ALLARME CORRUZIONE DELLA CORTE DEI CONTI

Restera’ lettera morta? Urgenza assoluta di intervento su materia connessa al pianeta mafie.
 

 

 
 

 

 

All’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte dei Conti, il Presidente Luigi Giampaolino ha attribuito alla corruzione un danno al bilancio dello Stato intorno ai 60 miliardi; una cifra enorme, purtroppo reale! La relazione dell’alto Magistrato è stata analitica e approfondita, non già la “sparata” del modesto politicante di turno o di un giornalista davanti alla tv.

Alla cerimonia, presenti sia le Alte Cariche e Autorità dello Stato, sia politici autorevoli, i quali, alla fine della relazione, hanno assentito manifestando cenni di consenso e approvazione, quasi sorpresi per l’immane ruberia ai danni dei cittadini onesti che pagano le tasse.

Diciamo subito: 60 miliardi costituiscono una “valanga” di quattrini, più di una finanziaria, bastevole per quasi raddoppiare la pensione appena sufficiente per la sopravvivenza (6000 euro annui) per 10 milioni di pensionati minimali.

Su tali problemi abbiamo già discusso su questa autorevole testata, raccontando con dati alla mano che il riciclaggio di capitali illeciti, come segnalato dalla Banca d’Italia, rappresenta da solo il 10% del Pil (in Italia, ogni giorno, il riciclaggio di danaro sporco produce 410 milioni di euro, quindi è la prima azienda produttiva nazionale!); 160 miliardi l’anno riguardano l’evasione fiscale; 500 miliardi si trovano nei paradisi fiscali (su questi ultimi, senza peccare di ingenuità, continuiamo a non comprendere perché non vengano subito esemplarmente tassati). Certo, tutto questo influisce moltissimo sulla mancata ripresa economica del Paese, che ha un debito pubblico che è il 120% del Pil (terzo debito pubblico dopo USA e Giappone), cioè si spende più di quello che si incassa. Sappiamo anche che le ecomafie hanno un fatturato di 19,3 miliardi annui.

Basta? Dobbiamo andare avanti? No, non andiamo avanti, ma ricordiamo solo, a vent’anni da tangentopoli, per nostra memoria, che il fenomeno corruttivo allora fu quantificato in 630 mila miliardi di lire, sulla base dei processi svolti, da più parti ritenuto un decimo della tragica realtà. Siamo davvero una Nazione da primati, purtroppo negativi!  

Recuperare i soldi dell’illecito istituzionalizzato significherebbe ripianare il debito pubblico e quindi migliorare di molto, come prima sostenuto, la vita di pensionati, dei giovani e dei meno abbienti. In epoca di gravissima crisi economica, occorre anche rafforzare sia il quadro legislativo sulla corruzione, e su questo il Governo Monti, finalmente, si sta muovendo speditamente, con la speranza che il Parlamento, che nulla ha fatto sinora, anzi…, a parte chiacchiere, lo assecondi, sia quello sulla lotta senza quartiere alle mafie, operando una netta inversione di tendenza rispetto a quanto sin qui perseguito.

Certo, non si può rimanere soddisfatti sull’insignificante Codice Antimafia varato l’estate scorsa con tanto “clangore”! Questo perché, come ben sappiamo, le mafie, proprio in epoca di crisi economica, hanno terreno fertile per espandersi grazie all’ enorme disponibilità di denaro contante e sonante. Certa politica con la “p”minuscola ciancia per rassicurare, per motivi elettorali, o per altri reconditi motivi, che la mafia siciliana sarebbe alle corde perché taluni imprenditori coraggiosamente hanno denunciato il “pizzo”.

Nulla di più falso! Oggi, in verità, la scena mediatica è tenuta dalla ‘Ndrangheta calabrese, effettivamente leader del traffico mondiale della droga, con radicati insediamenti nel nord Italia e, in particolar modo, in Lombardia. Magistratura e Polizie specializzate, come anche  bravi analisti di tali fenomeni, sanno che dopo venti anni dalla tragica stagione delle stragi Cosa Nostra, per scelta strategica, ha rinunciato alle bombe e ad obiettivi istituzionali ed è tornata alla politica di morte come estrema soluzione, quasi sempre da attuare nel loro ambito criminale. Quindi, sul piano generale, minore attenzione alla lotta alla mafia siciliana, con declassamento della specifica emergenza.

Quel che dovrebbe, oggi,  maggiormente preoccupare, è la grande capacità della mafia di manovrare il consenso nelle competizioni elettorali, spesso divenendo grande elettore. Le stragi del 23 giugno e 19 luglio 1992 (uccisione in rapida successione dei benemeriti Magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) sono state ideate ed effettuate dalla mafia siciliana, come è attribuibile a Cosa Nostra  la terribile serie di episodi  a suon di bombe nel 1993, a Roma

(autobomba in via Ruggero Fauro contro Maurizio Costanzo, con feriti), a Firenze (in via dei Georgofili, con cinque morti e ventinove feriti), a Milano (in via Palestro, con cinque morti e dieci feriti), ancora a Roma, davanti alle basiliche, con diciassette feriti e , qualche tempo dopo, il mancato attentato con automobile imbottita di tritolo allo stadio Olimpico, fortunatamente non esplosa.

Proprio nella notte  dei fatti di Roma e Milano, il centralino della Presidenza del Consiglio rimase stranamente isolato, suscitando forti preoccupazioni nel Presidente del Consiglio dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi, che convocò una riunione d’emergenza con Ministri e Responsabili di Servizi e Polizie, quasi temendo per la tenuta democratica della Repubblica.  

I dubbi, oggi alimentano processi e polemiche sul perché Cosa Nostra abbia rinunciato a proseguire l’attacco allo Stato.

Detto ciò, vorremmo solo comprendere come fanno ad essere alle corde i rappresentanti attuali di quella mafia i cui progenitori   furono  incrociati da Garibaldi oltre 150 anni fa quando arrivò in Sicilia e che, successivamente, fu studiata quale fenomeno dal grande statista Sidney Sonnino nel 1875-’76, in apposita Commissione d’inchiesta?

Sempre la stessa mafia che fece tuonare il grande meridionalista Gaetano Salvemini, ai primi del secolo scorso, che definì Il Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, “il Ministro della malavita….”, proprio alludendo alla mafia.

Come fa ad essere oggi “alla frutta”  quella ben radicata struttura criminale  che aiutò gli Americani nello sbarco in Sicilia nel 1943, quale unica compagine della struttura di potere reale ancora vitale, giungendo a nominare sindaci mafiosi, tra i quali il notissimo boss Calogero Vizzini?

E’ sempre quella la mafia che fu contattata dal Principe nero Junio Valerio Borghese per sostegno al famoso golpe della Notte della Madonna dell’8 dicembre 1970, il cui quadro generale non è stato ancora chiarito.  Detto questo, dobbiamo dire qualcosa su come si combattono le mafie. Intanto, politiche serie giammai tiepide con gli interessi criminali.

Oggi, l’Italia, tra l’altro, si trova in una condizione di isolamento per non aver ratificato e quindi adattato il proprio ordinamento agli strumenti europei, in primis, la Convenzione sulla corruzione del 27 gennaio 1999, da parte dei Governi succedutisi da allora, cioè tre di centrosinistra e due di centrodestra. Convenzione importante, questa, oltre che per la repressione della corruzione cosiddetta privata, anche e soprattutto per l’infiltrazione mafiosa nelle imprese, con possibilità di rogatorie internazionali, come lo è l’altra sull’assistenza giudiziaria tra gli Stati dell’UE, del 29 maggio 2000, che costituisce uno strumento che consentirebbe di snellire le procedure di attacco ai patrimoni sospetti e di disporre di strutture di investigazione integrate. Infine¸ andrebbe subito ratificata la Convenzione del Consiglio d’Europa, sottoscritta a Varsavia il 16 maggio 2005, sul riciclaggio, controllo, sequestro e confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo internazionale.

Su queste strategie la Commissione Europea proprio in questi giorni è intervenuta fortemente proprio per i ritardi degli Stati, in primis il nostro,   presentando una direttiva per la confisca dei beni nei 27 Paesi dell’UE.  Poi, ancora, sul come si combattono le Mafie, imprimere accentuata e fortissima cultura della legalità, a tutto campo, da distribuire ai cittadini come il pane quotidiano, con pretesa di esempi  virtuosi da parte dei politici; quindi, dare corso alla più incisiva politica dei  controlli. Un esempio per tutti:la vicenda Parmalat che durò dieci anni, e finì quando finalmente la Guardia di Finanza presentò un provvidenziale rapporto all’AG di Parma.

Prima di allora? Nulla!

Infine, non bisogna trascurare il problema Giustizia! La classifica internazionale sui tempi processuali del rapporto “Doing Businnes”, che la Banca Mondiale dirama per elementi di valutazione alle imprese sui Paesi con cui conviene investire, colloca l’Italia al 156° posto su 181, preceduta dall’Angola, il Gabon, la Guinea…scusate se è poco; c’è di che rallegrarsi! Ciò, ovviamente, crea danni enormi all’economia nazionale perché non stimola gli imprenditori stranieri ad investire da noi. In Italia, infatti, è stimabile in 1210 giorni il tempo per concludere una controversia commerciale, mentre in Germania 394 ed in Francia solo 331 giorni. Non parliamo poi del processo penale, ben otto anni per i tre gradi di giudizio, secondo l’Ufficio Studi della Suprema Corte di Cassazione, cui si associa la  Legge Cirielli del 2005, che andrebbe immediatamente cassata per non assistere allo scandalo delle prescrizioni che vengono maliziosamente e tartufescamente interpretate come assoluzioni,  tornando al calcolo antico, cioè ripristinare il massimo della pena più la metà, anzichè un quarto della pena stessa. In questo contesto, dobbiamo dire a voce alta che negli ultimi venti anni il Parlamento ha creato 83 Leggi di modifica al Codice di Procedura Penale delle quali neanche una è servita ad abbreviare anche di un solo giorno il tempo dei processi, anzi li ha allungati!

Da qui, concludendo, l’esigenza di una politica seria, che porti davvero ad una nuova Italia, con visi nuovi e puliti di amministratori ai vari livelli, con l’auspicio che gli Italiani  riconquistino la propria coscienza politica, tenendo ben presente  il motto del grande Winston Churchill, secondo il quale: “Più profonda è la notte, più vicina è l’alba!”

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