Spettacolo

“Pirandelliana 2013” a Sant’Alessio all’ Aventino

La Bottega delle MaschereLa compagnia teatrale “La bottega delle maschere” diretta da Marcello Amici presenta, dal 4 luglio al 4 agosto, nell’incantevole Giardino di Sant’Alessio all’Aventino…

Pirandelliana 2013 con due messinscena che dilagano nel giuoco del teatro, dove si racconta, con l’arma antica dell’ironia e dell’umorismo, dell’uomo, della sua poesia, dei suoi sogni,  delle sue metafisiche rivolte e delle sue disperate scoperte. E’ una programmazione unitaria per i suoi contenuti, per le tante linee trasversali che uniscono gli stessi concetti e gli stessi sogni. La regia ha trasformato l’intera allegoria in un grande abbozzo astratto, in un aereo e fantomatico concerto a più voci. Tutto diventerà polvere d’oro: dalle faville che sono in una notte d’estate all’Aventino, alle vicende sul palcoscenico, scricchiolio di cose immobili che al contatto con l’uomo si vivificano: è una rassegna dedicata al teatro di parola. “La bottega delle maschere” ha sviluppato una tesi, un progetto ambizioso, perché le voci di dentro non siano soltanto pensieri, ricordi, immagini. L’uomo ha bisogno di teatro dove basta immaginare e subito le figure, le memorie, le opinioni si fanno vive da sé, ritrovano i simboli e le valenze delle cose perdute. Si ride e si sorride e si riflette dinanzi al Palcoscenico di Pirandelliana 2013 (giunta alla XV edizione). “Il berretto a sonagli” apre la rassegna il 4 luglio e sarà in scena il martedì, il giovedì e il sabato. “Pensaci, Giacomino!” prosegue il 5 luglio e sarà in scena il mercoledì, il venerdì e la domenica. “Il berretto a sonagli”, forse la più perfetta commedia di Pirandello: giudizio di Sciascia! Per dimostrarlo, la regia ha inserito anche un prologo: La verità, la novella prodromo della storia raccontata da Ciampa e, per farlo, ha adoperato anche come spettatori i personaggi della commedia, ai lati di un palcoscenico rimpiccolito dalle luci, come piccolo è il loro mondo dove l’apparenza conta più di qualsiasi altra cosa.  Sulla scena, tutti a loro modo hanno un’agitazione che esprimono con la voce e con il corpo. Tutti, tranne Ciampa. La sua calma nasconde una profonda sofferenza: la ragione parla, mai grida.  Nella novella, Tararà uccide la moglie; racconta tutto, punto per punto, al giudice che lo condanna a dodici anni di reclusione. Ciampa, invece, ha un lampo che consacrerà a pirandelliano il suo personaggio. Il suo carattere, scrive Pirandello a Martoglio che dirigeva le prove della messinscena ‘A birritta cu’ i ciancianeddi, interprete Angelo Musco, è pazzesco; questa la sua nota fondamentale. Gesti, andatura, modo di parlare, pazzeschi. Una maschera nuda che sottolinea il contrasto tra il sotterraneo fluire dei sentimenti e la rigidità delle forme che li imprigionano, tra verità e finzione. L’apparire conta più dell’essere: conservare il rispetto della gente, tenere alto il proprio pupo – quale si sia – per modo che tutti gli facciano sempre tanto di cappello! Poi, come tutto si placa dopo un temporale, anche qui, come nelle altre storie di Pirandello, non accade nulla: fingere ancora un pochino (tre mesi, in manicomio!) e ognuno potrà riprendersi il proprio posto nella società. Ciampa, in apparenza grottesco ma in realtà straziante, è una delle espressioni più moderne di tutta la galleria degli eroi pirandelliani. Un personaggio misero e titanico allo stesso tempo, eroico e pieno di umanità. Una umanità silenziosa e astuta che gli dà la forza di difendere la sua infelicità coniugale contro una società ridicola. Un personaggio apparentemente piccolo, ma infinitamente grande. La messinscena apre con la novella La verità, all’origine della commedia Il berretto a sonagli: Tararà confessa al giudice di non aver potuto fare a meno di ammazzare la moglie che lo aveva cornificato facendolo sapere a tutto il paese,  e subito si accendono le luci sulla storia di Ciampa.  Ciampa, scrivano, piccolo intellettuale di una sperduta provincia siciliana, accetta senza reagire che la giovane e procace moglie sia l’amante del cavalier Fiorica, l’uomo di potere che gli dà lavoro, al tacito patto che della relazione nessuno parli e, soprattutto, che nessuno possa andar dicendo che lui ne è a conoscenza. Quando la gelosia di Beatrice, moglie del Fiorica, rompe la convenzione del silenzio, e i due amanti vengono addirittura sorpresi e arrestati dalla polizia, Ciampa si ritrova nelle condizioni di Tararà, deve vendicare il suo onore, pena il disprezzo e l’ostracismo dei concittadini; ma ha un lampo – quel bagliore che all’improvviso pervade tutta l’opera pirandelliana – riesce a convincere la signora Fiorica a farsi passare per pazza ed entrare in una casa di salute, in modo che le ragioni da lei urlate non siano credibili. Come? Basterà che si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crederà, e tutti la prenderanno per pazza. “Pensaci, Giacomino!”: È il trionfo della spontaneità, della follia, dell’irrazionale. Irrazionale è tale solo in confronto a ciò che si è soliti chiamare ragione. In sé, è ragione, è logica anch’esso. Ciò che si chiama ragione non è una delle tante forme, delle tante ragioni possibili, che ha, certo, diritto di vivere e di affermarsi, ma ha torto, quando vuole negare la possibilità e il diritto di altre forme, di altre ragioni?  La logica pirandelliana tocca il suo culmine in questo straordinario lavoro in cui si vede un marito forzare l’amante della moglie a tornare alla donna abbandonata e, quel che è più, ad avere ragione di agire così. Mai certa relatività delle costruzioni umane, che di fronte alla ragione e al comune diritto appare, e deve apparire, assurdità e follia, era stata sostenuta con violenza più acerba, più aperta e più lucidamente logica dall’Autore di Maschere nude. La regia ha colto, lavorando alla siciliana, i tratti umoristici della commedia e li ha estesi a quelli ombrosi, sghembi e ironici scovati tra le pieghe della messinscena. È un Pirandello fatto di apparente genuinità popolaresca, ma è sempre il raffinato, ironico e amletico scrittore pieno di rimandi e di sottili allusioni. Il sipario si apre su una scena futurista che rende subito evidente lo strano personaggio che emerge dalle atmosfere irrazionali dell’uomo di Girgenti, pronto a mettere in discussione, a inquadrare gli squilibri e quell’intricato mondo di passioni e doveri, di sostanza ed apparenza, che è la famiglia “allargata” in un interno. Commedia morale dunque, umoristica ma anche grottesca, con un personaggio che affronta l’ipocrisia del mondo senza la maschera di un ruolo sociale, quello di marito, un ruolo di cui si è liberato subito, dichiarando di non volerlo essere. Ma siamo certi che, dando un’anima a una bislacca marionetta, non si superi il limite, proprio di quel paradosso al quale ci si vuole sottrarre? In altri termini, l’amarezza della commedia, e quindi della sua umanità, non deriva forse dal contrasto tra uomini e burattini? Ma s’è mai visto un più tragico fantoccio del professor Agostino Toti, di questo dolce apostolo dell’assurdo, così liricamente pervaso della sete di stravagante carità? Agostino Toti, anziano professore di ginnasio, prende moglie per far dispetto al Governo che lo ha tenuto per trentaquattro anni a stecchetto con un misero stipendio. Sposa la giovane Lillina, cui assicura di fare da padre e nient’altro, messa incinta dal suo ex alunno Giacomino Delisi, per obbligare il Governo a continuarle a pagare la pensione, per almeno altri cinquant’anni dopo la sua morte. Tutta la commedia è una costruzione della logica assurda, folle, irrazionale, ma in sé coerente, armoniosa  e razionalissima. La moglie giovane potrà continuare a vedere il suo Giacomino. Il professor Toti, però, non deve saperlo, cioè lo sa, ma dev’essere come se non lo sapesse! È un tradimento? Agostino Toti l’ha messo nel conto. Le corna gli assicureranno la pace in famiglia. Del resto, il tradito non sarà lui che alla giovane moglie può fare solo da padre, ma il marito che, in realtà, lui non è, non vuole e non può essere. La gente ride e si scandalizza. Giacomino non sopporta più quella situazione paradossale di menage a trois, per cui abbandona Lillina e il piccino e si fidanza per tornare nell’ordine e mettere su casa propria. Il professor Toti, prima con le più tenere preghiere, poi con serie minacce – Pensaci, Giacomino! – l’obbliga a tornare da Lillina e dal suo bambino.

 

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