Accademia di Santa Cecilia – Nott Di Rosa dirige Berg e Strauss

All’ ombra di Wagner

L’amore segreto, quello che conduce per mano gli amanti lungo i sentieri della felicità e della rinunzia, investe di sé  il brano d’apertura del concerto settimanale di Santa Cecilia nel Parco della Musica con Nott Di Rosa sul podio.

Si tratta della  “Lyrische Suite” che Alban Berg scrisse per quartetto d’archi tra il 1925 e il 26 con il giovane linguaggio musicale dodecafonico e dedicò al  compositore Alexander Von Zemlinsky. Adorno definì la Suite lirica “un melodramma latente” e in realtà, specialmente la versione per orchestra, si può ascoltare come un personale poema sinfonico e lirico, per i molti referenti soggettivi narrativi e simbolici che permeano la barriera invalicabile che indirizza su piani inconciliabili la speranza che si nutre d’amore e di disperazione, e il pessimismo che si alimenta dello stesso tessuto emozionale e diventa tempesta dell’animo.

Ed in effetti, nel 1977, fu scoperta una partitura nella quale nel finale lo stesso compositore annotava il  testo “De profundis clamavi”, una poesia di Beaudelaire e dei suoi “Les Fleurs du Mal”, pensata per voce sopranile.

L’opera era dedicata a Hanna Fuchs-Robettinn, che lo aveva ospitato assieme al marito, a Praga , sembra su segnalazione della cognata Alma Mahler Werfel, e della quale Berg si era innamorato non corrisposto. Ad Hanna, secondo  il musicologo Perle, era stata idealmente dedicata una parte di una composizione di Von Zemlinsky che corrispondeva alle parole “Du bist mein Eigen, mein Eigen” (“Tu sei mia, mia!”); continuando la ricerca ecco una citazione musicale dal “Tristan und Isolde” di Wagner, ovvero la massima concezione romantica dell’amore.  Scandagliando con la curiosità di un segugio, Perle aveva scoperto anche  un tema composto dalle note La, Si bemolle, Si naturale, Fa (nella notazione tedesca: A-B-H-F), utilizzato da Berg allo scopo di combinare le proprie iniziali (A.B.) con quelle di Hanna Fuchs-Robettin (H.F ).

Il programma ora, con una virata, dirige la prua verso Richard Strauss con il Concerto per oboe, dapprima, che fa parte di un gruppo di lavori sinfonici baciati dal successo, anche per la natura quasi olimpica che li contraddistingue, pieni come sono di serenità e di umorismo. Scritto in un periodo assai doloroso, in quel 1945 che segnò anche per il suo paese la stagione più triste della disfatta e della distruzione, con la fame che si presentava nelle sue più aberranti declinazioni e sempre come assenza, dal cibo alla cultura, con i maggiori teatri inceneriti dalle bombe, questo elegante brano, è reso perfettamente dalla maestria di Francesco Di Rosa, Primo oboe solista dell’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, e dal direttore Nott Di Rosa, che tiene costantemente aperto il dialogo fra lo strumento e il resto della formazione.

Richard Strauss è spesso riconosciuto come il padre del Poema Sinfonico, ovvero della musica a tema, descrittiva. Fra i suoi poemi, un posto di straordinaria bellezza è quello ricoperto dal “Don Giovanni”, un atto di omaggio a Richard Wagner da parte del giovane compositore e direttore d’orchestra, che aveva respirato in famiglia i gusti accademici e tradizionale del padre Franz, celebre cornista, avverso furiosamente alla novità rappresentata dall’autore del Parsifal. Il “Don Giovanni” di Strauss è una composizione che si articola su due tematiche principali, una che presenta il celebre seduttore insaziabile d’amore, perché alla ricerca di quell’appagamento totale che solo vive nelle regioni del mito, e dunque un tema superbo e spavaldo, raccontato musicalmente con la forma-sonata. La seconda tematica espressiva trasporta l’ascoltatore nella più completa e articolata dolcezza dell’amore come realizzazione  di un sentimento che ha trovato la via della propria soddisfazione fisica,  e la esprime con una languida femminilità,  ma non per l’eroe senza posa, perché l’amore per don Giovanni non si satura, diventa tensione e ricerca di altro, fame inestinguibile di assoluto. Il poema, seguendo le linee ascendenti del personaggio,  si avvia alla fine con un senso di disillusione e di morte e si spegne nel silenzio che segue il fremito degli archi.

L’eterno binomio di Eros e Thanatos, Amore e Morte, quest’ultima vissuta come trascendenza, incontro su sfere diverse, liberi dalle strettoie terrene, quale si era formalizzato nella poetica fine di Isolde sul corpo di Tristan nell’opera di Wagner, è alla base della ispirazione di Tod und Verklärung ( Morte e Trasfigurazione) di Strauss, che il musicista pensò tra il 1888 e il 1890. Vuole raccontare l’ultima notte di un malato, nel momento in cui avvicinandosi alla fine comprende che il momento più alto delle sue aspirazioni troverà compimento quando la sua anima si sarà librata nelle altezze sideree dell’Oltre.

Il poema ha il respiro di un’opera lirica, si potrebbe accostare,  come indica Bossini nel programma di sala,  all’espressionismo del cinema muto dove l’attore,  “privato della parola, torce il volto e muove il corpo con gesti esagerati, nell’urgenza di comunicare le emozioni”.

In pochi  quadri essenziali, il racconto si sfaccetta e si pone in sintonia con la realtà di una fine.

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