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Strage di Brescia: furono la destra eversiva e i servizi segreti a favorire gli autori!

brescia strage loggia 2016Roma, 16 agosto – Piero Colaprico, nei giorni scorsi, nel commentare su “La Repubblica” le motivazioni appena uscite della sentenza della seconda Corte d’ Assise d’Appello milanese sulla strage bresciana di Piazza della Loggia del 1974, argomenta che forse bisognerebbe, per esigenze di chiarezza, cominciare a chiamarla «strategia dell’insabbiamento» e non più «strategia della tensione». Sono molto chiare le motivazioni sui due ergastoli comminati: «Tutti gli elementi evidenziati convergono inequivocabilmente nel senso della colpevolezza di Carlo Maria Maggi», medico e nazista, uno dei vertici dei neofascisti di Ordine Nuovo per il Nord-Est, il quale aveva, continuano i Giudici, «la consapevolezza» di sentirsi spalleggiato dalle «simpatie e coperture», se non dall’«appoggio diretto», di «appartenenti di apparati dello Stato e dei Servizi di Sicurezza nazionali ed esteri». Mani nere, dunque. E mani sporche, anche. E come il dottor Maggi è l’ ingranaggio principale della catena di comando che porterà la gelignite da una trattoria di Venezia sino a un bidone di piazza della Loggia, il 28 maggio del 1974, così con lui viene condannato «la fonte Tritone» dell’ Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’ Interno, e cioè l’informatore retribuito Maurizio Tramonte, frequentatore di stragisti e 007. Due ergastoli per una strage, lo si aspettava. Come però ammette senza finzioni la stessa Corte, nelle aule di Giustizia, i depistatori e i loro mandanti non hanno perso. A rispondere degli otto morti e oltre cento feriti, infatti chi c’è? «Un leader ultraottantenne e un non più giovane informatore dei Servizi, mentre altri, parimenti responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo – scrivono i Giudici – una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la “mala-vita” anche istituzionale all’ epoca delle bombe». Questo concetto della «mala-vita anche istituzionale», però, entra comunque per la prima volta in una sentenza penale. Sin qui il giornalista Piero Colaprico.

Vediamo ora come è regolato il “Segreto di Stato”. La  Legge 3 agosto 2007 n. 124 sul “Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica e Nuova Disciplina del Segreto”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2007, in termini di novità rispetto al passato, ha previsto un criterio di valutazione del danno che si vuole evitare con il ricorso al segreto di Stato, prescrivendo che esso debba configurarsi come tale da “ledere gravemente” la “Salus Rei Publicae”, cioè, il supremo interesse dello Stato. In tale quadro, la Legge ha introdotto anche nuovi casi di inopponibilita’ del Segreto di Stato. Rispetto all’ipotesi già prevista dalla vecchia legge n. 801/1977 (il cui articolo 12 testualmente recitava che in nessun caso potevano essere oggetto di Segreto di Stato fatti eversivi dell’ordine costituzionale), costituiscono ora motivo ostativo anche i fatti di terrorismo e quelli costituenti i delitti quali la devastazione, saccheggio e strage; associazione di tipo mafioso; scambio elettorale politico-mafioso; strage).

In verità, una recente positiva novità c’è, quantomeno nella volontà dell’Esecutivo di porre ordine alla delicata materia e di disciplinarne le procedure.  Finalmente c’è stata  una “direttiva” del Presidente del Consiglio  Renzi che prevede l’ ordine tanto atteso di aprire gli armadi con il materiale dei Servizi sulle stragi italiane. Sono già stati stanziati 600mila euro per la digitalizzazione dei documenti, con bando di gara europeo. Tutto il materiale, che andrà catalogato all’ Archivio centrale di Stato a Roma, sarà messo a disposizione degli archivi periferici, sarà reso pubblico. Massimo diciotto mesi.

Su questo confida chi ama la verità vera! Cioè i Parenti delle Vittime come gli Italiani onesti e “Schienadritta”!!

Sulle trame delle stragi, abbiamo già scritto il 04 Aprile 2012, a commento del film “Romanzo di una strage”, con spunti di riflessione sulle “verita’ indicibili” di terrorismo e altro. Mario Calabresi, figlio del Commissario di PS, ucciso per mano di sicari telecomandati dai famigerati cattivi maestri che hanno avvelenato le coscienze dei giovani negli anni di piombo, ha visto il film di Marco Tullio Giordana, e ha  confidato ad Aldo Cazzullo, sul Corriere della Sera, le proprie riflessioni. “È un film importante per ricordare quel che è stata Piazza Fontana, era necessario un omaggio alla memoria e a tutte le vittime: i morti della strage; Giuseppe Pinelli (l’anarchico caduto dalla finestra della Questura di Milano nel corso di interrogatorio); mio Padre; e l’ultima vittima, la Giustizia. Non è un film buonista, non edulcora la realtà, anzi ha il pregio di mostrare che Pinelli e mio Padre facevano due mestieri diversi, erano persone agli antipodi; ma non erano nemici”. Il film pare avanzare l’ipotesi che la responsabilità di quei gravissimi eventi sia dei corpi deviati dello Stato; mentre il figlio è convinto (giustamente!) che la verità giudiziaria coincida con la verità storica: “Se lo Stato ha una colpa, è aver lasciato mio Padre solo, aver permesso che diventasse un simbolo”. Il film prende spunto dal libro del giornalista Paolo Cucchiarelli, “Il Segreto di Piazza Fontana” (Ponte alle Grazie, 2009), che presenta il limite di citare numerose fonti anonime non riscontrabili, collegate al neofascismo e ai Servizi più o meno deviati. Riguardo al ruolo dei Servizi, in verità non lineare (ci furono infatti condanne per il Generale Maletti e Capitano Labruna; il primo tuttora latita in Sudamerica per sfuggire ad esecuzione di sentenze definitive), va detto che il giornalista infiltrato Giannettini, in libro-paga SID, fu autore di due relazioni, redatte nel maggio 1969, che rivelavano la conoscenza da parte dei Servizi della possibilità di attentati terroristici da parte di elementi della destra oltranzista, sostenuti da gruppi industriali del nord, con il benestare di ambiti internazionali non meglio indicati Non viene, invece, nel film (tranne l’apparizione di qualche scritta murale nei pressi dell’abitazione del Commissario), fatto alcun riferimento al clima di odio scatenato dagli intellettuali nei modi più violenti contro l’esemplare Commissario di Polizia,  con iniziative quale la lettera pubblicata su ”L’ Espresso”, firmata da 800 “acculturati”, di cui alcuni, ma solo alcuni, chiesero poi tardivamente scusa. 

E se i Giudici, ora, con la recente sentenza per Piazza della Loggia evidenziano il risultato «devastante per la dignità dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni», per gli Italiani s’ impone una domanda: ma quanto è possibile oggi ipotizzare di trovare le prove di chi, alcuni decenni fa, era stato capace, perché protetto da una parte dello Stato, di depistare la catena di sangue che iniziò con la madre di tutte le stragi, con i 17 morti di Piazza Fontana a Milano, del 12 dicembre 1969?

Dobbiamo dire con coraggio che  nel tempo, però, in virtù del lavoro di Magistrati coraggiosi, delle Polizie che hanno condotto con specchiata onestà le indagini, delle parti civili, di tanta società attenta e vigile, è stato possibile raccogliere un corpus monumentale di testimonianze, prove, documenti, che ha consentito e si spera consentirà ancora di giungere all’unica verità possibile e finalmente definitiva, appunto quella giudiziaria e storica.

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