Tematiche etico-sociali

La legge Rognoni-La Torre, tra storia e attualità

Di Enzo Ciconte

Roma, 02 novembre 2022 – Il 13 settembre 1982 entrò in vigore la Legge n. 646, nota come Legge Rognoni – La Torre, che introdusse per la prima volta nel Codice penale italiano il reato di “associazione per delinquere di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.
A spiegare perché ancora oggi è fondamentale preservare il provvedimento approvato quarant’anni fa, è questo libro monografico, che inaugura la collana Approfondimenti promossa da Avviso pubblico, Enti locali e regioni contro mafie e corruzione, curato dal grande Enzo Ciconte. Considerato da molti fra i massimi esperti in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose, ha realizzato numerosi studi relativi al meccanismo di penetrazione delle mafie al nord, ai rapporti tra criminalità mafiosa e locale e alle attività mafiose nei nuovi territori. Alle elezioni politiche del 1987 si candida alla Camera dei Deputati e viene eletto nel collegio di Catanzaro tra le file del P.C.I. con 29.954 preferenze. Nel corso della X legislatura ha fatto parte della II Commissione Giustizia come membro e segretario. È stato inoltre consulente presso la Commissione parlamentare antimafia. Apre le riflessioni con una descrizione storica del percorso della legge. Vi è anche un contributo di Giuliano Turone, Magistrato che indagò sulla mafia e sulla P2, riconosciuto come uno dei più autorevoli studiosi del reato associativo di tipo mafioso. Vengono inoltre pubblicati un’intervista inedita a Virginio Rognoni e gli stralci di alcuni documenti storici recentemente desecretati, insieme a dati statistici su beni e aziende confiscate.

Iniziamo a leggere parti dell’interessante libro.

““Ora tocca a noi” parole dette da La Torre al suo amico Senatore Emanuele Macaluso il 12 Aprile 1982. Il 13 settembre 1982 il Parlamento approvò la legge n° 646 che inseriva nel Codice Penale l’articolo 416/bis che introduceva il reato associativo di tipo mafioso.
La legge era stata proposta e voluta fortemente da Pio LaTorre, Deputato del PCI, che non poteva aggiungere il suo voto a quello degli altri suoi colleghi perché era stato ucciso il 30 Aprile di quell’ anno in un agguato in cui morì anche Rosario Di Salvo, amico e compagno di La Torre che in quel momento era il suo autista. La legge è comunemente conosciuta come legge Rognoni – La Torre perché accanto al nome del dirigente comunista si aggiunse quello del Ministro dell’Interno dell’ epoca Virginio Rognoni, Deputato democristiano eletto a Pavia. Fu una legge rivoluzionaria i cui effetti si avvertono ancora oggi: fu approvata, dopo un percorso accidentato, anni dopo dalla sua originaria proposta. Le pagine che seguono cercheranno di descrivere il contesto storico in cui agì La Torre che fu il principale proponente, l’ evoluzione della mafia di quegli anni, l’origine del provvedimento, l’iter complesso ed irto di ostacoli prima di essere approvato, le radici profonde delle resistenze che lo fecero arenare finché il 3 settembre l’uccisione del Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, arrivato a Palermo proprio il giorno della morte del dirigente comunista, suscitò come reazione l’immediato sblocco e l’approvazione della legge. Sono trascorsi quarant’anni da allora, ed oggi qualcuno si chiede se lo strumento approvato in quella particolare congiuntura sia ancora adatto a contrastare il fenomeno mafioso che rispetto a quel determinato momento storico è mutato in modo notevole, a cominciare dall’abbandono della violenza che da trent’anni a questa parte non vede più cadere come vittime gli uomini delle istituzioni. Gli ultimi sono stati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le donne e gli uomini delle loro scorte, tutti immolati nelle tragiche stragi di Capaci e di via D’Amelio.””

– da pag.10. “”1. Le dinamiche interne a Cosa nostra. Quando La Torre propose il suo disegno di legge, Cosa Nostra stava cambiando pelle e si mostrava sempre più spavalda e spericolata. Era in pieno svolgimento una guerra spietata, all’ultimo sangue. Riina era stato proprio bravo a scegliere poco a poco dentro ogni famiglia mafiosa dislocata a Palermo e in alcuni comuni della provincia, uomini a lui fedeli per creare uno schieramento occulto e trasversale, clandestino e sconosciuto agli altri membri delle famiglie. Solo dopo aver costruito questa rete scatenò l’offensiva che inflisse una sonora sconfitta a quelli che furono definiti “perdenti”…””

– da pag.15. “”Pio La Torre aveva intuito che gli omicidi di personalità importanti avevano un segno molto diverso da quelli del passato. il 26 ottobre 1979 il “Mondo” pubblicò un’intervista curata da Onofrio Pirrotta con un titolo ad effetto: “Parla La Torre: chi si muove è Ciancimino”. Il dirigente comunista parlò degli omicidi di Giuliano e di Terranova che secondo lui erano un’espressione di un “fenomeno nuovo, che ha il carattere di un’azione terroristica vera e propria”. Di fronte a uno scenario caratterizzato dal “sempre più solido nesso tra mafia e potere politico” è necessario agire e “bisogna cercare di individuare il gruppo politico-mafioso che sta portando avanti quello che si configura come un vero e proprio disegno terroristico” che rappresenta “un salto di qualità del fenomeno mafioso”… La presenza in Sicilia di un personaggio molto noto e pericoloso come Michele Sindona lo spingeva ad accentuare l’analisi sulla pervasività dei legami internazionali della mafia che oramai spaziavano da Palermo a Milano, da Roma a Ginevra e a New York. Le nuove potenze finanziarie mafiose hanno imparato a sviluppare contemporaneamente attività imprenditoriali apparentemente lecite che si intrecciano con le attività criminose. Le nuove organizzazioni criminali, mutuando i metodi del terrorismo, diventano via via più spavalde sfidando apertamente i pubblici poteri. Accade così che le modalità di un omicidio mafioso seguono quelle caratteristiche del terrorismo politico e viceversa. Il suo non è un discorso generale, ma rifletteva quanto stava accadendo nell’isola perché “con gli ultimi assassinii verificatesi a Palermo siamo di fronte ad un gruppo politico mafioso che ha scelto di farsi avanti con sistemi del terrorismo politico”.
3. Le resistenze all’ approvazione della legge. Tranne che a Palermo, dove oltre lo sconcerto ci fu una mobilitazione vastissima, la brutale uccisione di La Torre non determinò una reazione talmente forte da far approvare immediatamente la proposta di legge che lo vedeva primo firmatario. La proposta di legge presentata il 31 Marzo 1980, due anni prima dell’agguato, trovò sulla sua strada molti ostacoli di varia natura poiché la logica politica che sosteneva il progetto comunista andava a toccare interessi molteplici di carattere politico, economico e mafioso. Già solo l’idea di introdurre nel C.P. italiano un reato specifico di associazione mafiosa non era certo accolta con favore da tutti. Molti furono coloro che si sentirono minacciati e danneggiati da questa ipotesi. Le resistenze erano tante e si concentravano per lo più in Sicilia, soprattutto nella DC, dove c’era il potente Salvo Lima che si opponeva all’approvazione della legge e dove la forza di Ciancimino era aumentata. Ciancimino e Lima fecero di tutto per non far approvare la legge. La testimonianza del ministro Rognoni, che pubblichiamo in appendice, è la conferma che gli ostacoli maggiori provenivano dai settori della DC legati a Ciancimino che aveva ancora il potere di condizionare le decisioni della DC nazionale. All’indomani dell’uccisione di La Torre, vennero alla luce svariati tentativi di ridimensionare il senso del testo e per bloccarne l’iter legislativo. Alcuni documenti dei servizi segreti, di recente desecretati, ed ancora inediti, ci consentono di gettare uno sguardo nuovo sull’ intera vicenda perché si comprese subito che occorreva depotenziare la portata dell’uccisione del segretario regionale del PCI e di conseguenza la portata della sua legge, impedendone l’ approvazione…””

– da pag.29. “”Dalla Chiesa fu nominato, “su segnalazione pressante di La Torre”, Prefetto di Palermo, ci assicura Domenico Rizzo. C’è da credere a questa affermazione perché La Torre nelle sue cose era proprio così: pressante. Perché La Torre ha chiesto che ci fosse un impegno diretto di dalla Chiesa? Che i due si conoscessero sin da quando La Torre era dirigente sindacale a Bisacquino, che si stimassero e non nascondessero la loro amicizia, e si frequentassero, era cosa nota e risaputa. È proprio questa frequentazione che spinge La Torre a proporre un uomo che conosceva i corleonesi da quando era al comando dei Carabinieri di Corleone e che aveva maturato una grande esperienza contro il terrorismo. La Torre aveva capito che i corleonesi erano diventati molto forti, oramai comandavano la mafia palermitana, anche se molti dei suoi compagni si mostravano scettici pensando che l’analisi di La Torre fosse viziata dal ricordo dei suoi anni giovanili.
5. L’ assassinio di Carlo Alberto dalla Chiesa. Il 3 settembre 1982, 125 giorni dopo La Torre, fu ucciso dalla Chiesa da poco nominato Prefetto di Palermo insieme a sua moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo adibito alla sua scorta. Dalla Chiesa si insedia, su richiesta del Governo, proprio il giorno dell’uccisione del dirigente comunista per dare un segnale forte all’opinione pubblica turbata dal feroce assassinio. Arrivò a Palermo e nessuno lo andò a prendere in aeroporto. L’auto di servizio della Prefettura era in ritardo! L’accoglienza riservatagli fu l’avvisaglia di quello che sarebbe accaduto al Prefetto durante tutto il periodo palermitano; in tutti quei mesi Dalla Chiesa cercò di ottenere i poteri necessari per agire con efficacia contro la mafia, ma non li otterrà. Il 2 Aprile, prima di accettare la nomina a Prefetto, il Generale scrisse a Spadolini una lettera molto chiara in cui lo illuminava sui messaggi lanciatigli attraverso i giornali dalla famiglia politica “più inquinata del luogo”… Il Prefetto di Palermo non ebbe vita facile, fu ostacolato e contrastato, si fece di tutto per ridurre il suo ruolo a mera rappresentanza senza poteri effettivi, cogenti. E alla fine fu ucciso in modo atroce. Allora c’è da chiedersi perché in questa situazione uccidere dalla Chiesa? Soprattutto perché ucciderlo dopo La Torre il cui omicidio arrivò alla fine di una serie di delitti eccellenti? A chi serviva dalla Chiesa ucciso subito? Quale urgenza c’era? L’urgenza c’era per la mafia o per qualcun altro? Per due omicidi così importanti avvenuti nello stesso anno, a poca distanza l’uno dall’altro, quello di La Torre e quello di dalla Chiesa, come anche per gli altri omicidi, l’opinione di Falcone e dei Magistrati del pool antimafia di Palermo era che si trattasse di omicidi con motivazioni differenti, anche se la mano omicida era sicuramente mafiosa e restava solo da stabilire chi avesse armato la mano. Gli omicidi di Reina, Mattarella, La Torre e, per certi versi, anche quello di Carlo Alberto dalla Chiesa, Prefetto di Palermo, sono fondamentalmente da ritenere di natura mafiosa, ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di un’organizzazione criminale, anche se del calibro di Cosa nostra.
6. L’iter parlamentare della legge. Con atto della Camera n°1851 datato 31 Marzo 1980, il Gruppo parlamentare del PCI presentava una proposta di legge, primo firmatario l’On. Pio La Torre, con la quale si intendeva introdurre un nuovo reato nel Codice Penale. La proposta, secondo i Deputati comunisti, “è la traduzione in termini legislativi di proposte e suggerimenti delle forze politiche e della cultura giuridica per strumenti più puntuali con la prevenzione e la repressione della delinquenza mafiosa”. L’art. 1 era così concepito: Dopo l’articolo 416 del Codice penale è aggiunto il seguente: art. 416/bis – associazione mafiosa. “Chiunque fa parte di un’associazione mafiosa o di un gruppo mafioso, costituito da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione o il gruppo sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro ad otto anni.” La novità era rilevante perché “con il reato di associazione mafiosa si punisce chiunque fa parte di un’associazione o gruppo costituito da almeno tre persone, per trarre profitti o vantaggi, mediante la forza intimidatrice del vincolo associativo mafioso. Con questa previsione si vuole colmare una lacuna legislativa”… Inoltre la proposta di legge prevedeva di istituire una “Commissione parlamentare di vigilanza e di controllo” con il “compito di seguire l’evoluzione del fenomeno della mafia in Sicilia in Calabria e nelle altre Regioni e di controllare l’attuazione delle leggi e gli indirizzi del Parlamento relativi alla mafia”. L’idea non ebbe fortuna e non fu accolta. Si continuò con il vecchio andazzo di far approvare la legge per istituire la Commissione antimafia ad ogni inizio di legislatura, perdendo mesi e mesi di discussioni in Parlamento prima di approvare la nuova legge ed eleggere il Presidente. Ma soprattutto, quello che più contava, era il fatto che la Commissione antimafia era riferita solo alla Sicilia. Perché potesse interessarsi del resto d’Italia bisognerà attendere la X legislatura (1987-1992), Presidente Gerardo Chiaromonte…
7. Il valore della legge. Cosa avvenne subito dopo l’omicidio di dalla Chiesa lo sappiamo. Nel giro di una manciata di giorni il Parlamento approvò la legge voluta da La Torre, una legge rivoluzionaria perché per la prima volta si introdusse il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso e si spalancò la porta alla possibilità di indagini patrimoniali per arrivare al sequestro e alla confisca dei possedimenti mafiosi. Per la mafia fu una sonora sconfitta dalla quale non si riprenderà più perché quella legge fu il grimaldello che avrebbe scardinato le organizzazioni mafiose. Senza quella legge non ci sarebbe stato il maxiprocesso a Palermo né si sarebbero celebrati tutti i processi per mafia, in tutta Italia, da allora fino ad oggi. È stato il primo, grande errore dei corleonesi. Il secondo errore fu quello di uccidere dieci anni dopo Falcone e Borsellino, determinando nello Stato la volontà di condurre una spietata lotta alla mafia. In tutti questi episodi Riina era a capo della mafia. Chi lo consigliò, o lo costrinse, a commettere quelle stragi e quegli omicidi? La domanda non ha una risposta e rimane uno dei tanti misteri della storia d’Italia. Dunque, l’accelerazione era stata determinata dall’uccisione del Prefetto dalla Chiesa. Prima di allora la proposta La Torre si era impantanata ed era stata approvato un solo articolo. Il perché lo ha spiegato l’ex Ministro Rognoni durante una serata al collegio Santa Caterina da Siena di Pavia che aveva come argomento “Trentacinque anni di 416/bis”: “Io dissi che era già stato presentato alla Camera anche un progetto di legge del Governo a mia firma, ma che la calendarizzazione era molto difficile, non tanto per l’introduzione della sua discussione nell’agenda parlamentare, ma perché c’erano delle resistenze. La battaglia politica era durissima, c’era molta gente che riteneva che le cose non dovessero prendere quella strada. Dopo l’assassinio di dalla Chiesa e della sua consorte, che rappresentò la svolta, la legge andò in porto…””

Sin qui il libro.

Ora come di consueto integrazioni commenti valutazioni.Trattando questa materia, torna il ricordo di un bellissimo libro, che invito a leggere: “Sulle ginocchia. Pio La Torre, una storia“, Melalampo Editore, scritto dal figlio Franco, (letto a Settembre 2015). Una memoria insieme commovente e asciutta, che racconta un leader politico con gli occhi del bambino e dell’adolescente ma anche con la consapevolezza di chi oggi è dirigente dell’associazione “Libera”. Quella descritta, un’epoca che ha visto una lunga sequenza di crimini, guerre di mafia, scandali, attentati e terrorismo, raccontata attraverso il materiale di indagine e gli atti processuali, legando i fatti in una visione di insieme.

Ora concludo, sostenendo che c’è un vizio atavico nella nostra bella Italia, quello delle facili amnesie, con tendenza alla rimozione di ciò che è accaduto, persino quando si tratti di fenomeni drammatici che hanno sconvolto l’Italia come il terrorismo storico.

Negli anni Settanta, le prime violenze furono decisamente favorite da un clima di indifferenza, disattenzione, sottovalutazione, se non indulgenza e contiguità.

Si faceva riferimento ai “compagni che sbagliano”, alle teorizzazioni assurde “Né con lo Stato né con le BR” e altro.

Senza alcuna pretesa di stabilire delle analogie, va detto che sarebbe di nuovo sbagliato sottovalutare o registrare con indifferenza ciò che sta accadendo.

Ogni volta che, a distanza di qualche anno, si verifica un grave fatto, ecco Politica, media, analisti da scrivania a sorprendersi; si è, ogni volta, all’alba del Mondo per cui si scrive, si scrive e si parla, si conciona, si disserta a dismisura.

Sì, questa la storia infinita della tragica eterna pagina italiana!

Cosa fare?

Certamente l’attenzione va tenuta costantemente alta da parte di tutti.

E questo imperativo di vigilanza riguarda in primis la Politica e tutte le Istituzioni, non escludendo la gente comune perché oggi, sull’onda lunga della gravissima crisi economica aggravata a dismisura dalla pandemia, dalla guerra e dall’aumento dei prezzi, la saldatura dei gruppi terroristici esistenti “dormienti”, con frange anarchiche anche internazionali, è senz’altro possibile, con ovvi accorti pilotaggi esterni.

Poi, sappiamo che la mafia con la coppola in testa non spara più a La Torre al Prefetto dalla Chiesa a Falcone e Borsellino perché fa parte di enormi comitati di affari collegati a politica come ad aree massoniche che la rende nebulosa e invisibile…

Quale futuro?

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