Il genio Cruijff

Il campione che con il suo modo di intendere il calcio ha segnato per sempre questo sport

Roma, 29 luglio 2025 – Johan Cruijff, “Il profeta del gol”, come lo ribattezzò Sandro Ciotti titolando così il celebre film che gli dedicò nel 1976.

Nato ad Amsterdam il 25 aprile del 1947 da una madre rimasta vedova troppo presto e che, per vivere, faceva le pulizie nella sede dell’Ajax, che poi sarebbe diventata la squadra della sua vita.

Grazie alla sua ostinazione, infatti, a dodici anni il piccolo Johan entrò nel settore giovanile del club biancorosso nonostante portasse le scarpe ortopediche per ovviare a un difetto dei piedi.

In poco tempo divenne l’erede naturale di Pelè, perché quando quello stava già a fine carriera il talento di Cruijff sbocciava nello splendido calcio totale olandese degli anni ‘70, in cui tutti sapevano fare tutto e che fuori dal campo non contemplava ritiri assurdi e divieti medievali.

Libero amore in libero calcio, fidanzate e mogli ai bordi della piscina dell’albergo della nazionale e tutti gli altri a guardarli con invidia.

Ma loro non ci badavano e nell’era dei capelloni e dei pantaloni a zampa d’elefante giocavano meglio di tutti, trascinati dal “Pelè bianco”, come venne ribattezzato a quei tempi.

Sia con l’Ajax (in cui crebbe e col quale vinse 6 titoli nazionali, 4 coppe d’Olanda e 3 coppe dei Campioni) che con la nazionale sulle spalle aveva sempre il numero 14 in un periodo in cui si andava dall’1 all’11.

Il suo 14, oggi un vero e proprio simbolo, tanto che l’Ajax lo ha pure ritirato perché nessuno può più indossarlo dopo di lui, era dunque l’eccezione alla regola.

Ferrea per tutti ma non per lui, genio di un calcio zeppo di campioni nel quale era il più campione di tutti, tanto che vinse anche tre Palloni d’Oro.

Nel mito, oltre che per le prodezze sul campo, ci entrò anche per la cronaca rosa: a venti anni sposò una modella bellissima e, cosa che non guasta, figlia di un imprenditore del settore dei diamanti.

Qualche anno dopo passò al Barcellona con un contratto che lo ricoprì d’oro. In pratica fece Bingo e la sua fortuna diventò inestimabile.

Dell’Ajax e del Barça, poi, sarà anche allenatore e con entrambe vincerà la Coppa dei Campioni, che con gli spagnoli strapperà alla Sampdoria nella finale di Wembley del 1992.

Tra le due esperienze (campo e panchina) l’avventura nel calcio degli Stati Uniti (Los Angeles Aztecs e Washington Diplomats), quella nel Levante, il ritorno all’Ajax e il passaggio ai nemici del Feyenoord, dove chiuse la carriera di calciatore.

In totale fanno più di trent’anni di trionfi e se non è un record poco ci manca.

La panchina, però, gli costò qualche colpo di troppo al cuore, che alla lunga gli è stato fatale, portandesolo via il 24 marzo del 2016 a soli 69 anni.

In precedenza, dopo aver lasciato il campo proprio a causa del cuore (e delle troppe sigarette che ha sempre fumato) si era dedicato a fare l’opinionista in tv e sui giornali.

Un ruolo che gli piaceva e nel quale aveva lanciato tante idee su come ridare vitalità ed entusiasmo al calcio.

Come quella di uniformare i campionati europei a sedici squadre e farli chiudere con i playoff.

Se uno è genio lo è in tutti i campi.

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