Spettacolo

La divina Anna Proclemer al Teatro Ghione a Roma

Dal 9 all’ 11 novembre la grande, divina Anna Proclemer si esibirà sul classico palcoscenico del Teatro Ghione (Roma, via delle Fornaci 37, a pochi passi da San Pietro).

(Anna Proclamer)

La poliedrica personalità di Alberto Savinio (Atene, 1891 – Roma, 1952), scrittore, musicista, pittore, ha suggerito l’idea di dedicargli una serata dove potessero fondersi insieme i diversi linguaggi della sua creatività.
Tra le tante pagine scritte dall’artista un numero non irrilevante è dedicato a soggetti nei quali la musica assume un ruolo protagonistico.
Ciò avviene comunque nel segno, tipicamente saviniano, dell’insofferenza verso ogni modello codificato e ogni forma di accademismo. Il processo di deformazione della realtà, messo in atto dall’autore, spoglia infatti il fenomeno musicale di ogni paludato atteggiamento per conferirgli forme fantasmagoriche e imprevedibili.
Del resto per Savinio, abilissimo in ogni campo artistico a fondere il concreto con l’assurdo, “realtà e sogno sono aspetti della stessa verità”.  
Tra i soggetti sottoposti a questo scardinamento metafisico, il pianoforte – il più sacralizzato strumento della tradizione romantico-ottocentesca – assume nella narrazione saviniana tratti di surreale “magismo”. Ed è proprio il pianoforte l’elemento cardine di questa serata, il protagonista diretto o indiretto evocato dalla voce della Proclemer, qui nel ruolo di “Anna dei pianoforti”.  
Se è lo stesso Savinio ad affermare che i suoi racconti sollecitano una versione musicale, ciò vale a maggior ragione per quelli intessuti di esplicite citazioni pianistiche, la cui esecuzione sembra giustificata dalla stessa struttura narrativa. È il caso di Pianista bianco e di Vecchio pianoforte, dove è venuto spontaneo utilizzare come commento sonoro frammenti dei brani citati che contribuiscono al tempo stesso a esaltare l’intima teatralità di questi racconti, trasformandoli quasi in partiture per voce e pianoforte.
Più complesso il discorso per La pianessa, nella quale la sbrigliata fantasia dell’autore antropomorfizza lo strumento al punto da fargli assumere una propria specifica personalità: per dar voce a questo pianoforte “umanizzato” non c’era altra scelta che quella di ricorrere ai suoni del Savinio compositore.
Da qui l’idea di reperire nell’archivio dell’artista, conservato al Gabinetto Vieusseux di Firenze, musiche inedite, il cui utilizzo è stato gentilmente concesso da Angelica e Ruggero Savinio.
Il testo è così diventato un racconto in musica, nel quale la voce recitante e il pianoforte interagiscono fra loro, dando vita a quella fusione di parola e suono che prende il nome di “melologo”.
Una volta intrapresa questa strada, si è pensato di recuperare un ulteriore aspetto dell’artista: il Savinio critico musicale. I saggi L’ultimo mago della tastiera e soprattutto Chopin ci rivelano, accanto all’acutezza e alla provocatorietà dei giudizi,
uno stile letterario di grande suggestione che riesce, ora con pennellate brillanti ora con impennate liriche, a offrire ritratti di estrema vivezza, in grado di imprimersi indelebili nella memoria.         

 
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