SE I POLITICI STUDIASSERO LA STORIA

Lo chiamano Reality ed è spacciato come tale dall’astuta regia inebriata dal massiccio e ahimè massificante ascolto televisivo.

Nella stessa misura la televisione di Stato e quella privata gareggiano in termini di placebo popolare (l’una con l”Isola dei Famosi” l’altra con il “Grande Fratello”).

Non si tratta solo di placebo omologante; il cosiddetto Reality costituisce fonte di ispirazione anche per quei politici, conduttori e giornalisti che, sostenuti dalla consorteria dei plaudenti, si esibiscono nelle sceneggiate televisive proponendo se stessi come modelli virtuosi e gli avversari come fonte di ogni male nella speranza di suggestionare quei milioni di futuri elettori dalla memoria corta che, diversamente, si disinteresserebbero della politica oppure sarebbero indotti a giudicare, non in base alle parole ammannite in termini di commistione di pubblicità, spettacolo e politica, ma sulla base dei fatti.

Tuttavia, non è soltanto la televisione di Stato ad essere monopolio dei partiti; i giornali, finanziati dallo Stato e dalle lobby, non sono da meno in fatto di faziosità partitica.

E non c’è da meravigliarsi.

E’ prerogativa dell’italico costume considerare le cariche politiche a livello nazionale o locale come patrimonio  familiare tanto che a queste ben retribuite cariche non rinunziano né le vecchie né le nuove

generazioni dei figli o delle figlie di mamma o di papà.

Parimenti sono abbarbicati ad esse i pupilli o le pupille dei grandi “vecchi” che per decenni hanno tenuto banco nell’Italia catto-comunista.

Si dice che le colpe dei padri ricadano sui figli ma nel caso dell’implosione verificatasi in alcune regioni italiane c’è assoluta reciprocità fra genitori e figli in fatto di colpe per la disastrosa gestione della cosa pubblica o per il tanto scorretto quanto stolto uso della raccomandazione.

Vero è che, in certi casi, i due mali si sono sommati.

Di fatto, l’intercessione di certi politici per l’attribuzione di appalti ad amici e a parenti non è passata sotto silenzio.

A gettare benzina sul fuoco è intervenuta la sperequata azione della Magistratura che mentre ha costretto alle dimissioni da Guardasigilli il politico al quale era stata arrestata la moglie per una raccomandazione accertata grazie alle intercettazioni telefoniche, non ha proceduto nello stesso senso in un altro caso analogo.

Inevitabilmente, lo sconcerto per l’ennesimo intervento      giudiziario inspiegabile per l’opinione pubblica ripropone il mai risolto problema  istituzionale di quella deleteria paralisi giudiziaria che è la causa prima di molti dei mali che affliggono lo Stato.

E, a farne le spese  sono,    e direi soprattutto, quei magistrati che lavorano con coscienza e competenza senza lasciarsi fuorviare dalle suggestioni della politica inevitabili da quando i “pretori d’assalto” sono approdati in Parlamento con la conseguenza che alla divisione dei poteri si è sovrapposta la commistione dei poteri.

Ecco perché i politici farebbero bene a non ispirarsi al Reality ma a studiare la storia per constatare come, quando e perché il degrado ha colpito gli stati antichi e moderni portandoli alla rovina.

Sarebbe auspicabile, pertanto, che i politici leggessero o rileggessero gli scritti di Montanelli e meditassero sulle riflessioni, sempre attuali, di uno storico di indiscussa obiettività: Gaetano Salvemini.


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