Spettacolo

Teatro Eliseo – Circus Don Chisciotte di e con Ruggero Cappuccio

teatro circus don chisciotteIl Professor Cervante erudito e dottrinario
Al Teatro Eliseo “Circus Miguel de Cervantes”, scritto, diretto e interpretato da Ruggero Cappuccio è un percorso visionario in una Napoli notturna, ctonia, buia e spettrale, all’interno di una stazione abbandonata.
Qui giunge il professore Michele Cervante, vagabondo erudito e dottrinario. Come l’antenato (presunto) Miguel de Cervantes e il suo personaggio, il celebre Don Chisciotte, egli ha la mente popolata di letture alla rinfusa, come accade a chi è famelico di conoscenza, compulsivo di sapere, ma il nostro napoletano malinconico può vedere e toccare molti ma molti più libri, valicare oceani di sapienza bibliografica e approdare nelle Americhe di Sepulveda, di Saramago, giocare con la filosofia, con la letteratura, passando da Kant, Spinoza a Eco, e utilizzare quei volumi come sassi che lo sostengano nello stagno del suo presente, per non naufragare nel nulla.
Un cavaliere che guarda al mondo secentesco pronto a combattere ingiustizie e abusi, mentre l’immaginazione riscrive la realtà trasformando semplici pale eoliche in mulini a vento, mostruosi giganti da combattere, o un carrello abbandonato nel focoso destriero Ronzinante.
Come il vecchio “cavalier dalla trista figura”, anche il nostro vagabondo napoletano troverà nella stazione dismessa il suo fido scudiero, pronto a cavalcare con lui il sogno. Si chiama Salvo, era un infermiere che ora, perduto nei meandri della società, si è ridotto a vivere da barbone. Basta aggiungere un Panza al suo nome e il gioco è fatto.
Incomincia l’avventura, che è anche e soprattutto avventura nella parola, dove Cervante ha il ruolo dell’addottrinatore, quello che fu della sua professione e che può trascinare ed esaltare e persino coinvolgere nel “disparate” il molto più concreto Salvo Panza, facendogli lumeggiare un futuro da governatore di un’isola. La macchina teatrale di questo lavoro vive di due apporti: il linguaggio utilizzato e la scena.
Il linguaggio è il personaggio segreto, ma anche il punto più interessante, a cominciare dal differente spessore del napoletano quale è parlato dal dotto professore Cervante in contrapposizione con quello del suo scudiero Salvo Panza, meno ricercato e ricco di referenti, ma affascinante proprio per le ricchezza di proverbi, modi di dire, immagini e assonanze popolaresche, mentre il Duca decaduto (Giulio Cancelli) parla la dolce lingua veneta, e i due ristoratori napoletani falliti (Ciro Damiano e Gea Martire) usano il dialetto di oggi. Il linguaggio diventa estremo, pittoresco e paradossale quando giunge in stazione il vagone trascinata dal vento con Dulcinea del Toboso che, nell’inversione significativa, è la principessa siciliana (Marina Sorrenti), appassionata di astrologia e dal linguaggio trash e stregonesco. Ma vi sono anche citazioni in francese, in inglese, in spagnolo.
Tutti i personaggi si incontrano in questa stazione immaginata in modo creativo da Nicola Rubertelli, minuziosamente descritta con oggetti abbandonati e alla rinfusa e quasi decorata con la scomposizione della parola amore in lettere singole incollate qua e là che Salvo interpreta con referenti attinti alla sua cultura contadina; qui possono trovare ricetto le logiche più folli – ed è la follia erasmiana -, dove la razionalità è piegata ad un universo onirico e visionario.
Tra un passato libresco vissuto come rimpianto e un presente per certi versi becero, si annida la logica di questo spettacolo che molto deve alla vis comica di Giovanni Esposito (Salvo Panza) che domina i momenti di stanca, diventando a volte esilarante.
Ruggero Cappuccio tratteggia il suo personaggio malinconico e sognatore offrendo al pubblico i suoi motivi di riflessione.
Tutti sono vestiti egregiamente e in modo pittoresco con i fantasiosi costumi di Carlo Poggioli.

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