Trallarallì trallarallà, ovvero la canzone dei finti pazzi

Teatro Quirino – “Uomo e galantuomo” di Eduardo con  Gianfelice Imparato

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Roma, 16 novembre – Quanta sapienza in una commedia che è stata spesso, per comodità, definita farsa, laddove di farsa c’è solo il divertimento  garantito attraverso gag e battute che vanno al di là del comico tout court.

In realtà siamo a pieno titolo nel dominio dell’ossimoro, a cominciare dal titolo “Uomo e galantuomo” in aperta contraddizione.

Come in contrasto sono il mondo di poveri guitti con l’altro alto borghese dove impera un giovane conte, marito tradito ma ignaro di una bella e indomita mogliettina; come la sopravvivenza ad una fame perenne, cronica e acuta insieme, e il benessere della casa di Bice dove differenti sono i problemi del quotidiano.

Come ancora in contrasto è la comicità esilarante e il dramma che potrebbe sfociare in tragedia, e l’onore da salvare ad ogni costo con la costanza di quella fame di sottofondo che si nutre di miserie e di compromessi.

Al centro c’è anche l’arte di Eduardo che fa scivolare la farsa con garbo verso il teatro di prosa, la commedia vera e propria,  quella che ha nell’happy end la clausola naturale.

“Uomo e Galantuomo”, che è possibile vedere fino al 23 novembre rappresentata al Teatro Quirino, anche come un omaggio al trentennale della morte di Eduardo, è stata scritta nel 1922 dal commediografo per il fratellastro, Vincenzo Scarpetta, e messa in scena nel 1924 con il titolo “Ho fatto il guaio? Riparerò!”. Il 23 febbraio 1933 la farsa fu rappresentata dalla compagnia di Eduardo “Teatro Umoristico I De Filippo” con il titolo definitivo, quello con il quale viene proposta oggi.

Protagonista, appena celato, in realtà è il teatro, anzi il “farsi” del teatro di una scalcagnata e striminzita compagnia,  “l’Eclettica”,  così chiamata perché non pone limiti al proprio repertorio, che ha un capocomico, Gennaro De Sia, una prima donna Viola, giovane e naturalmente di lui incinta, un primo attore  e una attrice più anziana.  Ecco dunque pronto il gioco del metateatro perché i guitti hanno trovato un ingaggio nella cittadina di Bagnoli, dove il ricco e giovane don Alberto De Stefano li ha chiamati ad esibirsi piazzandoli nell’albergo di un amico. Poiché la prima serata è stata un insuccesso poderoso risoltosi, tra insulti, con  un indimenticabile pugno nel naso per uno degli attori accorso in difesa della prima donna, bisogna modificare il calendario e presentare una novità di Libero Bovio, “Malanova” . La cattiva notizia però è che gli attori devono preparare lo spettacolo, imparare le battute e immedesimarsi nel drammone a fosche tinte (che evidentemente lo stesso Eduardo non doveva apprezzare poi tanto).

Le prove sono uno dei momenti di teatro più divertenti di tutto il repertorio comico-leggero, a cominciare proprio dall’inizio, nell’atrio dell’albergo con Gennaro che con il viso contratto in una smorfia spaventosa emette un suono lamentoso e terrificante, agitando  convulsamente un braccio. Gli attori  convinti che sia stato colpito da malore, si precipitano a soccorrerlo ma scoprono che   Gennaro  voleva imitare lo stridio della porta cigolante del “basso” in cui si svolge il drammone. La prova procede così, tra momenti esilaranti, con uno degli attori che non riesce ad improvvisarsi suggeritore, e numerose gag  linguistiche, autentici pezzi di bravura, finche non irrompe sul palcoscenico Salvatore, fratello fuori di testa di Viola, la primadonna, che vuole lavarsi  l’onore uccidendo chi ha fatto “o guaio”.

Entriamo quindi in un ulteriore dominio, quello della commedia degli equivoci, perché in scena c’è don Alberto De Stefano, l’impresario e benefattore della Compagnia, il quale ha appena saputo che diventerà padre da Bice, la sua misteriosa amante che non gli ha mai rivelato nulla di sé, né nome, né vita,  né indirizzo.  Alberto da vero gentiluomo non si tira certo indietro, anzi  propone a Salvatore, che lo ha scambiato per il seduttore della sorella Viola, di sposarla immediatamente. Tutto è risolto, allora, tutti contenti ? Ma manco per sogno, perché la cameriera dell’albergo mandata a seguire Bice, ne comunica l’indirizzo e il neo papa si presenta con un mazzo di fiori in mano in casa dell’amante dove apprende che la donna è sposata con il Conte Tolentano.

Bisogna subito provvedere a salvare la situazione, anche per le preghiere della ragazza che non vuole rovinare il proprio matrimonio e quale migliore soluzione che intonare “Lallarallì, lallarallà”, la canzoncina dei finti pazzi.

La trama si complica   intanto perché il capocomico si è versato sui piedi la “buatta” piena di acqua bollente che aspettava i bucatini, con l’effetto di perdere la funzionalità della punta del piede sinistro e del calcagno del piede destro, così camminando con passo cammellato si ritrova a casa del conte Tolentano, medico che non esercita ma non ignora il giuramento di Ippocrate, dove trova don Alberto e quindi…

Il regista, Alessando d’Alatri, che si è valso di un’ottima compagnia napoletana, capeggiata da Gianfelice Imparato nelle vesti del capocomico Gennaro De Sia, da Giovanni Esposito in quelle dell’irresistibile attore-suggeritore Attilio, di Valerio Santoro nel ruolo di Alberto De Stefano e Antonia Truppo in quello della primadonna, per citare solo i principali attori, ha voluto la sua messinscena immersa in un cielo limpido e azzurro, quello di una cittadina balneare come Bagnoli. Si ride, e si pensa come sempre,  quando in scena si recita Eduardo.

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