
Roma, 3 settembre 2025.
Sabato 3 settembre 1960, sessantacinque anni fa, Roma vive un’eccezionale giornata, in un caldo pomeriggio, presso lo stadio Olimpico.
Dal 25 agosto la Capitale è al centro del mondo per i giochi della XVII Olimpiade e alle 15,45 si corre la seconda semifinale dei 200 mt. di atletica leggera.
Livio Berruti è il nostro rappresentante ed è il primo italiano ad entrare in una finale olimpica di velocità, monopolio, specialmente nei 200 mt., degli atleti americani.
La semifinale di Berruti è la più dura per la presenza di Norton e Johnson, due neri americani, più l’inglese Radford e la qualificazione è per soli tre posti per avere poi una finale a sei.
Il risultato è strepitoso: 20”5 per il nostro connazionale che eguaglia il primato mondiale degli stessi Norton e Johnson, firmando il Record Europeo e Primato Olimpico.
Durante l’attesa, nelle due ore che precedono la finale, Berruti si rilassa sorseggiando una aranciata leggendo una dispensa universitaria.
Alle ore 18 va in scena la finale con l’italiano in quinta corsia contro tre americani, un senegalese e un polacco sulla “distanza della verità”, come la chiamano gli americani.
Berruti è calmissimo, tiene lo sguardo fisso sulla terra rossa, con gli ottantamila dell’Olimpico in religioso silenzio, e allo sparo scatta agile con una leggerezza naturale, in eccellente spinta.
Il modo di affrontare la curva è perfetto, senza interruzione di ritmo, già in testa all’imbocco del rettilineo con alcune colombe, posate sulla pista, che s’involano quasi ad accompagnare lo slancio di Berruti.
Irraggiungibile il nostro vince su Carney e Seye, ribadendo la prestazione mondiale di 20”5 ad appena due ore dal primo cronometraggio, vincendo l’Olimpiade che gli statunitensi vincevano dal 1928.
Dunque l’italiano Berruti, 21 anni, torinese, fisico sottile, studente laureando in chimica, spezza il tabù del mezzo giro di pista con la ciliegina del doppio Record del mondo in appena due ore.
Berruti ha un’aria da intellettuale, porta degli occhiali scuri non per vezzo ma perché è miope e sconta, come altri grandi atleti di altre discipline, appellativi curiosi.
Gianni Brera lo definisce “abatino” (sarà in buona compagnia con Gianni Rivera…), mentre Gianni Clerici lo etichetta “pretino in shorts”.
Berruti però si rivela uno straordinario agonista, corre per divertimento allenandosi solo tre volte a settimana.
Puro talento che a lungo andare non basterà più, con atleti indirizzati ad allenamenti sempre più basati sulla potenza e l’uso smodato di pesi ed anabolizzanti.
Livio Berruti diventa l’eroe dei Giochi, al pari di atleti come Gaiardoni, D’Inzeo, Benvenuti, con i paparazzi che lo immortalano mano nella mano con Wilma Rudolph fenomeno della velocità femminile americana.
Al di là delle tredici medaglie d’oro, con gli Azzurri terzi nel medagliere dietro Usa e Urss, le olimpiadi romane segnano un’oasi felice in un momento storico particolare in piena guerra fredda e un anno prima dell’innalzamento del muro a Berlino.
L’Olimpiade romana, incastonata nelle bellezze mozzafiato della Città Eterna, mette in luce anche il talento nella boxe, categoria medio-massimi, di un certo Cassius Marcellus Clay di cui sentiremo spesso parlare…
FOTO: Premiazione Berruti Gazzetta dello Sport settembre 1960.