Racconti di sport

Fulvio Bernardini: il Dottore.

Ricordo di un grande calciatore e di un grande tecnico.

Roma, 13 gennaio 2024

 

Oggi sono quarant’anni dalla scomparsa di uno dei grandi del calcio capitolino e nazionale: Fulvio Bernardini.

Talento precoce, grande personalità, Fulvio, “Fuffo”, scatena entusiasmi sin dall’adolescenza non avendo problemi, nel gioco, sia con le mani che con i piedi.

A poco meno di 14 anni (!) debutta come portiere nella Lazio, per cambiare ruolo un paio di stagioni dopo su intuizione del tecnico Baccani.

<Con i guantoni, in attesa dei tiri degli avversari, sei sprecato. Devi illuminare il gioco>.

Prende la maglia di centromediano, che nel calcio d’allora è il primo costruttore di gioco, ed inizia un ciclo felice contribuendo a far crescere la Lazio come potenza dominante del centro-sud.

Bernardini ha classe, elegante nell’impostazione, e di lì a poco, ad appena 19 anni, debutta in Nazionale.

Bruno Roghi, maestro di giornalismo sportivo, così scrive:<Fulvio governa il calcio in mezzo al terreno come il nocchiero dalla torretta della nave. Calmo, attento e lucido>.

Bernardini, antesignano del calcio-spettacolo, matura, paradossalmente, appena ventisei presenze in Nazionale tanto che Vittorio Pozzo, commissario tecnico degli Azzurri, così si giustifica:< E’ troppo bravo, non lo schiero perché è una spanna sopra gli altri e gli altri non sempre lo capiscono>.

Dopo sette anni di Lazio Bernardini accetta il favoloso, per l’epoca, ingaggio di 150.000 lire dall’Inter, aggiungendo all’esperienza milanese la laurea in scienze economiche alla Bocconi.

Per i tempi gli eroi della pedata, come pure i faticatori della bicicletta, sono considerati poco più che rozzi e Bernardini si eleva da tutto ciò meritando l’appellativo di “Dottore”.

Ritorna a Roma nel 1928 e diventa una colonna giallorossa per undici anni, simbolo della “Roma testaccina” insieme ad Attilio Ferraris IV.

Facile pensare che un uomo di così ampie vedute, non solo tecniche, appesi gli scarpini al chiodo, diventi allenatore e nei suoi incarichi vanti due scudetti con squadre non appartenenti ai lidi torinesi e milanesi.

La Fiorentina dei Cervato, Montuori, Segato, Virgili, trionfa nel 1956 sfiorando nella stagione successiva la Coppa dei Campioni, battuta dal favoloso Real Madrid.

Il Bologna nel 1964, con Nielsen Haller, Bulgarelli, Pascutti, conquista il suo settimo scudetto nell’infuocato spareggio, all’Olimpico, contro l’Inter fresca vincitrice della sua prima Coppa dei Campioni.

Anche da tecnico Bernardini ha idee innovative, in un calcio pane e salame di quei tempi, privilegiando il concetto dei calciatori dai “piedi buoni” sull’estremo tatticismo.

Concetto che impone nel 1974 quando viene chiamato a rifondare la nostra Nazionale, dopo il fallimento ai mondiali di Germania, ormai orfana dei monumenti Mazzola, Rivera e Riva.

Il lancio dei giovanissimi Rocca, Roggi, Antognoni, Graziani, Gentile, insieme alla conferma di giocatori esperti come Zoff, diventa la solida base che Bearzot eredita nel 1977 fino poi all’apoteosi del mondiale 1982.

Il “Dottore”, con il suo parlare strascicato ma che esprime concetti estremamente lucidi, rappresenta per i più anziani, romantici e nostalgici, l’appartenenza ai colori biancocelesti. Anche se più corposa è la militanza con la Roma che gli intitola, post-mortem, il centro sportivo di Trigoria.

Forse, come già detto, quell’esordio da bambino vissuto insieme a personaggi che incarnano lo spirito dei fiumaroli di ponte Margherita.

Uscito, da predestinato, direttamente dal fiume Tevere.

Un Dio Tiberino…

 

 

 

 

 

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