Spettacolo

C’era una volta il West.

Cinquant'anni fa il capolavoro di Sergio Leone.

Roma, 21 dicembre 2018 – Dopo la “Trilogia del dollaro” Sergio Leone, popolare cineasta romano papà degli spaghetti-western, da inizio alla “Trilogia del tempo”, col capolavoro “C’era una volta il west”, cinquant’anni fa in uscita nelle sale cinematografiche, a cui seguono “Giù la testa” e “C’era una volta in America”.
Leone prepara la sceneggiatura del film con due giovani emergenti, Bernardo Bertolucci e Dario Argento, che non sono i suoi collaboratori abituali e riceve l’aiuto di Sergio Donati che lega tutte le componenti del film con riferimenti a celebri pellicole del passato attraverso una rivisitazione dei classici western di Holliwood come “Mezzogiorno di fuoco”, “Il cavaliere della valle solitaria”, “Sentieri selvaggi”, tra gli altri.
Il prodotto finale è un film ambizioso dove il regista racconta la fine di un’epopea e la nascita di una nuova civiltà, con l’omaggio al western classico ed il contemporaneo ribaltamento stesso degli stereotipi hollywoodiani; Henry Fonda, Frank, nell’insolito ruolo del pistolero prezzolato, un sadico assassino dagli occhi azzurri, Charles Bronson, Armonica, nella parte del vendicatore con uno strumento musicale al collo, Jason Robards, Cheyenne, bandito romantico di un’epoca al tramonto, Claudia Cardinale, Jill Mc Bain, la prostituta di New Orleans che decide di cambiar vita ignara che nella fattoria di Sweetwater la sua nuova famiglia è stata massacrata.
La scena della Cardinale che percorre un tratto della Monument Valley, accompagnata su un calesse dal vetturino Paolo Stoppa, è un omaggio scenografico alla grandiosità dell’epopea western di John Ford.
Il simbolo del film è la nascita di una nuova città, in pieno deserto, che parte dalla fattoria di Sweetwater, dotata di un unico pozzo di riferimento nella zona, su cui passerà la ferrovia che collegherà la sponda atlantica ad ovest, al blu dell’Oceano Pacifico.
Dai primi western girati, Leone cresce esponenzialmente nel racconto, nella trama, con un filo conduttore legato ai ricordi, ai tormenti, dei vari protagonisti; le varie storie vivono ogni tanto della memoria di fatti del passato, che poi trovano il legame finale con la storia stessa. Da questo punto di vista grande cura e maestria nel montaggio ed anche nell’andamento lento di alcune scene, come il prologo con i tre uomini armati nella stazione ferroviaria, mandati da Frank, che aspettano l’arrivo del treno per far fuori Armonica o come il duello finale tra Fonda e Bronson, Frank ed Armonica, con infiniti primi piani dei due contendenti.
Altro aspetto geniale la prima inquadratura di Fonda, durante il massacro nella fattoria, che parte da dietro, per poi avvicinarsi di lato fino al primo piano facciale, teso a creare stupore, come regolarmente avviene, tra gli spettatori che non si aspettano nella parte del bandito spietato appunto Henry Fonda, che ha sempre rappresentato l’eroe western dall’animo buono, dal volto gentile, con interpretazioni di integrità massima anche in pellicole non western come “Il ladro” di Hitchcock o “La parola ai giurati” di Lumet.
Come non ricordare poi che il marchio di fabbrica dei film di Leone è rappresentato dalle musiche di Ennio Morricone, assolutamente imprescindibili nelle storie del cineasta romano che fa comporre i temi musicali in anticipo per farli ascoltare agli attori protagonisti durante le scene.
L’armonica che scandisce il suo suono in maniera quasi ossessiva ed i vocalizzi senza parole del tema musicale dedicato alla protagonista femminile Jill McBain/Claudia Cardinale sono perle rare nel panorama delle colonne sonore cinematografiche.
Un ulteriore tratto distintivo nelle pellicole di Leone è la rappresentazione del concetto di amicizia principalmente improntato su due figure, non di più. Un’amicizia virile, non formale, sincera, figlia dell’atteggiamento dei protagonisti nelle varie storie e dell’epoca dura vissuta dagli stessi e la troviamo sempre da “Per un pugno di dollari” a “C’era una volta in America”.
Leone ama l’epica e non a caso ritiene che Omero sia lo scrittore più grande, più rappresentativo e le figure dello sceriffo, del pistolero e dei fuorilegge altro non sono che la trasposizione dei personaggi della mitologia omerica.
Spudorato e senza paura, Leone rigenera il “western” nella concezione del mito, tra buoni e cattivi in eterna lotta, attuale ancor oggi.
James Coburn, fantastico protagonista in “Giù la testa”, dice di Leone:” Sergio è come un bambino con un grosso giocattolo, la macchina da presa è il suo giocattolo e ha tante altre cose meravigliose con cui giocare”.
Un amante del set, del suo lavoro, del cinema.

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