancocelesti, verso la GRANDE LAZIO.