storie-di-vita

“Ciao papà, come stai?”: storie di un amore che non finisce mai

L'articolo che vi proponiamo oggi è un viaggio intimo e toccante, un dialogo che attraversa il tempo e lo spazio. È la voce di una figlia che continua a cercare il padre scomparso, non nella disperazione, ma nella speranza, nella memoria e nei piccoli segni quotidiani che le ricordano la sua presenza. Questo scritto non è solo il commovente addio a un genitore, ma anche un inno alla sua vita, ai suoi valori, alla sua generosità e all'eredità indelebile che ha lasciato.

In un mondo in continuo movimento, dove il tempo sembra scorrere inesorabile e le assenze possono pesare come macigni, c’è un filo invisibile che lega indissolubilmente i nostri cuori a chi ci ha lasciato. “Storie di attualità.it” si apre a racconti che toccano l’anima, che esplorano la profondità dei sentimenti e la persistenza dell’amore oltre i confini della vita.

Attraverso queste parole cariche di affetto e malinconia, ci immergiamo in una riflessione universale sul lutto, sulla ricerca di un senso e sulla capacità dell’amore di trascendere ogni limite. È una testimonianza di come il ricordo possa diventare conforto, e di come, anche nel dolore più profondo, si possa trovare la forza di andare avanti, portando con sé la certezza di un legame che “non si spezza mai”.

Ciao papà, come stai?

Ogni volta che sono in macchina, da sola, ti cerco. Non importa che ora sia o dove vada: il motore fa da sottofondo e, nel silenzio, comincio a parlarti. È il nostro appuntamento segreto, quello che nessuno conosce. Io guido, tu mi ascolti. È in questo che voglio credere. Ti racconto tutto, anche le cose più piccole. Ti dico che la lavanda in giardino si è bruciata, e ti chiedo se, con l’occhio esperto che avevi per le piante, sapresti come salvarla. Ti parlo del lavoro, dei pensieri che non mi lasciano dormire, delle decisioni che mi bloccano. Ti chiedo consigli, perché anche solo immaginare le tue risposte, ferme e rassicuranti, mi fa sentire meno sola. E quando il cuore si fa pesante, ti domando quello che qui nessuno sa spiegare:

Papà, ma cos’è davvero la vita? Una fregatura che ci logora giorno dopo giorno, o è il passaggio verso qualcosa di più grande, dove forse tutto trova finalmente un senso?

Nei sogni ti vedo giovane, elegante, con il sorriso di un tempo. Sali lentamente le scale di casa, quelle che conosci a memoria perché quella casa l’hai costruita tu, l’hai fatta a tua immagine e somiglianza, come la desideravi e con i tuoi amati archi. Ti guardo mentre sali e ogni passo sembra sospeso, irreale. Mi fissi negli occhi, sorridi e in quello sguardo c’è qualcosa che non so spiegare: come se sapessi già tutto, come se volessi rassicurarmi senza parlare. Perché sali quelle scale, papà? Vuoi tornare a casa… o stai salendo verso un luogo che io non posso ancora vedere? Dimmi, dove ti trovi adesso? Mi vedi davvero?

Ti chiedo di non lasciarci soli. Di stare accanto a Baby, la tua amata pincerina che tra poco compirà diciotto anni, ma ora il suo corpo fragile non le permette più di essere autonoma e sta cedendo. Veglia su di lei e resta vicino a chi amo. Fa che non soffra quando arriverà il suo momento. Non vorrei mai vederla stare male.

E poi, papà, ti domando con il cuore stretto: lassù hai ritrovato chi ti era caro? I tuoi genitori, i tuoi parenti, i tuoi amici? Hai rivisto Elisabetta? Tua nipote, mia cugina… se n’è andata troppo giovane. Era così bella, dentro e fuori. Mi piace pensare che adesso sia accanto a te e che il suo sorriso riempia un po’ il vuoto che ha lasciato qui. Hai incontrato di nuovo le anime innocenti che ho amato e pianto: i nostri amici pelosi, Sissi, Mia, Cocò, Lillo, Amelie?

Sai, papà, quell’amore smisurato per gli animali me lo avete insegnato tu e mamma. Da voi ho imparato a rispettarli e amarli come parte della famiglia, a non considerarli mai ‘solo animali’.
Forse è per questo che il dolore per la loro assenza brucia ancora. È diverso dal dolore per le persone, ma non meno profondo.

Ricordo che mi dicevi sempre che i cani hanno un dono: sanno amare senza chiedere nulla in cambio e non giudicano mai. Forse è per questo che il loro amore lascia un vuoto così grande quando se ne vanno.
A volte mi domando se tutto questo parlarti, qui, nel silenzio della macchina, non sia solo un’illusione che mi aggrappa alla speranza. Se qualcuno mi sentisse, forse penserebbe che ho perso il senno… ma è l’unico modo che ho per colmare il vuoto che hai lasciato e non sentirmi spezzata del tutto.

E poi, papà, accade. Accade che tu mi aiuti, mi aiuti davvero. A volte le mie richieste si avverano, e in quei momenti, quando tutto sembra tingersi di rosa, io mi convinco che ci sei veramente. Arriva un segno: un fiore bianco in mezzo al nulla, una brezza improvvisa, un cielo che si colora di viola. Piccole cose che per gli altri non significano nulla, ma che per me diventano le tue risposte, il tuo modo silenzioso di dirmi che non ci hai lasciati soli: né me, né mamma Lina che ti ha amato più di se stessa e ancora oggi vive di te, né Giovanni, né Claudia.

Nemmeno i tuoi fratelli e le loro famiglie, i nostri parenti, gli amici che ti ricordano ogni giorno. È come se, attraverso quei segni, volessi dirci che ci sei ancora, che ci guardi, che continui a camminare accanto a noi anche se non possiamo vederti. Ed è in quei momenti, papà, che so che in qualche modo mi ascolti ed è lì che il mio sguardo si riempie di lacrime e il cuore di gratitudine, perché sento che, anche se non ti vedo, non mi hai mai davvero lasciata. E quando ti chiedo: “Papà, come stai?”, la risposta che sento dentro è sempre la stessa, quella che davi fino all’ultimo, quando il corpo ti tradiva ma tu non volevi farci preoccupare: “Io sto bene.”

Eppure, papà, ci sono momenti in cui i segni non bastano. Momenti in cui il silenzio pesa troppo e il vuoto sembra inghiottire tutto. Quel giorno di luglio, l’11, era uno di quei momenti. La chiesa era piena, ma io mi sentivo sola davanti alla tua assenza. E così ho fatto l’unica cosa che potevo: ho trasformato il dolore in parole. Ho scritto per te, e ho letto davanti a chi ti voleva bene la lettera più difficile della mia vita. Era il mio ultimo abbraccio scritto.

Ed era per te. Era il mio modo per restituirti la voce che il tempo e quel tumore alla gola, così invasivo, ti avevano tolto, riducendo il tuo parlare a un filo, fino al silenzio. E, mentre la leggevo, era come se, per un attimo, fossi lì ad ascoltarmi.

Due giorni prima, il 9 luglio, te ne sei andato per sempre. Tre giorni prima avevi stretto forte la mia mano, come a volerla lasciare impressa… poi, lentamente, ti sei allontanato da tutto rimanendo con noi solo attraverso il fragile ritmo del tuo respiro. Sembrava che fossi già oltre, in un luogo che non potevamo raggiungere, mentre restavo lì, impotente, aggrappata a quel filo sottilissimo che ancora ti teneva con noi. Eppure, papà, ci sono momenti in cui i segni non bastano. Momenti in cui il silenzio pesa troppo e il vuoto sembra inghiottire tutto.

Il filo che non si spezza mai: ciao papà, come stai?

Te lo chiedo ancora, ogni volta che il mondo diventa troppo grande o io troppo piccola. So che molti, come me, continuano a parlare con chi hanno perso. Non è follia: è il bisogno di credere che l’amore non si interrompa con un ultimo respiro. Ti cerco nei piccoli segni, e quando arrivano sento che non sono sola. Forse sei davvero lì, forse è solo un modo che ha il mio cuore per tenerti vivo. Ma non importa. Per me sei qui. Quella lettera, quella che ho letto tra le lacrime quel giorno, è più di un ricordo. È un ponte invisibile che unisce la mia voce alla tua, la terra al cielo.
E ogni volta che ti chiedo “Come stai?“, anche se non ti sento con le orecchie, ti sento con il cuore. La tua risposta è sempre la stessa: “Io sto bene.” E forse, papà, è anche grazie a questa voce che un giorno anch’io riuscirò a dire le stesse parole, senza dolore.


Quella che segue è la lettera che ho letto al tuo funerale. L’unico modo che avevo per farti arrivare la mia voce, quando la malattia ti aveva tolto la tua. E, mentre la leggevo, era come se, per un attimo, fossi lì ad ascoltarmi. Era come se fossi tornato vicino, in silenzio, ad ascoltarmi e a stringermi la mano ancora una volta. Ed era per te ma oggi è anche per tutti coloro che, come me, si ritrovano a parlare con un padre che non c’è più, cercando nei segni, nei ricordi e nel cielo un modo per sentirlo vicino.
Perché l’amore di un padre non svanisce mai davvero: è in ogni cuore che sussurra ‘Ciao papà, come stai?’, c’è la stessa speranza: che da qualche parte, in un modo che non comprendiamo, la risposta sia sempre la stessa… ‘Io sto bene.’

…se chiudo gli occhi riesco a rivederti mentre affrontavi il mondo con una forza silenziosa e un coraggio che non hai mai ostentato… Hai dato tanto senza mai chiedere nulla in cambio…

Lettera per te, papà

Cari familiari e amici,

oggi siamo qui riuniti per dare l’ultimo saluto a Raffaello Mancini, mio padre, un uomo che ha lasciato un’impronta indelebile nelle nostre vite e nella nostra comunità. Papà Raffaello ha dedicato oltre quarant’anni della sua vita al lavoro e, attraverso la sua attività commerciale condivisa con zio Dario, uomo instancabile anch’egli e sempre al suo fianco, ha contribuito significativamente allo sviluppo edilizio ed economico della Valle.

Caro papà

Sei stata una persona di grande valore, sempre disponibile, affabile e simpatica, conosciuta e amata da tutti.

Oggi, con il cuore colmo di amore e gratitudine, mi rivolgo a te; queste parole sono dedicate alla tua vita vissuta con onestà e una generosità senza pari. Sei stato un angelo tra noi, un benefattore con un cuore immenso.

Da ragazzo, quando eravate davvero in pochi a possedere una macchina, accompagnavi chiunque avesse bisogno, ovunque ti chiedessero di andare, in ospedale, alla asl,…elargivi passaggi ovunque e a chiunque senza mai chiedere nulla in cambio, con una generosità che riscaldava l’anima di chiunque ti incontrasse. Non dimentichiamo il miracolo di essere sopravvissuto indenne a un brutto incidente all’età di 18/20 anni, sulla salita di San Rocco, quando il camion su cui ti trovavi è precipitato senza freni nel burrone. In quel momento, tutti credevano che tu e gli altri tre sul camion non ce l’avreste fatta.

Ciò che la vita ti toglie, tu lo trasformi: sei scivolato nel burrone, ma sei uscito indenne, aiutando molte altre persone.

Con la tua ruspa e il tuo muletto, hai tirato fuori dai burroni e dai posti più impensabili, chiunque rimaneva coinvolto in incidenti, spinto solo dalla tua bontà inesauribile ma anche dalla tua maestria alla guida di mezzi pesanti. Hai servito tutti e per i più svariati bisogni.

Il tuo altruismo non conosceva confini. Hai insegnato a guidare a tante persone, con pazienza, dedizione e amore.

Figlio di Giovanni Mancini, abile falegname, artefice delle prime fogne e del primo impianto idrico nel paese di Ascrea, sei stato un grande aiuto per tutti, un esperto risolutore di problemi della casa, dalla costruzione ai problemi idraulici o elettrici, ti dedicavi con impegno a trovare la soluzione ideale per ogni necessità. Le persone si affidavano a te non solo per fare acquisti, ma anche per ricevere consigli su come affrontare riparazioni e qualsiasi altra difficoltà.

Appassionato di meccanica, oltre che di edilizia, hai dedicato il tuo tempo a riparare non solo i motori dei tuoi mezzi, ma anche quelli degli altri.

La tua vita ha intessuto una rete di bene intorno a te, rendendo il mondo un luogo più bello grazie alla tua presenza. Con ardente passione, hai condiviso con zio Dario la tua attività di rivendita di materiali edili. Per te, era essenziale che le persone potessero costruire le loro case, e spesso facevi credito a tutti, fidandoti della sola parola e dell’onestà altrui. Anche di fronte alle delusioni di chi non ti ha pagato, hai continuato a lavorare con fiducia, basandoti su valori che oggi sembrano svaniti. Sei stato un uomo d’altri tempi.

Hai avuto la fortuna di vivere la tua vita accanto a Lina, una donna straordinaria e mia madre. Insieme avete costruito un mondo di amore e sacrificio, un legame che ha dato forza e speranza a chi vi ha conosciuti. Ripenso spesso ai momenti che abbiamo condiviso, ai tuoi insegnamenti, alla tua vita di instancabile lavoratore. Questi ricordi sono gemme preziose, custodite gelosamente nel mio cuore, e mi danno forza nei giorni più bui.

Hai trascorso gli ultimi quattro anni della tua vita a casa affetto dall’Alzheimer e l’ultimo mese all’Hospice San Francesco di Rieti, circondato da persone meravigliose che si sono prese cura di te con dedizione e affetto, e sapere che eri nelle ottime mani di tutto il personale dell’Hospice, ci ha confortato molto. La loro presenza è stata un balsamo per le nostre anime, perché sei stato circondato da amore e cura.

Papà, la tua presenza nella mia vita e nella vita della tua famiglia e di chiunque ti abbia conosciuto è stata un dono inestimabile. La tua saggezza, la tua generosità e onestà continueranno a guidarmi e a ispirarmi ogni giorno. So che il dolore che hai provato è stato immenso e la tua sofferenza un mare di tormento, ma spero che tu possa trovare conforto nel sapere quanto sei amato e quanto la tua vita abbia arricchito la mia e quella di tanti altri.

Tu, caro papà, sei stato un guerriero. La tua lotta è stata nobile e coraggiosa, e continuerai a vivere nei nostri cuori e nelle nostre azioni ogni singolo giorno. Non dimenticheremo mai quanto sei speciale e quanto la tua esistenza abbia lasciato un’impronta indelebile in questo mondo.

Un ringraziamento dal profondo del cuore a tutti voi che siete qui presenti oggi, per dare l’ultimo saluto a Raffaello Mancini. Un particolare ringraziamento ai tuoi fratelli Renzo, Dario, Sergio e alle rispettive mogli Adriana, Velia e Franca, agli amici Alberto e Viola, che ci hanno assistito fino al giorno in cui ci hai lasciato. E grazie a tutto il personale dell’Hospice San Francesco di Rieti.

La vostra presenza è un grande conforto per la nostra famiglia in questo momento di dolore. Siamo commossi e immensamente grati per le tante condoglianze e messaggi di affetto che sono giunti da ogni dove.

Hai avuto una famiglia Immensa.

A mamma Lina, a mio fratello Giovanni e a mia nipote Claudia, dico: siate forti, poiché papà, oggi più che mai, dimora nei nostri cuori e nei nostri spiriti.

Abbiate la stessa forza e coraggio di papà che fino a all’ultimo alla domanda: “Come stai?” rispondeva: “Io sto bene”. Papà, dopotutto, non ci ha forse insegnato a essere forti?

Sono certa che anche mamma Lina, Giovanni e Claudia, avrebbero pronunciato queste parole, poiché nel profondo dei loro cuori risuonano gli stessi sentimenti.

Con tutto il mio amore e la mia eterna gratitudine a te, splendido esempio di bontà e onestà.

Che la terra ti sia lieve, Raffaello.

Amalia

SKIN:
STICKY