Racconti di sport

Brasile: la tragedia del 1950.

Nella quarta edizione della Coppa del Mondo di calcio i verdeoro cadono in casa.

Roma, 16 luglio 2025.

 

Da che mondo è mondo, o come diceva “Er Pomata” nel celebre “Febbre da cavallo”: <Da quando l’uomo ha inventato er cavallo>, il calcio è l’oppio dei popoli, una droga impossibile da curare.

Il 16 luglio del 1950, settantacinque anni fa, il Brasile è teatro di una delle tragedie sportive mai più verificatesi con risvolti sociali significativi.

E’ il periodo, dalla fine di giugno, del Campionato del mondo di calcio, Coppa Jules Rimet alla quarta edizione, organizzato dalla nazione sudamericana.

Dal punto di vista sportivo, dopo le Olimpiadi di Londra del 1948, è la manifestazione più importante con 16 nazionali in campo e l’inibizione per Germania e Giappone a partecipare decretata dalla Fifa per essere stati Paesi aggressori nell’ultimo conflitto mondiale.

I brasiliani non navigano nell’oro ma vogliono fare le cose in grande e costruiscono il Maracana di Rio de Janeiro, 200.000 spettatori e quattrocentomila occhi che guardano e tifano per i padroni di casa.

Gli Azzurri sono i campioni uscenti, avendo vinto la terza edizione disputata in Francia nel 1938, prima dell’interruzione per la guerra.

La formula prevede sedici nazionali partecipanti divise in quattro gruppi, con la vincente che va di diritto in un altro girone all’italiana per giocarsi il titolo.

Una classifica finale che premia chi fa più punti o, se si giunge in parità, la miglior differenza reti.

L’Italia si presenta con un organico decimato per la tragedia di Superga dell’anno precedente, che toglie nove giocatori ossia l’ossatura del Grande Torino.

Psicosi collettiva che fa rinunciare alla nostra delegazione il viaggio in aereo, per un tragitto di una ventina di giorni in nave praticamente senza mai allenarsi e con i palloni finiti tutti nell’oceano…

Per questi problemi gli Azzurri perdono la partita decisiva contro la Svezia, che si qualifica insieme al Brasile, Uruguay e Spagna per il girone finale.

I verdeoro vincono di goleada le prime due gare ed attendono per la terza ed ultima partita l’Uruguay che ha un punto in meno, avendo pareggiato nel finale contro la Spagna.

Anche se la formula non prevede le classiche semifinali e la finale il confronto del 16 luglio tra Brasile, grande favorito, e Uruguay ha il sapore di una vera e propria finalissima.

Talmente favoriti e sicuri che la federazione brasiliana dona ai propri calciatori, prima dell’ultimo atto, degli orologi d’oro che sul dorso portano la scritta: <Ai campioni del mondo>.

Anche la stampa, attraverso la maggior parte dei giornali, gioca d’anticipo e prepara le prime pagine con la celebrazione del trionfo, così come vengono stampate e vendute più di mezzo milione di magliette con l’evidenza della vittoria.

Alle ore 15,00 di domenica 16 luglio, às 15 horas, comincia la sfida e all’inizio del secondo tempo il brasiliano Friaca porta in vantaggio i verdeoro provocando un’esplosione di gioia con lancio d’innumerevoli petardi che fanno vibrare la struttura del Maracana.

Gli uruguaiani, che hanno tra le proprie fila gente come Schiaffino, Ghiggia ed il capitano Varela, non mollano e rovesciano l’incontro con due prodezze proprio di Schiaffino e Ghiggia.

Alla fine il girone si chiude con Uruguay punti 5, Brasile 4, Svezia 2 e Spagna 1.

Dunque Uruguay, la celeste, Campione del Mondo che raggiunge l’Italia con due successi a testa.

I radiocronisti brasiliani definiscono la sconfitta come “la peggior tragedia della storia del Brasile”, con un bollettino di guerra che recita: 34 suicidi, 56 deceduti per infarto ed il governo che proclama tre giorni di lutto nazionale.

Il presidente della Fifa Jules Rimet, creatore della manifestazione mondiale, consegna nel marasma generale, quasi di nascosto, la coppa a Obdulio Varela, el capitan.

Varela è un capitano di grande personalità, che prima della sfida finale carica la squadra invitando i propri compagni ad ignorare la massa dei 200.000 del Maracanà, giocando poi con grande sagacia tattica l’incontro.

Al ritorno in patria singolare la ricompensa della federazione con assegnazione per i dirigenti di una medaglia d’oro a testa, mentre agli atleti una medaglia d’argento ad ognuno…

Il giovane Pelè, che non ha ancora 10 anni, si trova a consolare il papà Dondinho, ex calciatore, che non si dà pace per l’inopinata sconfitta dei verdeoro promettendogli che sarà lui a conquistare prima o poi la coppa.

Cosa che avverrà otto anni dopo in Svezia, con il ragazzino Pelè appena diciassettenne.

 

 

 

 

 

 

 

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