Tematiche etico-sociali

Taranto tra pistole e ciminiere…Pagine di storia della Mafia Pugliese

Il libro di Nicolangelo Ghizzardi e Arturo Guastella

Roma, 27 novembre 2020 – C’è stato davvero un momento in cui Taranto rischiava di essere assimilata alle città a più alta densità malavitosa di Sicilia, Campania o Calabria.
È stato sul finire degli anni ’80 del secolo scorso, allorchè il capoluogo ionico venne squassato da un’ondata di violenza senza precedenti, tanto da contare, nel 1992, ben 164 morti ammazzati, dei quali almeno cinque vittime innocenti.

All’ inerzia della classe politica del tempo, fece da pendant l’insufficienza, almeno nei primi anni, delle indagini delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, il tutto nella crisi di gigante dell’acciaio come il IV Centro Siderurgico, che doveva, per forza di cose, causare gravi danno all’economia, al territorio e all’ambiente in una città di mare come Taranto.

Di questo si parla a lungo e compiutamente nel libro del Magistrato Nicolangelo Ghizzardi e del giornalista Arturo Guastella: “Taranto, tra pistole e ciminiere”,  I libri di ICARO editore, ott.2018.

La brava giornalista Annalisa Latartara, il 14 ottobre 2019, scrisse su “Buonasera Sud”: “Nicolangelo Ghizzardi, il P.M. che processò la mala,mise alla sbarra i clan della mafia tarantina. Calamandrei so¬steneva “solo là dove gli avvo¬cati sono rispettati, sono ono¬rati i giudici; e dove si scredita l’avvocatura, colpita per prima è la dignità dei magistrati”. Una convinzione che ha rappresenta¬to una regola di vita per Nicolan¬gelo Ghizzardi, uomo e Magistra¬to. Il Procuratore generale della Corte d’appello di Taranto (o Avvocato Generale) va in pensione a pochi giorni dai 70 anni, che compirà il 22 ottobre, concludendo la sua carriera ini¬ziata come Pretore a Manduria e proseguita soprattutto nelle Pro¬cure, a Taranto, come Sostituto e poi a Brindisi come Procuratore aggiunto.La conclusione di un’esperienza professionale è sempre il mo¬mento dei bilanci. Il nome di Ghizzardi è legato soprattutto al principale maxi processo an¬timafia celebrato a Taranto, “El¬lesponto”, ma ha rappresentato la pubblica accusa anche in altri procedimenti che hanno consen-tito di ricostruire la geografia e i legami con altre associazioni mafiose dei clan tarantini che negli anni ’80 e ’90 si sono in¬filtrati nell’economia ionica e hanno dato vita ad una sangui¬nosa guerra di mala”.

Iniziamo la lettura di parti dell’ interessante libro.
– da pag.63. “”L’ascesa dei Modeo. Negli ultimi cinque lustri della storia tarantina, anno cruciale è certamente il 1985. È questo un anno denso di eventi che destabilizzano profondamente il tessuto politico e sociale della città. E non solo. Innanzitutto, la generale crisi economica, già dai primi anni dell’ Ottanta, costringe l’Italsider a una ristrutturazione delle sue attività che, sostanzialmente, impone di decretare massicci licenziamenti che, progressivamente, causano un inevitabile e drastico impoverimento della città. Si rompono, pertanto, vecchi equilibri politici e, nell’attesa che quelli nuovi da poco costituiti acquisiscano una loro solidità e stabilità, la città viene ferita dall’esplosione del cosiddetto caso Taranto. A essere coinvolta è la Procura della Repubblica che, a seguito di approfondite indagini condotte dal CSM, viene privata del suo Capo e di due Sostituti Procuratori della Repubblica ben noti negli ambienti cittadini e fino ad allora apprezzati per l’alta professionalità sempre manifestata. Tutti vengono messi sotto inchiesta e sospesi dall’incarico e dallo stipendio. Il terremoto istituzionale non si ferma, però, alla Magistratura ma coinvolge anche la Questura. Per tutti si ipotizzano reati gravissimi commessi, stando alle accuse, per favorire una sorta di potentato economico-politico che ha come referenti esponenti della D.C. Qualcuno giunge, addirittura, a parlare di una vera e propria organizzazione composta da politici, imprenditori, Magistrati ed esponenti delle Forze dell’Ordine che, approfittando soprattutto della crisi economica, si prefiggevano di mettere le mani sulla città riuscendo anche a influenzare la composizione di una giunta comunale, con chiaro riferimento ai nuovi assetti politici voluti a Palazzo di Città. Ed è proprio quel 1985 l’anno dell’ascesa prepotente della famiglia Modeo.””

– da pag.91. “”La mafiosizzazione. Il salto di qualità della famiglia Modeo è quasi occasionale. Scrivono i Giudici della Corte di Assise di Taranto ”Tutti i collaboratori hanno sostanzialmente confermato che inizialmente esisteva un solo clan facente capo ai fratelli Riccardo e Gianfranco Modeo. Costoro, pur detenuti a partire dal 1985 a seguito dell’omicidio Marotta, continuarono a tenere le fila dell’organizzazione. La riorganizzazione che seguì alla scarcerazione dei fratelli Modeo e, successivamente, alla loro latitanza (durata dal giugno del 1989 all’ aprile del 1990), si accompagnò all’esplosione della guerra con il clan facente capo a Salvatore De Vitis e a Orlando D’Oronzo.
Il contesto sociale ed istituzionale. Non è certamente credibile che una faida familiare e una scissione all’interno di un clan egemone possano, da sole, giustificare una escalation incontrollabile e senza limiti della malavita. Una società sana, di regola, ha in sé gli anticorpi necessari per fronteggiare simili situazioni. Se ciò a Taranto non è avvenuto è perché numerosi altri fattori hanno contribuito a favorire l’espansione della criminalità il cui processo di evoluzione verso forme di tipo mafioso, con caratteristiche endemiche, non è stato, quanto meno nella fase iniziale, neanche contrastato. L’analisi delle condizioni socio-economiche e culturali porta, in primo luogo, a rilevare che l’espansione delinquenziale, contraddistinta di due gruppi criminali in guerra tra di loro e la parallela esplosione della microcriminalità, sono del tutto improvvise e impreviste cogliendo le forze di polizia impreparate a fronteggiare dalla presenza le nuove emergenze a causa di un organico insufficiente, perché modulato su esigenze di tutela della collettività molto più contenute e parametrate a una delinquenza di stampo tradizionale. Le carenze quantitative della presenza delle forze dell’ordine sul territorio sono, peraltro, alla base della mancanza di conoscenza precisa e dettagliata dell’evoluzione del fenomeno criminale sul territorio e ciò spiega perché, dinnanzi ai primi omicidi di mafia, le piste investigative seguite si rivelano quasi sempre errate e con sterili risultati. Parimenti insufficienti sono gli organici della Magistratura rispetto alla aumentata mole di lavoro.
Entra in gioco la massoneria. Scrive la Corte di Appello di Lecce, commentando una conversazione intercettata nella macelleria di Marino Pulito, fidato luogotenente dei fratelli Modeo entrato a fare parte della famiglia all’indomani dell’assassinio di Costantino Turco. “Il 14 maggio 1991 Pulito e Serraino parlavano dei progetti politici in termini di estrema concretezza, valutando la situazione politica locale, in relazione al numero di voti occorrente per essere eletto in una lista come quella della Lega Meridionale e alla concorrenza di altre formazioni politiche operanti nello stesso settore dello schieramento politico”. Ma ecco, cosa in proposito scrive ancora la Corte di Appello di Lecce: “Tramite il Serraino, un adepto con interessi politici e con legami mafiosi, e con i servizi segreti, il Pulito si mise in contatto con Licio Gelli. Facendo valere la potenza elettorale dell’associazione, ottenne la promessa del Gelli di interventi politici sui giudici competenti a decidere sull’istanza di revisione.” Chiaramente l’incontro con il Gelli non fu fine a se stesso. Il carteggio processuale fu trasmesso attraverso lui ad avvocati impegnati nella difesa di personaggi di particolare notorietà. Sì cercò di conoscere i nomi dei componenti del Collegio che avrebbe dovuto giudicare sull’istanza di revisione. Per il successo dell’operazione, lavoreranno, poi, i legali opportunamente contattati da Serraino e aiutati per il buon esito del piano dalle, purtroppo, reali conoscenze di Licio Gelli, ex Capo della famigerata Loggia Propaganda Due, più nota come la P2, attraverso i canali a disposizione della massoneria deviata. E in effetti, a riprova della serietà degli intenti perseguiti, un incontro tra Marino Pulito e Licio Gelli ha luogo a Roma presso l’Hotel Excelsior di Via Veneto. Nell’occasione, a detta di Pulito, Gelli fece una telefonata al Senatore Andreotti che avrebbe assicurato il suo interessamento per l’aggiustamento del processo di revisione.””
Il pulpito televisivo. Scrive la Commissione Parlamemtare Antimafia: “Nelle ultime elezioni, una lista civica capeggiata da Giancarlo Cito ha conseguito il 13.47% dei suffragi. Il Cito, che ha numerosi precedenti penali per diffamazione, è proprietario di una televisione locale, attraverso la quale è solito criticare violentemente gli amministratori comunali e le stesse istituzioni dello Stato. Comprensibili perplessità suscitano alcune sue frequentazioni (nel Natale 1989 è stato trovato in casa dei fratelli Modeo).” In realtà, molto più che di frequentazioni si trattava. Il fenomeno Cito incomincia ad affermarsi sulla scena della vita politica e sociale di Taranto nel 1988/1989. È da questo generale stato di insipienza e inettitudine politica che prende piede e si afferma il fenomeno Cito mentre il suo prevedibile successo elettorale è riconducibile non solo al favore dei ceti meno abbienti ma anche a quello della borghesia medio-alta che sembra masochisticamente riconoscersi in queste anomalie. Iniziative ben calcolate e che pagano in termini di consenso politico, tanto che Cito viene eletto prima alla carica di Sindaco nel dicembre del 1993 e, poi, a quella di Deputato, nelle elezioni politiche dell’aprile del 1996, fallendo per un soffio, nel 1999, l’ambizioso obiettivo dell’approdo al Parlamento Europeo. Nonostante il consenso, il governo di Cîto appare da subito burrascoso a causa del suo carattere prevaricatorio e dei sempre più frequenti conflitti istituzionali, soprattutto, con il Prefetto dell’epoca, Noce.

– da pag.157. Il crimine si fa impresa. Il merito storico di Marino Pulito è stato, tuttavia, quello di avere inaugurato la stagione dei pentimenti essendo stato, tra l’altro, il primo, con le sue dichiarazioni, a inquadrare e a fare luce sui collegamenti del clan Modeo con la malavita calabrese e a svelare i gangli più segreti dell’organizzazione proprio grazie al quel ruolo di massimo fiduciario acquisito negli anni. Marino Pulito è un personaggio con capacità di capo e dotato di grossa intelligenza ed attitudine nel campo degli affari che ha trasferito tutte le sue doti nel crimine operando anche in quello più socialmente indegno che è il traffico di grossi quantitativi di stupefacente. Si pone come fornitore delle sostanze stupefacenti anche Salvatore Annacondia. Questi opera a Trani a capo del più potente gruppo criminale mai affermatosi in provincia di Bari. Non è molto numeroso ma è feroce e stabilmente inserito ad alti livelli nel settore del traffico della droga e delle armi, degli omicidi, dell’usura e delle estorsioni, ricevendo il riconoscimento da parte di importanti esponenti della ‘Ndrangheta quali Domenico Tegano e Franco Coco Trovato. Con Pulito e Annacondia, l’associazione denominata Famiglia Modeo si trasforma in una vera e propria impresa del crimine.””

– da pag.209. “”La reazione dello Stato e la rivolta della società civile.
Eppure, lo Stato non avrebbe avuto bisogno di armi speciali per tenere sotto controllo
l’espansione della criminalità organizzata evitandone un rapido consolidamento. Sarebbe
stato sufficiente un maggiore dinamismo – a dire il vero ancora oggi assente – non solo nelle procedure di copertura dei posti vacanti nell’organico della Magistratura ma anche
nell’ampliamento degli organici stessi. Analogamente, per le forze di Polizia, una maggiore
sensibilità nella lettura e nella comprensione del nuovo fenomeno criminale avrebbe
consentito un più repentino adeguamento degli organici per avviare indagini più penetranti e incisive. Tuttavia, lo Stato, anche se in ritardo, ha saputo dare una risposta di legalità e,
accettando la sfida lanciata dalle forze dell’antistato, l’ha vinta riaffermando la propria
autorità. Le prime grandi inchieste contro la criminalità organizzata. La forte e incisiva presa di coscienza da parte dei commercianti dell’Ascom ionica, cui ha corrisposto un’immediata ed estesa indagine delle forze di Polizia sotto le direttive della Magistratura inquirente, sono riuscite a scuotere l’ambiente, a frantumare complicità omertose, dando il via a numerose operazioni che riescono a penetrare nei santuari più riposti della nuova criminalità. Il 18 novembre 1990 viene arrestato Cataldo Catapano, luogotenente dei fratelli Modeo, con altri 11 accoliti. Il 29 giugno 1991 viene arrestato con altri 27 sodali, Marino Pulito, entrato a fare parte del clan Modeo. Quei tre processi hanno rappresentato una prima vittoria dello Stato in quanto molti personaggi di elevato spessore criminale sono caduti sotto la mannaia della legge, eliminati dalla detenzione carceraria. A causa della guerra tra i due clan contrapposti, inoltre, molti altri uomini erano stati eliminati perché caduti sul campo; conseguentemente, le fila delle varie organizzazioni si erano assottigliate e, così, una prima breccia si era aperta nell’ambito di quella associazione, la cui struttura ha cominciato a sfaldarsi. A questi significativi risultati hanno contribuito numerosi fattori. Innanzitutto l’aumento dell’organico delle forze di Polizia operanti sul territorio, con decisione reclamata dal Procuratore della Repubblica Giovanni Massagli e con pronta sensibilità attuata dal Capo della Polizia Prefetto Vincenzo Parisi. Fondamentale, poi, è stata la stretta collaborazione tra Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza efficacemente coordinati dai vari Magistrati inquirenti in modo da creare una vera e propria task force compatta senza alcuna sbavatura o volontà di protagonismo, ma animata dall’unico intento di un pronto ripristino della legalità con troppa tracotanza e per troppo tempo calpestata.””

Sin qui il libro.

Ora, come di consueto, integrazioni, valutazioni e ricordi. Il bel libro, oltre a quanto magistralmente descritto, costituisce un’ importante indagine socio-economica molto ben documentata della città bimare manifestando nobilmente la speranza di un suo riscatto. Questa frase, però, è da brividi: “La speranza – concludono, infatti, i due autori – è che i giovani sappiano dare a questa città il futuro che, finora, i loro padri hanno negato, gettando il seme di una sana ricostruzione le cui fondamenta poggino non sul cemento depotenziato ma sui ben più solidi valori della legalità e dell’onestà”. Sul delicato tema, a commento del libro in trattazione, anche il grande giornalista Marcello Cometti, sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 21 gennaio scorso,ha scritto: “ Oggi, finalmente, si impone un giudizio finale, ma soprattutto si impongono alcune domande che in maniera pressante Ghizzardi e Guastella si pongono: Taranto ha finalmente acquisito gli anticorpi giusti per reagire a nuovi, sempre possibili, colpi di coda della criminalità? Oppure il suo essere imbelle e indolente fatalmente potrà preparare la strada a poco tranquillizzanti futuri scenari? “Risorgere dalle macerie” sembra essere il leit-motiv della storia di Taranto, e anche stavolta è questo l’imperativo che risuona”. Quindi, aggiungo, il futuro sarà ertamente problema dei giovani, si, i giovani, ovunque faro di speranza, luce e progresso, ovviamente non solo a Taranto; e affermando questo ammettiamo che le generazioni degli anziani non hanno brillato. No!!!!!!!!

Ora, ricordi personali. Dopo aver avuto l’onore dai grandi Superiori dell’epoca, si grandi, di ottenere dopo 10 anni di Compagnie territoriali (tra queste Napoli Stella, con giurisdizione dal quartiere Sanità a Secondigliano e 167, con l’uccisione dell’eroico Brigadiere Domenico Celiento per indagini importanti su big camorristici) ebbi la responsabilità dei Provinciali di Viterbo e Catanzaro (del quale sono stato l’ ultimo Comandante con il territorio della provincia madre non ancora tripartito con Vibo Valentia e Crotone), seguiti dall’affidamento del Comando di Taranto, dove rimasi per ben quattro anni (1997/ 2001). Letto il libro, torna alla mente quanto fatto durante quel periodo in attività d’indagine, sempre d’intesa con la Procura della Repubblica (con grandi Magistrati, tra i quali Nicolangelo Ghizzardi, autore del libro). Nel campo della prevenzione, ovviamente, tutto era svolto con gran coordinamento con le altre Forze dell’Ordine, con il sostegno del grande Prefetto Mario Licciardello. A partire dal mese di febbraio 1998 si avviò un’ indagine (ricordo l’ottimo Comandante del Reparto Operativo, il Colonnello Agostino Galati, purtroppo recentemente deceduto, e il bravissimo Maggiore Giovanni Spirito)che avrebbe portato all’identificazione di un’ articolata organizzazione criminale, facente parte della Sacra Corona Unita, dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di armi (l’ Operazione Apulia). Tale indagine, supportata da numerose intercettazioni telefoniche, ambientali, nonché appostamenti e pedinamenti, si concluse con l’identificazione della maggior parte dei correi ed il deferimento degli stessi per traffico di sostanze stupefacenti tra l’Italia e l’Albania. La droga giungeva dalla Turchia in Albania e veniva controllata da personaggi appartenenti alla criminalità locale albanese.
L’ “Operazione Tarentum“, invece, portò all’emissione (27.3.99) di 20 provvedimenti restrittivi per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti, di t.l.e., al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed altro, a carico di gruppi malavitosi operanti nel tarantino e brindisino. In periodo successivo, si procedette anche al sequestro dei beni, applicando la Legislatura Antimafia, nei confronti del boss Cinieri e altri, giungendo alla confisca dei beni.

Si, un bellissimo periodo, in un clima di formidabile professionalità con Carabinieri dal gran carattere e di alta operatività!

Ho finito.

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