Lucy, l’australopiteco femmina all’origine dell’umanità

Il piccolo scheletro fossile di australopiteco femmina soprannominato Lucy, risalente a 3,2 milioni di anni fa, era capace di camminare eretto su due zampe

Quaranta anni fa, un giovane paleoantropologo statunitense di nome Donald Johanson fece la scoperta della vita nelle aride zone della remota regione delll’Afar, in Etiopia: lo scheletro, risalente a 3,2 milioni di anni fa, di una creatura dal cranio piccolo in grado di camminare su due zampe, proprio come noi. Agli scienziati, il reperto è noto come AL 288-1: si tratta di un esemplare femmina della specie Australopithecus afarensis. Ma per la maggior parte delle persone è semplicemente Lucy. 

In una intervista di Kate Wong, Donald Johanson, direttore dell’Institute of Human Origins dell’Arizona State University,  ha raccontato di quel fatidico giorno e della straordinaria stagione scientifica scaturita da quella eccezionale scoperta.

KW: Come ha trovato Lucy?

DJ:Era il 24 novembre 1974. Eravamo nella nostra seconda stagione di ricerca sul campo ad Hadar. Eravamo già stati lì nel 1973, quando avevo trovato un’articolazione del ginocchio appartenuta a un ominide fossile, ma non potevamo dire a che specie appartenesse o se si trattasse di una nuova specie, perché avevamo a che fare con strati geologici più antichi, su cui nessuno aveva lavorato prima in Africa, eccetto che in alcuni affioramenti in Etiopia meridionale, in cui furono trovati denti isolati.

Speravamo intensamente di trovare qualcosa di più completo e importante. Quel giorno non avevo tanta voglia di uscire, ma Tom Gray, allora studente laureato e mio assistente, a cui era affidato il compito di tracciare le mappe, voleva raggiungere un sito di fossili che avevamo scoperto in precedenza, in modo da segnarlo in modo preciso sulla mappa. Così arrivammo sul posto, un piccolo altipiano, e segnammo la posizione. Poi facemmo un giro in cerca di fossili. Io tengo sempre lo sguardo rivolto a terra: è l’unico modo per trovare qualcosa. Tom era alla mia sinistra, e appena sopra la mia spalla destra scorsi un gomito e un’ulna perfettamente conservati. 

Pensai che potesse trattarsi di ossa di scimmia:in quella regione non era raro trovare fossili di babbuini, calubi e altre specie. Ma quell’osso non aveva l’estesa svasatura che hanno i gomiti di scimmia. Intuii quindi che doveva trattarsi di un fossile di ominide. Tom aveva molti dubbi sulla mia valutazione ma poi vide frammenti di cranio vicino al suo piede. E ben presto scoprimmo che era uno scheletro parziale. Guardando su per la pendenza si potevano scorgere questi pezzi di ossa, ben visibili, posti lungo un linea quasi retta: un frammento di mascella, un femore e così via. Raccogliemmo un paio di pezzi e li riportammo al campo. Tom era un tipo calmo e riflessivo, ma quando arrivammo al campo non resistette dal suonare il clacson e gridare: “Don ha trovato un cosa incredibile”.

Ovviamente fu la svolta della mia carriera. Venni subito a sapere che lo scheletro era più antico di tre milioni di anni, perché suini ed elefanti dello stesso strato avevano circa quell’età. Fino a quel momento, tutti i fossili degli antenati dell’uomo più antichi di tre milioni di anni potevano stare nel palmo di una mano, e nessuno era abbastanza significativo da poter indicare a quale specie appartenesse. Noi avevamo resti craniali e postcraniali.

Si trattava di un esemplare minuscolo. Pensavo che potesse appartenere al gruppo degli austrolopitechi, in particolare per le dimensioni del cervello, che si possono stimare dall’osso occipitale: l’arcata di quest’osso era così piccola che al suo interno non poteva stare nulla più grande di un pompelmo. E alcune caratteristiche dei denti, in particolare dei premolari, suggerivano che potesse trattarsi di un nuova specie. Ma la decisione non fu presa veramente prima del dicembre del 1977, quando ci dicemmo: “Ok, è inutile rimandare: è una nuova specie. Adesso definiamola”. L’abbiamo chiamata Australopithecus afarensis, in onore della popolazione Afar, dell’omonima regione dell’Etiopia.

KW: In che modo Lucy è diventata un’icona?
DJ: Sapevo fin dall’inizio che sarebbe stata una scoperta importante. Col senno di poi, posso dire che gli abbiamo anche dato un nomignolo azzeccato. Un membro della spedizione suggerì che, se fosse stata una femmina, come sospettavamo, avremmo potuto chiamarla Lucy, dalla canzone dei Beatles ”Lucy in the Sky with Diamonds” che sentivamo dal mio piccolo mangiacassette Sony la sera dopo la scoperta. Da una frase buttata lì, il nome Lucy divenne un tormentone fin dalla colazione del giorno dopo. “Perché stiamo tornando al sito di Lucy?”, “Quanto pensi che sia antica Lucy?”. In un attimo era diventata una persona. Penso che sia stato anche questo elemento a farla diventare un’icona: la gente ha iniziato ad affezionarsi al nome. Quando vedevano le fotografie non era solo un pezzo di mandibola o un cranio che li fissava con le orbite vuote: era il volto di un individuo. Questo elemento è stato particolarmente efficace nel coinvolgimento dei bambini, che mi scrivevano continuamente chiedendomi: “Abbiamo un progetto su Lucy: Pensi che fosse sposata? Che cosa mangiava?”

KW: Con gli anni siamo riusciti realmente a rispondere a queste domande, almeno per quanto riguarda la specie a cui apparteneva Lucy.
DJ
: Abbiamo quasi 400 campioni della stessa specie raccolti in Hadar, un tesoro per gli studi scientifici. Sappiamo dalle analisi degli isotopi stabili dei loro denti che era quasi vegetariana. Probabilmente si nutriva di frutti e foglie. Immagino che mangiasse anche termiti e piccoli vertebrati. Magari trascorreva del tempo anche sulle rive del lago raccogliendo tartarughe e uova di coccodrillo: fossili di tartarughe e di uova di coccodrillo sono infatti state trovati entrambi praticamente nello stesso strato in cui è stata scoperta Lucy.

Australopithecus afarensis viveva in gruppi con molti maschi e molte femmine, probabilmente in modo simile a quanto si osserva negli scimpanzé che vivono oggi in Africa. È interessante notare tuttavia che afarensis mostra una riduzione dei canini. Negli scimpanzé e nei gorilla, i maschi usano i loro grandi canini per combattere. Alcuni hanno interpretato questa riduzione di dimensione come la prova di una limitata aggressività tra i membri del gruppo; cioè in sostanza i maschi non necessariamente dovevano competere in modo aggressivo per conquistare le femmine. Ridurre l’aggressività intragruppale è vantaggioso perché aumenta la fiducia dei confronti dei propri consimili.

KW: Lei afferma che Australopithecus afarensis occupa un posto piuttosto importante nell’albero genealogico ancestrale del nostro genere,Homo. Come è arrivato a questa conclusione?

DJ: Direi che la specie di Lucy è l’ultimo antenato comune di due differenti radiazioni adattative successive alla sua. È sempre molto difficile definire un rapporto causale tra il cambiamento climatico e il cambiamento di specie, ma sappiamo che poco dopo la scomparsa di Australopithecus afarensis dalla documentazione fossile, circa 3 milioni di anni fa, in Africa orientale si verificò una diminuzione della temperatura e dell’umidità. Alcuni discendenti di Lucy in Africa Orientale si sono evoluti attraverso specie come Australopithecus aethiopicus, che aveva una faccia sporgente come afarensis, ma anche una cresta enorme sul capo e denti posteriori molti ampi. 

Questi adattamenti alla dieta erbivora prefigurano altre funzioni in un’altra specie, Australopithecus boisei. Quindi penso che la linea afarensis-aethiopicus-boisei sia una linea filogenetica rintracciabile in Africa orientale. D’altra parte, afarensis non era troppo specializzato per essere un antenato di Homo. Una volta arrivate in Sud Africa, specie come Australopithecus africanus sono già abbastanza specializzate: sembrano antenati ideali per la specie del Sud Africa Australopithecus robustus. Ma afarensis aveva caratteristiche meno specializzate, quindi potrebbe aver dato origine a Homo, nel sito di Hadar: Homo risale a 2,4 milioni di anni fa.

KW: Una proposta alternativa a questo scenario è stata avanzata sulla base della recente scoperta, fatta in Sud Africa da Lee Berger dell’Università di Witwatersrand e dei suoi colleghi, di una specie prima sconosciuta di ominidi, Australopithecus sediba. I ricercatori hanno suggerito che questa specie potrebbe aver dato origine a Homo.
DJ
: Australopithecus sediba è datato a 1,9 milioni di anni fa, quindi 500.000 anni dopo la presenza di Homo in Africa orientale. Non sembra che ci siano altri esemplari di Homo così vecchi in Africa australe. Penso che sediba sia solo un’altra specie di Australopithecus che non ha nulla a che fare con Homo. Potrebbe benissimo essere stato un ramo di Australopithecus africanus.

Un aspetto particolarmente interessante dei fossili del Sud Africa è che hanno una strana mescolanza di caratteristiche, cioè una combinazione di alcuni tratti tipicamente associati ad Australopithecus e altri che ricordano Homo. Ciò che emerge via via che si rende disponibile una raccolta di fossili sempre più completa è la grande inventiva della selezione naturale. La vecchia visione di una evoluzione lineare lungo un ramo filogenetico è stata ormai abbandonata dalla maggior parte degli studiosi. Stiamo osservando una combinazione di caratteristiche sorprendente.

KW: Negli ultimi vent’anni è venuto alla luce gran numero di nuove specie di ominidi. Alcuni di essi condivisero il pianeta con Homo sapiens fino a circa 50.000 anni fa: anche Lucy potrebbe aver incontrato altri umani?
DJ: Ci sono un paio di altre specie che potrebbero essere state presenti durante il periodo di Australopithecus afarensis, tra 4 milioni e 3 milioni di anni fa. Una è Kenyanthropus, un cranio ritrovato in Kenya e risalente a 3,5-3,2 milioni di anni fa. Alcuni esperti ritengono che si tratti di un cranio di afarensis molto deformato. Ma è certamente possibile che ci fossero specie parallele di umani.

L’altro candidato è un piede fossile scoperto nell’area di Waranso-Mille, nella regione dell’Afar, da Yohannes Haile-Selassie del Cleveland Museum of Natural History. A differenza del piede di Lucy, in cui l’alluce è allineato con le altre dita, questo piede ha un alluce divergente, che potrebbe essere stato utile per salire sugli alberi. Il piede apparteneva a un individuo vissuto 3,4 milioni di anni fa che viveva proprio in mezzo all’habitat di afarensis.

Il campione è stato attribuito alla specie Ardipithecus ramidus, i cui resti meglio conservati sono di un scheletro di 4,4 milioni di anni chiamato Ardi, collegato anch’esso alla specie più vecchia Ardipithecus kadabba. Potrebbe trattarsi di un ramo filogenetico parallelo ad Australopithecus. Perciò non saremmo sorpresi se vedessimo un aumento nel numero di specie che si sovrappongono temporalmente.

KW: come dicevamo all’inizio di questa discussione, ricorre il quarantesimo anniversario della scoperta di Lucy. Perché lei e i suoi colleghi siete ritornati ad Hadar per tutti questi anni?
DJ: In realtà c’è stata una sospensione di nove anni durante la rivoluzione etiope, ma abbiamo continuato a tornare ad Hadar poiché l’erosione del terreno continuava, e i fossili, che potevano essere sotterrati a un centimetro di profondità o anche meno, affioravano: si trovavano sempre nuovi reperti. E al termine della serie di spedizioni degli anni settanta, non avevamo ancora un cranio di Australopithecus afarensis. Ci siamo dovuti arrendere a questa constatazione. Avevamo un cranio composito messo insieme con i pezzi di diversi individui, ma non avevamo un cranio completo di un singolo individuo. E il cranio è dove hanno luogo i cambiamenti anatomici più importanti e significativi, principalmente per effetto della dieta, ma anche per l’aumento delle dimensioni del cervello. Perciò, se torno con la mente agli anni novanta, il nostro obiettivo era trovare un cranio. Fortunatamente, ne è stato trovato uno di un individuo maschio, e ora c’è anche un cranio femminile.

KW: Pochi anni fa, alcuni ricercatori hanno annunciato la scoperta di ossa animali con segni di taglio in un sito molto vicino ad Hadar chiamato Dikika, da cui precedentemente era emerso uno sbalorditivo scheletro di piccolo di afarensis. Che cosa suggeriscono questi segni sulla specie di Lucy?
DJ
: Una delle caratteristiche principali di noi esseri umani è che siamo onnivori. In una qualche fase del passato dell’uomo i nostri antenati iniziarono ad ampliare la loro tradizionale dieta vegetariana, consumando carne sempre più regolarmente. Se si vuole sostenere un organo importante, anche dimensionalmente, come il cervello, occorrono cibi ricchi di amminoacidi, di calorie eccetera.

In Etiopia sono stati scoperti utensili di pietra, utili per lavorare la carne, risalenti a 2,6 milioni di anni fa. Ma abbiamo indizi secondo cui la macellazione iniziò prima di allora. Zeresenay Alemseged, della California Academy of Sciences, trovò alcune ossa di mammifero di 3,4 milioni di anni fa in cui comparivano delle incisioni. Queste furono esaminate molto approfonditamente da Curtis Marean,dell’Institute of Human Origins, e altri, i quali conclusero che si trattava di segni intenzionali, fatti con il bordo affilato di una pietra. Se questo è vero, significa che afarensis stava già iniziando a sperimentare la manifattura di strumenti di pietra e che bisogna retrodatare di 800.000 anni l’alba della cultura, il momento in cui gli ominidi iniziarono a forgiare gli utensili dalle rocce per acquisire una nuova fonte di cibo, e cioè la carne. Ciò non significa necessariamente che fossero cacciatori, ma probabilmente erano saprofaghi molto efficienti, specialmente se imparavano ciò che i predatori facevano con le loro vittime. I leopardi per esempio consumano i pasti sugli alberi, e gli ominidi potevano approfittare del loro allontanamento.

In questo momento stiamo completando un programma per analizzare in modo sistematico tutti i fossili raccolti negli anni settanta e novanta nella regione dell’Hadar per vedere se sia possibile documentare altri segni di taglio. La cultura può essere così antica?  Anche altri traguardi dell’evoluzione sono stati retrodatati in modo simile. E sappiamo che in Africa occidentale esistono certi gruppi di scimpanzé che usano una tecnica “martello e incudine” per aprire le noci. Non è difficile quindi immaginare che uno di questi proto-umani si sia tagliato con una scheggia di pietra mentre apriva una noce e che da questo abbia preso ispirazione per usare le pietre come utensili.

KW: Quali sono le questioni più scottanti sull’evoluzione umana che ancora rimangono senza risposta?
DJ: L’origine di Homo è il problema che attualmente impegna la comunità dei paleoantropologi. La mia opinione è che Homo sia emerso in qualche luogo tra 2,4 milioni e 3 milioni di anni fa. Ci sono gruppi dell’Institute of Human Origins che hanno ottenuto i permessi per lavorare in aree in cui i depositi geologici di queste epoche sono esposti, e hanno trovato fossili. Non sono ricchi di fossili come Hadar, per esempio, o molti altri di questi siti. Ma credo che sia solo questione di tempo perché si inizino a scoprire fossili di ominidi. Questo ci dirà qualcosa sull’intervallo temporale e forse ci fornirà il collegamento tra la linea filogenetica di afarensis e quella diHomo.

Anche la questione dell’uso di utensili è di estremo interesse, dal momento che, in ultima analisi, una delle caratteristiche più peculiari di noi esseri umani è la capacità di essere infinitamente creativi. Gli scimpanzé hanno un certo livello di cultura. Uno scimpanzé può strappare da un ramo le foglie e i rametti per ottenere un bastone con cui catturare le termiti. Ma non decora mai un utensile di questo tipo, come potrebbe fare un uomo.

La cosa più interessante è che per un lungo tempo gli ominidi hanno fatto solo strumenti molto rudimentali. La nostra specie non è sulla Terra da molto, se si considera che l’età di Homo sapiens è di 200.000 anni. La cultura è iniziata come un lungo, pesante treno merci uscito sbuffando dalla stazione, e che poi prese velocità, portandoci all’improvviso sulla Luna, e dando computer che stanno nella tasca dei pantaloni, mentre solo qualche decennio fa potevano occupare un edificio. Quali sono state le forze che hanno portato gli esseri umani, moderni sia dal punto di vista anatomico sia comportamentale, a fare un simile salto quantistico?

Questa è una delle caratteristiche più peculiari degli esseri umani, e penso che in definitiva sia stata resa possibile dall’acquisizione del pensiero simbolico e del linguaggio. Anche la cooperazione è stata un elemento fondamentale. Provate a dare ad una persona il compito di costruire un razzo per mandare un uomo nello spazio. Questo compito richiede la cooperazione oltre alla comprensione.

Esaminare le radici evolutive di ciò che ci rende veramente Homo sapiens è uno degli attuali obiettivi dell’Institute of Human Origins. E così la nostra ricerca termina con l’emergere del nostro genere, raffinatosi a tal punto da diventare la creatura più influente del pianeta.

(La versione originale di questo articolo è  su scientificamerican.com. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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