ICTUS: PIÙ PREVENZIONE, MENO INCIDENZA

Con adeguati controlli dei fattori di rischio come ipertensione e  fibrillazione atriale si avrebbero molte migliaia di casi in meno in Italia. 

I dati dello Studio Eros (European Registers of Stroke), la cui parte  italiana è stata coordinata da Antonio Di Carlo dell’Istituto di Neuroscienze  del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) e da Domenico Inzitari  dell’Università di Firenze, evidenziano come si potrebbe, attraverso la  prevenzione, ridurre dell’1% all’anno l’incidenza dell’ictus cerebrale,  evitando così che diverse decine di migliaia di persone ne siano colpite  nei prossimi 10 anni. 
Tale previsione è stata effettuata utilizzando i dati provenienti da un  altro studio epidemiologico nazionale, il Progetto ILSA, e i risultati  sono pubblicati su Stroke, rivista ufficiale dell’American Heart  Association European Registers of Stroke Investigators. 
La necessità di contenere la diffusione di questa patologia deriva anche  da valutazioni di tipo economico-sanitario. 
Il Servizio Sanitario Nazionale sostiene infatti un costo totale stimato  in circa 3,7 miliardi di euro, e destinato ad aumentare, per assistere il  milione circa di italiani sopravvissuti ad un ictus, dei quali circa il 40%  presentano livelli di disabilità da moderata a totale, e i circa 230.000  nuovi casi stimati ogni anno. 
Lo studio Eros, finanziato nell’ambito del V Programma Quadro dell’Unione  Europea, è stato effettuato su 2.129 pazienti colpiti da ictus in sei città  europee: Sesto Fiorentino (Italia), Digione (Francia), Kaunas (Lituania),  Varsavia (Polonia), Londra (Regno Unito) e Minorca (Spagna). 
I tassi annui standardizzati sulla popolazione europea indicano il minimo  a Sesto Fiorentino, 101 casi ogni 100.000 uomini e 63 nelle donne, e il  massimo a Kaunas, rispettivamente di 239 e 159 casi. 
I tassi di Spagna sono di 116 e 66, in Francia sono stati di 122 negli uomini  e 76 nelle donne, nel Regno Unito di 121 e 78, in Polonia di 147 e 126.  Considerevole, dunque, il fatto che la minore incidenza sia in Italia, e  che le percentuali più basse siano state rilevate nei paesi a Sud, mentre le  più alte nel Nordest europeo, specialmente nelle donne. 
“Questi dati sono in parte spiegati dalla buona attività di prevenzione  riscontrata tra la popolazione di Sesto Fiorentino”, spiega Antonio Di Carlo.  “Ad esempio, il 94% dei pazienti con diagnosi di ipertensione arteriosa  risultavano in trattamento antipertensivo e i casi in cui non era stata  fatta la diagnosi di ipertensione prima dell’ictus erano solo il 12%.  L’ipertensione arteriosa è uno dei principali fattori di rischio per ictus,  ed attraverso attenti e scrupolosi screening dei soggetti a rischio e  l’adozione di idonee misure preventive è dunque possibile diminuire  l’incidenza di questa patologia”. 
A Sesto Fiorentino si è rilevata un’efficace attività preventiva anche per  quanto riguarda la fibrillazione atriale, un’aritmia cardiaca che si  associa ad un alto rischio di ictus. 
“La diagnosi di fibrillazione atriale era stata fatta prima dell’ictus in  quasi tutti i pazienti”, prosegue il ricercatore dell’In-Cnr, “e solo nel  2,4% dei casi veniva diagnosticata in ospedale, e il 20% dei pazienti  riceveva un trattamento con anticoagulanti orali, contro la media dell’8,4%  riscontrata in uno studio europeo”. 
Il modello di prevenzione rilevato a Sesto, applicato su larga scala,  potrebbe quindi ottenere potenziali ritorni in termini di riduzione  dell’incidenza e della progressione dell’ictus e dei relativi costi. 
“In Italia l’ipertensione colpisce oltre il 60% delle persone che hanno  superato i 65 anni, che da noi rappresentano il 19,7% della popolazione,  una delle più alte percentuali a livello mondiale. Eppure un terzo degli  anziani ipertesi non è trattato e circa la metà dei pazienti trattati non  ha un controllo soddisfacente della pressione arteriosa”, conclude  Di Carlo, ricordando che “a livello mondiale l’ictus cerebrale rappresenta  la seconda causa di morte e la prima causa di disabilità nel soggetto  adulto-anziano, con 16 milioni di nuovi episodi registrati ogni anno,  5,7 milioni di morti per anno dovuti a questa patologia ed un costo  corrispondente a circa lo 0,27% del PIL e al 3% delle spese dei sistemi  sanitari nei paesi occidentali”. 
Per informazioni: Antonio Di Carlo In-Cnr.
 
 
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