Niente regali alle mafie: i beni confiscati subito disponibili per fronteggiare la crisi!

“Mafia, beni confiscati: azzerati gli amministratori”, così titola su  Repubblica.it del 30 gennaio l’ articolo di Alessandra Ziniti. “”É un vero e proprio valzer delle nomine quello che, suscitando non poche irritazioni tra i Giudici delle misure di prevenzione, porta la firma di Giuseppe Caruso, il (Prefetto) direttore dell’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati. E il suo è un pesantissimo atto d’accusa. “Alcuni hanno ritenuto di poter disporre dei beni confiscati come “privati” su cui costruire i loro vitalizi. Non è normale che i tre quarti del patrimonio confiscati alla criminalità organizzata siano nelle mani di poche persone che li gestiscono spesso con discutibile efficienza e senza rispettare le disposizioni di legge. La rotazione nelle amministrazioni giudiziarie è prevista dalla legge così come la destinazione dei beni dovrebbe avvenire entro 90 giorni o al massimo 180 mentre ci sono patrimoni miliardari da 15 anni nelle mani dello stesso professionista che, peraltro, prendeva al tempo stesso una parcella d’oro (7 milioni di euro) come amministratore giudiziario e 150 mila euro come presidente del consiglio di amministrazione. Vi pare normale che il controllore e il controllato siano la stessa persona?””.

Bene fa il Prefetto Caruso a tuonare, purchè cambi finalmente qualcosa nella delicata materia! Ci possiamo sperare? Oppure, tutto finisce all’italiana maniera! Ora un passo indietro si impone per raccontare ai non addetti ai lavori qualcosa sul gran tema dei beni della criminalità.

Storicamente, ricordiamo che le prime misure di prevenzione di contrasto furono previste dalla Legge Pica del 1863, contro il banditismo post unitario, anche se la prima vera norma antimafia è la Legge del 1965, che prevedeva per la prima volta sequestro e confisca di beni. La svolta legislativa che consentì l’aggressione ai patrimoni è rappresentata però dalla Legge Rognoni-La Torre approvata – come da copione- solo dopo la morte del benemerito On. Pio La Torre, che l’aveva proposta e tra mille contrasti fatta approvare, e quella dell’eroico Generale dalla Chiesa, che l’avrebbe applicata in modo incisivo. Tale Legge, tra l’altro, per la prima volta ha introdotto il reato di associazione mafiosa (art.416 bis CP), prima inesistente. Interessante, negli anni successivi, la mobilitazione di Libera-Associazione contro le mafie (a oggi un network di oltre 1600 associazioni), culminata nella presentazione e approvazione di una legge di iniziativa popolare nel 1996 che prevedeva che i beni confiscati fossero rapidamente conferiti alla collettività per creare lavoro, scuole, servizi e lotta al disagio.

Si giunge, così, alla Legge del 2010 istitutiva dell’Agenzia Nazionale di cui trattiamo.

Sappiamo che la sede principale dell’Agenzia è Reggio Calabria, così voluto per dimostrare sensibilità dello Stato alle Regioni più colpite dai fenomeni criminalmafiosi. Per motivi operativi,  però si avvale di uffici romani, in Via dei Prefetti, vicini alle sedi della politica che conta, pagando ben 25.000 euro al mese, cioè 295.000 all’anno. Nonostante questo, l’Agenzia stenta a decollare, perché non basta confiscare i beni alla criminalità organizzata se poi non c’è una disciplina adeguata per permetterne l’amministrazione e la gestione in tempi brevi. In sostanza, dando ragione al Prefetto Caruso, la spinta iniziale sembra essersi rapidamente esaurita, non si sa bene perché! L’organico di Poliziotti, Carabinieri, Finanzieri e altri collaboratori civili è composto da appena trenta persone per cinque sedi (Reggio e Roma,Napoli, Palermo e Milano). È evidente che sono pochi per un compito complesso e difficile.

In soccorso è arrivata la Legge di stabilità di gennaio 2013 che ha disposto che quei trenta posti diventino fissi dando all’Agenzia la possibilità di ampliarsi di altre cento unità comandate o distaccate da altri enti a tempo determinato, a spese…. delle amministrazioni di provenienza! Probabilmente le cose andavano meglio con la vecchia disciplina, che prevedeva la gestione al Demanio dello Stato con la destinazione affidata alle Prefetture, legando il tutto al Ministero dell’Economia. Il passaggio agli Interni ha creato, invece, tutta questa gran confusione.

Perché?

Allora, è ancora utile questa Agenzia? Oppure  si è rivelata inutile e mantenuta perché chiuderla sarebbe politicamente un boomerang? Perché, allora, non snellire le procedure in tempi rapidissimi?

Comunque stiano le cose, i patrimoni sottratti alle mafie costituiscono un tesoro che vale quanto una Finanziaria, di oltre 30 miliardi di euro: più di 11.000 immobili e 1.700 aziende dislocati per l’80 per cento tra Sicilia, Calabria, Puglia e Campania ma anche in Lombardia e Lazio, con lo straripamento delle mafie dai siti di origine.

Come mai, intanto, parte di questi soldi, gestiti dal Dicastero dell’Interno, non vengono assegnati subito alle Forze dell’Ordine che hanno difficoltà persino a pagare la benzina o le diarie per chi cerca i latitanti?

Ma è possibile che tutto questo accada solo in Italia?

Per chi volesse approfondire l’argomento, suggerisco il recente libro “PER ILNOSTRO BENE” di Antonella Coppola e Ilaria Ramoni (chiarelettere editore, settembre 2013), che è un viaggio compiuto dalle autrici attraverso luoghi simbolo espugnati alla criminalità organizzata e che ora si tenta con difficoltà di restituire alla società. Un reportage tra le fortezze espugnate a quella mafia che soffoca il Paese, come la villa di Tano Badalamenti a Cinisi, la reggia di “Sandokan” Schiavone a Casal di Principe, l’enclave dei Casamonica nella periferia romana, e perfino una residenza principesca a Beverly Hills, proprietà di Michele Zaza, ’o Pazzo, re del contrabbando. E poi cascine di ’ndrangheta in Piemonte, tenute in Toscana, castelli, alberghi, discoteche, campi di calcio, maneggi. Questo libro racconta cos’erano e cosa sono diventate.

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