Spettacolo

Brubaker.

Un dramma carcerario raccontato da un grande Redford.

Roma, 20 giugno 2020. Una delle opere più rappresentative della cinematografia statunitense è senza dubbio Brubaker uscito nelle sale quarant’anni fa esatti.

Ispirato a un libro autobiografico di Thomas Murton, un criminologo incaricato di riformare il sistema carcerario dell’Arkansas, il film, diretto da Stuart Rosenberg e interpretato da par suo da Robert Redford, mescola egregiamente impegno civile e una buona dose spettacolare.

Nella parte di Brubaker Redford offre una prestazione di grande spessore, come sempre quando si tratta di denunciare all’opinione pubblica fatti ed accadimenti scottanti; nello specifico gli viene affidato il compito di dirigere la prigione di Wakefield in Arkansas e l’approccio è a dir poco insolito. Brubaker si presenta come semplice detenuto, nascondendo la sua vera identità, allo scopo di verificare le condizioni del penitenziario che ha una particolarità e cioè che non ha in organico guardie carcerarie bensì dei detenuti cosiddetti affidabili.

L’insolita veste consente a Brubaker di verificare il pietoso stato di detenzione dei carcerati, la maggior parte dei quali è sottoposta a soprusi, violenze fisiche e psicologiche.

Oltre a ciò, nei giorni di finzione del proprio ruolo, scopre anche una rete omertosa di sfruttamento commerciale da parte di operatori della città conniventi con i boss del carcere, naturalmente con un danno economico rilevante per la struttura.

Quando viene il momento di svelare la sua vera identità, Brubaker si rende conto che ha colpito nel segno disorientando quelli che poi diventeranno i suoi più stretti collaboratori.

Inizia così un percorso di radicale ristrutturazione di tutta la struttura di Wakefield ed inevitabilmente si scontra contro i corrotti all’interno. A poco serve il sostegno che inizialmente qualche membro politico locale gli offre perché Brubaker non accetta mediazioni e a poco a poco gli si fa terra bruciata intorno.

Anche e soprattutto alcuni affidabili si mettono di traverso, dal momento che il loro bieco potere viene decisamente contrastato da Brubaker che però, cammin facendo, riceve un aiuto, una solidarietà insperata, da Dickie un detenuto del gruppo degli affidabili.

Dickie, interpretato dal rude Yaphet Kotto, all’inizio è molto dubbioso dei metodi rivoluzionari del nuovo Direttore ma col tempo ne viene conquistato e quando Brubaker viene sollevato dall’incarico, elegantemente fatto fuori, organizza un saluto, un tributo particolare, fatto di un battimani ritmato da tutti i carcerati per parecchi minuti.

La scena trasmette una profonda emozione, accompagnata da una base musicale stringente, e lo stesso Brubaker ne rimane sorpreso e gratificato.

Il dramma carcerario raccontato da Redford fa il paio, se vogliamo, con Fuga da Alcatraz della coppia Eastwood-Siegel dell’anno prima, ossia due film denuncia su sistemi carcerari che verranno in seguito messi in discussione e profondamente rinnovati. Addirittura due anni dopo la rimozione di Brubaker l’affidabile Dickie, al secolo Richard Coombes, fece causa contro la prigione di Wakefield e la Corte stabilì che il trattamento dei detenuti era incostituzionale, con conseguente perdita della poltrona al Governatore dello stato.

Un’ultima segnalazione: chi avrà modo di (ri)vedere la pellicola guardi il detenuto che solleva un finimondo nella scena in cui si rivela Brubaker come nuovo direttore del carcere. Uno straordinario e semisconosciuto Morgan Freeman che avrà modo in pellicole successive di duettare ancora con Redford.

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