LE LOBBY MANIPOLANO L’INFORMAZIONE

Ma veramente in Italia manca la libertà di informazione?

La violenta reazione studentesca in opposizione alla riforma dell’università e il rifiuto del Brasile alla richiesta di estradizione di un terrorista pluriomicida: due eventi che non possono non richiamare alla mente il ricordo degli anni di piombo attraversati dalla scuola italiana, all’indomani della rivolta sessantottina, per la presenza di cattivi maestri, con il martellamento parolaio degli “ideologi della libertà” teso a blandire i giovani e a mobilitare le piazze contro il “nemico da abbattere”.
Allora, il primo a dissociarsi da queste manovre è stato Pasolini che non accolse l’invito degli studenti del liceo Tasso a partecipare ad una assemblea perché colpito negativamente dalla
contrapposizione (fra gli studenti,  molti dei quali “figli di papà”) e i loro coetanei, militanti fra le Forze dell’Ordine, costretti a svolgere l’ingrato ruolo di “sbirri”.
Corsi e ricorsi storici con un’unica variante.
Allora il nemico era rappresentato dall’ ”autorità”.
E l’autorità, nelle scuole, era costituita da quei presidi e da quei professori che non intendevano rinunciare al proprio ruolo di responsabili della crescita culturale dei propri allievi per seguire le orme dei colleghi “progressisti”, “docenti aperti alle istanze dei giovani”.
Anche oggi la rivolta studentesca è assecondata da ideologi “progressisti” o da politicanti “aperturisti”- che dalla piazza, dalla cattedra o dalla televisione criticano duramente l’azione del Governo – tuttavia, ciò che fa la differenza fra ieri e oggi è la personalizzazione degli attacchi velenosi e gli strali più insidiosi lanciati dagli alleati di Governo.
Evidentemente, l’ossessione della conquista del potere induce a sopravvalutare l’avversario, (il Premier).
Sono emerse dall’anonimato mezze figure di politici con un passato di poco conto. Evidentemente il monopolio dei mezzi di informazione imposto dai poteri forti, nel costringere al silenzio chi non partecipa ai giochi di palazzo, impedisce ai politici di rendersi conto non solo del limite di sopportazione cui è giunta la maggioranza silenziosa dei cittadini, ma anche della ragione che ha determinato, da parte dell’elettorato, la preferenza per il programma del Centro-Destra: la promessa di una riforma integrale della giustizia.
Si tratta di una riforma la cui priorità è la condizione della riuscita, da parte del Governo, di qualsiasi azione di rinnovamento e la cui portata, sia in ambito civile che penale, deve estendersi non solo ai tempi mostruosamente lunghi dell’iter processuale ma anche a tutti quegli apporti devastanti che, nel corso di quattro decenni, hanno smantellato il sistema giudiziario.
Nonostante l’impegno di molti magistrati, la magistratura si è trasformata da corporazione sindacalizzata, in casta.
Sembra incredibile che deputati e senatori non abbiano avvertito la gravità di certe iniziative parlamentari così come è sorprendente la disinvoltura con cui si sono auto-attribuiti retribuzioni eccessive e correlati privilegi. Una disinvoltura che denuncia un nuovo modo d’essere del ceto politico che corrisponde al nuovo modo di proporsi attraverso la televisione.
Di fatto, la televisione, sia con spettacoli di intrattenimento sia con le trasmissioni politiche, concorre notevolmente ad esercitare un’azione diseducante sulla gente comune.
Persino la televisione di Stato, preclusa al cittadino qualunque e a movimenti portatori di proposte disinteressate, esercita un’influenza quanto mai negativa con conduttori aggressivi e subdoli, e con giornalisti la cui notorietà è assicurata dalla partigiana sottomissione ai poteri forti. Il che, nell’alimentare la rissa politica e aggravare la crisi istituzionale, induce molti cittadini al rifiuto della politica con conseguente astensione dal voto elettorale.
E non ha certo migliorato la situazione la sentenza della Consulta in merito alla legge sul legittimo impedimento. Tale sentenza, infatti, nello stabilire che non spetta alla Presidenza del Consiglio la certificazione dell’impedimento alla partecipazione al processo, affida tale compito al giudice. Permane, pertanto, quella sovrapposizione del potere giudiziario che viola il principio della separazione dei poteri.
Come se non bastasse, esplode la bomba ad orologeria dell’ennesimo avviso di reato al Premier accompagnato dai soliti commenti politici che, a torto o a ragione, fanno apparire le toghe come una potente arma a disposizione del Centro-Sinistra.
È indubbio, infatti, che la giustizia è il fondamento dello Stato di diritto ma è altrettanto indubbio che la giustizia, solo se integralmente rinnovata, può costituire non solo una garanzia di sopravivenza del Governo ma anche, e soprattutto, può assicurare la imprescindibile connotazione di uno Stato di diritto alla nostra Italia.
 
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