L’ aula vuota… la malascuola italiana… problema noto e serio…

Roma, 02 agosto 2019 – Ernesto Galli della Loggia: “Non mi importa se mi danno del reazionario, tra dieci anni mi daranno ragione” Intervista a LIBERO 29 Luglio 2019 di Pietro Senaldi..«I quotidiani si sono prima subordinati alla tv, e ultimamente anche a facebook e twitter: si limitano troppo spesso a ripetere le notizie dei tg o a rilanciare le dichiarazioni che i politici fanno sui loro social, ma così perdono importanza agli occhi dei lettori e dei politici stessi. In vacanza, nel giorno del suo settantasettesimo compleanno, il professor Ernesto Galli della Loggia trova ci sia poco da festeggiare a livello nazionale. E dove si sta avviando l’ Italia? «Al declino, come si evince dai principali dati economici e sociali. Abbiamo ancora la mafia e la camorra, i nostri studenti sono poco preparati, ci trasciniamo mali secolari. Abbiamo perso troppi treni, specie negli anni Ottanta, quando le cose andavano ancora bene». Ma non declina tutta Europa? «Certo, dal momento che la storia è andata come è andata e siamo un continente diviso privo di alcun peso reale. Ma il declino italiano è particolare. Veneriamo la Costituzione per ragioni ideologiche anziché riformarla.” Un argomento sul quale lei torna da tempo è la crisi dell’ istruzione. Il suo ultimo libro in merito, “L’ aula vuota” (Marsilio), è un atto d’ accusa pesantissimo al mondo della scuola. Non ritiene di avere un giudizio troppo negativo?”

Sin qui l’intervista al celebre storico e Docente universitario… la citazione del libro ha mosso la mia curiosità tanto da leggerlo, visto che tratta della storia della nostra tormentata… negli ultimi decenni… scuola… Grande curiosità soprattutto per noi anziani e per chi, come me, ha frequentato il Liceo Classico vecchia maniera… quando per transitare dal V Ginnasio al I Liceo doveva sostenere l’esame con.. cinque prove scritte….
Eccoci così per i miei 25 lettori al libro in parola, letto tutto di un fiato ”
…Al momento dell’Unità (da pag.9), l’indice forse più evidente dell’inferiorità italiana rispetto a gran parte degli stati dell’Europa occidentale era il livello di analfabetismo della penisola: con un tasso che si aggirava intorno al 70% e che nell’Italia meridionale – affidata da oltre un secolo alle illuminate cure dei Borboni – toccava l’84%. Anche se pochi italiani ne sono consapevoli, l’Italia del Novecento – l’Italia moderna che partendo da condizioni di miseria vastissima, è arrivata a essere tra le prime dieci economie del mondo – si è fatta in misura assai significativa proprio grazie alla sua scuola. Per la verità bisognerebbe dire innanzitutto grazie alle sue maestre, dal momento che quell’Italia pur così maschilista ha avuto la sorte singolare di un corpo insegnante della scuola primaria che fin dall’inizio è stato contraddistinto da una quota femminile rilevante poi sempre crescente.
Lo studio nella scuola delle materie umanistiche (da pag.22), cioè delle lingue classiche, non possiede più quei caratteri che le rendono per chiunque uno strumento prezioso di crescita intellettuale e culturale. Per almeno tre ragioni. Innanzitutto perché sono inutili. Proprio perché non si prestano ad alcun utilizzo pratico esse in realtà rappresentano una palestra ideale dove ci si addestra con le parole, ai concetti astratti senza i quali ogni ragionare è impossibile..
Infine, perché il loro studio non prevede in alcun modo l’esperimento e la verifica empirica. Da tempo, infatti , non crediamo più che per noi il passato possa avere un significato se non puramente archeologico, così come abbiamo perso fiducia nell’idea che la cultura umanistica possa servirci a qualcosa.
La scuola deve principalmente preparare alla vita, non al lavoro. Il Sessantotto italiano fu il simbolo di questo paradosso (da pag.35)….Tullio De Mauro, filosofo del linguaggio, sosteneva, per esempio, che dalle Scuole elementari e medie “e forse anche dopo” dovessero abolirsi “i malefici libri di testo e sostituirli con aperte e libere biblioteche”; che fossero altresì “inutili registri, voti, interrogazione individuali e l’ordine solito dei banchi di scuola, e ora, in prospettiva, le stesse pareti divisorie delle aule”. Infine, intimava De Mauro, che “demolita l’organizzazione stereotipa delle attività scolastica, dovesse cadere anche la necessità del voto burocratico”.
Da almeno quattro decenni la scuola italiana vive così in un mutamento ininterrotto, vittima di un meccanismo che sfiancherebbe qualunque istituzione. Meno che meno importa alla politica. Da un lato perché gli uomini e le donne della politica, più che mai quelli di oggi che tengono il campo, sono ormai loro stessi in buona parte un prodotto della scuola, di quella scuola… Le svolte storiche tra Sette e Ottocento, segnate dalla Rivoluzione americana e da quella francese le quali affermando un nuovo soggetto della sovranità, il “popolo”, inaugurarono una nuova epoca anche per la politica, destinata ad allargare sempre più il campo delle proprie competenze. È stata per l’appunto la politica, dunque, che a suo tempo ha deciso che dovesse esserci un’istruzione pubblica. L’autore della svolta di cui ho appena parlato ha un nome famoso, Jean-Jacques Rousseau (da pag. 65). È il 1762 quando Rousseau, che ormai si è fatto un nome anche presso il vasto pubblico con “Il Contratto Sociale” uscito da appena un paio di mesi, dà finalmente alle stampe un libro che ha tenuto a lungo nel cassetto, Emilio o Dell’educazione.. Rousseau, infatti, è il primo che ha innanzitutto l’idea rivoluzionaria di mettere al centro del processo educativo non già gli sforzi del pedagogo volti a trasmettere i valori del suo mondo e le tecniche migliori per farlo, bensì la giovane vita che sboccia in un fanciullo, facendo piazza pulita dell’idea che l’educazione debba ispirarsi a un modello, debba mirare a instillare regole prestabilite. Mina alla radice ogni pedagogia che si basi su una precettistica data.
Anche per questo fine era necessario che i propri sudditi sapessero leggere e scrivere. Fu così che nel 1775, grazie all’imperatrice Maria Teresa, nei domini degli Asburgo d’Austria venne sancita per la prima volta l’obbligatorietà gratuita dell’istruzione elementare da 6 a 12 anni per tutti i bambini.
Poi, la riforma Gentile (da pag.92), non fu “la più fascista delle riforme”, fu un’altra cosa. Fu semmai il tentativo di riportare in un certo senso all’indietro le lancette dell’orologio, di tornare a far confluire istruzione ed educazione in un tutt’uno. Accettò pertanto l’incarico di Ministro della Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini, che ricoprì dal novembre 1922 al giugno 1924. E nel giro di un anno e mezzo, compi l’opera. Gentile aveva capito che la qualità dei docenti era un punto chiave, e proprio per questo si era preso la briga di procedere a una feroce scrematura del corpo insegnante (pensate.. allora! nda), in generale sulla base del merito, esonerando di suo pugno bene 890 tra presidi e docenti secondari su 8903 (i pieni poteri glielo consentivano). Progettata nel corso del 1923, la riforma cominciò a essere attuata già nell’estate 1924 per una parte nuova e decisiva: ossia l’esame di Stato previsto alla fine del corso degli Studi superiori. Un esame con commissioni non solo formate interamente da membri esterni (come ai nostri tempi.. con un solo rappresentante di classe – nda) scelti all’epoca in prevalenza da docenti universitari. I risultati dei quali, superando forse anche le sue stesse pessimistiche aspettative, equivalsero a una strage.
La percentuale dei promossi fu appena del 53% per la Maturità magistrale e del 54% per quella Classica, superando di poco il 70% del caso della licenza di “agrimensura”.
Dopo Gentile, venne destinato all’ incarico uno dei massimi esponenti del fascismo, Giuseppe Bottai (da pag.99), divenuto critico deciso della riforma del 1923, Ministro dell’Educazione nazionale dal 1936 e, non a caso “tra gli uomini del vertice fascista di questo periodo certo il più intelligente e coerente interprete del totalitarismo mussoliniano”. Fu la sua Carta della scuola infatti – non già la riforma di Giovanni Gentile, figlia dell’idealismo -, la vera istituzione scolastica fascista, che tuttavia, essendo stata approvata alla vigilia della guerra, a causa di questa non entrò di fatto mai in vigore.
Come risultato, l’Italia è entrata nel boom economico con un livello di scolarizzazione spaventosamente arretrato. Basti dire che, nel 1958, su 100 bambini iscritti 5 anni prima della scuola elementare, esattamente un terzo, 33%, si era perso per strada senza terminare il ciclo scolastico primario. Sempre quell’anno, esattamente due terzi dei licenziati dalla scuola elementare, il 65%, non proseguiva gli studi. La conseguenza inevitabile era che nella Penisola la presenza dell’analfabetismo si manteneva ancora a livelli molto significativi. La svolta cominciò a delinearsi nel 1962 (da pag.116), con l’istituzione della Scuola Media unica (fino ad allora infatti, ce ne erano virtualmente due e cioè quella con il latino (da noi frequentata con il “De Bello Gallico”… Gallia est omnis divisa in partes tres…. – nda), che permetteva il prosieguo della carriera scolastica, e quella cosiddetta dell’Avviamento professionale.. Il Sessantotto piombò su questa situazione segnando il ritorno prepotente della politica nell’ambito della scuola e mutandone profondamente, durevolmente il contesto. La scuola che abbiamo oggi nasce in gran parte da lì, poiché fu per l’appunto in quella temperie che si consolidò il nuovo contesto ideologico-politico che ancora oggi la caratterizza.
Si consideri poi che proprio tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei settanta ad accrescere tale potere, da un lato sopraggiunse l’istituzione delle Regioni (quindi di nuovo un notevole centro di influenza, di spesa e di impiego anche nel campo dell’istruzione, che in tre o quattro Regioni assai importanti fu conquistato dalla sinistra stessa), e dall’altro fu approvato (giustamente! nda) lo Statuto dei lavoratori, il quale determinò un notevole aumento del potere dei Sindacati, assegnando loro un influenza incisiva anche in ambiti lontani da quelli legati alla fabbrica. La storia è stata certamente una delle maggiori vittime dei mutamenti intervenuti durante la cosiddetta seconda Repubblica (da pag.151). Basti dire che dal 2007 al 2017, a fronte di una diminuzione complessiva del 13% del corpo docente dell’università, e di un calo del 20% nel settore delle materie umanistiche e discipline storiche, hanno visto diminuire i propri docenti addirittura del 32,6% (è il settore in maggior calo dopo la Francesistica e le Scienze dell’antichità). È specialmente nella Scuola, tuttavia, che la storia ha perso l’antico ruolo e, a partire dal 2010, in quasi tutti i Licei è stato ridotto il suo monte ore, accorpando la storia e la geografia nella nuova materia “geostoria”.
Avviata organicamente degli anni settanta del Novecento (da pag.171), sul finire del secolo la modernizzazione scolastica italiana subisce una brusca accelerazione in due tappe sotto la regia del Ministro Luigi Berlinguer. La prima consiste in uno smisurato ampliamento dell’autonomia concessa ai singoli istituti. Con appena un po’ di enfasi, si può dire che d’ora in poi essi possono fare non proprio quello che vogliono, ma quasi. Infatti, a parte un’assai ampia autonomia in campo amministrativo, ora essi hanno facoltà di regolare i tempi dell’insegnamento dello svolgimento delle singole discipline, di adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune, di definire unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria delle lezioni, di programmare percorsi formativi, di diversificare le modalità di impiego dei docenti delle varie classi in funzione delle diverse scelte metodologiche..
Un tempo, come è noto, il criterio di valutazione si chiamava “profitto” (e il “voto di profitto”, espresso in numeri da 0 a 10, ne era la misura). Adesso invece il “profitto” viene sostituito dalle “competenze” (rigorosamente al plurale), premessa di una conseguente “didattica per competenze”. Si tratta di una vera e propria rottura, di un profondo cambiamento di indirizzo che comporta implicazioni radicali. Decisamente voluto dall’Unione europea, esso ci ricorda per l’appunto il ruolo che questa e tutti gli organismi di Bruxelles hanno avuto in ambito scolastico nel rendere più o meno obbligatoria l’adozione di tutta una serie di novità, di cambiamenti spesso cervellotici. L’Unione Europea, l’origine della parte forse preponderante delle numerose svolte culturali che hanno punteggiato in modo pervasiva la storia recente del nostro sistema di istruzione.

Sin qui l’interessante libro di Galli della Loggia.. L’autore, all’inizio dell’intervista, ha fatto riferimento a critiche e altro… Riportiamo per motivi di spazio solo un riferimento.. su minima&moralia di Christian Raimo…”Questa è stroncatura senza appello dell’ultimo libro di Ernesto Galli Della Loggia, pubblicato – con qualche responsabilità – da Marsilio. “..un testo verbosissimo, farraginoso, caricaturale, nocivo, pessimo senza possibilità di appello.. una dichiarazione vile di ignoranza, una rivendicazione di mancanza di studio, di serietà e rispetto per il lettore…”
Tutto ciò premesso, con il rispetto democratico per quanti dissentono, noi vecchi liceali e universitari…stiamo ovviamente con Ernesto Galli della Loggia…almeno spero…

DEL DIRETTORE:
Per doverosa completezza di informazione, da “Libero”, Christian Raimo è colui che si batteva per l’innocenza e la liberazione del pluriomicida Cesare Battisti e che, in relazione all’assassino con 12 coltellate del carabiniere Mario Cerciello Rega, ha scritto che “è stata “una cazzata” quella commessa da Finnegan Elder Lee, “un ragazzino di diciott’anni, viziato, testa di ca**o”… Chi sa se la vicenda lo vedesse interessato, sarebbe ancora “una cazzata”… chi sa…

 

Exit mobile version