Piccolo Eliseo – “Il più bel secolo della mia vita” di Bardani e Di Capua

Le carezze di mamma

Roma, 17 dicembre – Il clima è quello dei peggiori momenti storici. Lo stesso che si respirava nella Roma dell’ultimo quarto del secolo scorso, con la gente che cerca lo spunto anche minimo per ancorarvi una risata, per abbassare il livello di stress che le contingenze stanno portando sempre più in alto.

Cosa meglio dunque di uno spettacolo che obbedisca alla logica latina di far penetrare un messaggio attraverso un linguaggio che è tutto ma non solo divertimento? A farlo, in fondo, basta la bravura di due attori, l’uno smagato ed esperto, Giorgio Colangeli, il centenario Gustavo, l’altro, Francesco Montanari, Giovanni, carico di una rabbia e una energia tutta giovanile. E il gioco è fatto.

Sul palcoscenico del Piccolo Eliseo, reduce da un successo che ha fatto registrare in primavera dei “tutto esaurito” al teatro La Cometa, ecco questa commedia, ma sarebbe più proprio considerarla una serie di sketch, raccordati efficacemente, come quelle costruzioni comiche televisive di Mister Bean (ma a due personaggi), che obbediscono alla logica della coppia dello spettacolo, come il Clown bianco e l’Augusto, come Franco e Ciccio, come Totò e Peppino, e tuttavia con l’appeal di un argomento serio, anzi di più spunti che rendono ambiguo il movente sotteso a questo lavoro firmato a quattro mani da Alessandro Bardani( anche regista) e Luigi Di Capua.

Perché se è vero che “Il più bel secolo della mia vita” accende un faro su una curiosa legge, unica al mondo, tuttora in discussione al senato, che consente ai figli non riconosciuti alla nascita, i cosiddetti NN (Nescio nomen – non conosco il nome), di potere accedere a informazioni relative all’identità dei genitori solo al compimento dei 100 anni d’età, è anche vero che nel trattare l’argomento la penna è scivolata su una piaga sociale ancor più dolorosa, la solitudine dell’anziano, cui le leggi della natura assottigliano man mano che si inoltra negli anni il numero di amici su cui poter contare che, se ancora al mondo, non sono più in grado di determinarsi e tra malattie, intolleranze e problematiche affini, vivono gli sgoccioli dell’esistenza in una condizione triste e quasi d’abbandono, chiusi spesso in ricoveri per anziani simili a prigioni.

In un foglietto che ad apertura di sipario viene distribuito in sala viene presentato il Comitato Nazionale per il Diritto alla Conoscenza delle Origini Biologiche, con la sua costola Associazione Figli adottivi e Genitori Naturali, si evidenzia il vulnus, a   scapito del rispetto della propria storia personale, dato che lo sbarramento impedisce non solo di conoscere i genitori e, segnatamente la madre, ma anche eventuali fratelli. E inoltre rende impossibile conoscere la storia clinica eventuale, o patologie e tare ereditarie familiari con grosse ripercussioni sul diritto alla salute.

Se l’argomento è serio, il modo di affrontarlo si presenta nel lavoro di Bardani e Di Capua come uno scintillante duello verbale, dove l’ironia è fulminante e mai banale, dove la battuta è esilarante, le freddure sono giocate nella più verace romanità che oscilla fra cinismo e sarcasmo, che utilizza anche le corde più patetiche per impietosire, con un fondo di malizia sempre pronto ad esplodere e a suscitare ilari approvazioni nel pubblico intento a sottolinearle.

Quando il quasi timido trentenne Giovanni, con alimenta in sé il cruccio di non aver ricevuto le carezze della mamma e di non conoscerne il nome, invita il quasi centenario Gustavo, “fratello di culla” come testimonial della sua campagna di sensibilizzazione non può certo immaginare che l’arzillo vecchietto, lucido burlone ed ex sciupa femmine, ma si dichiara ancora in carica, ed è naturalmente galante con le donne, come con la sua fidanzata, l’attrice Maria Gorini, sia esattamente il suo opposto, anzi appare persino più moderno ed inserito nella realtà di lui, e ancora vittima delle passioni adolescenziali, come le polpette di McDonald’s, o l’uso di Selfie da postare su Instagram, o si diverta a chattare su WhatsApp. L’incontro crea un’amicizia quasi fatale e fa lievitare una serie di battute salaci e coinvolgenti. Lo stesso pubblico pronto ad intenerirsi quando Gustavo ritrova la tomba della madre e si lascia sfuggire una lacrimuccia.

Lo spettacolo, che funziona perfettamente nell’amalgama delle due personalità, con il giovane attore che inevitabilmente diventa spalla dell’altro, non ha una vera e propria scena, se non una serie di led che disegnano figure astratte sulle pareti e come elementi mobili solo una panchina, una carrozzella con la quale Gustavo si muove in palcoscenico e una carriola che ne fa le veci. Il tutto dovuto alle scelte di Gaspare De Pascali.

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