A quarant’anni dalla tragica morte dei fratelli Mattei con riflessione su quegli anni

Nella notte del 16 aprile 1973, la scena per chi giunse nei pressi dei cosiddetti “grattacieli” di Primavalle, un popoloso quartiere della Capitale, al terzo piano delle case popolari di via Bernardo da Bibbiena, fu spaventosa.

Una scena rivista per molti anni grazie alle televisioni e ai giornali. Infatti, nell’incorniciatura di una finestra si vedeva una persona pietrificata dal fuoco. Si era propagato un incendio che aveva distrutto l’intero appartamento abitato dalla Famiglia di Mario Mattei, Segretario della Sezione “Giarabub” del Movimento Sociale Italiano di via Svampa. Riuscirono a salvarsi la Madre, Annamaria, e i due figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Giampaolo di soli 3, fuggendo dalla porta dell’appartamento, mentre le altre due figlie, Lucia di 15 anni e Silvia di 19 si calarono da un balcone con il Padre con conseguenze fortunatamente non gravi. Gli altri due maschi, invece,Virgilio di 22 anni, Volontario Nazionale del MSI, e il fratellino Stefano, di 10 anni, morirono carbonizzati. Il dramma avvenne davanti ad una folla che si era via via concentrata sulla strada. Di lì a poco giunsero  il vice Questore Secchi, Dirigente del Commissariato PS Primavalle, con il vice  Isidoro Adornato; il Capitano Nazzareno Volpe, Comandante della Compagnia Trastevere, competente per territorio, con il Maresciallo Francesco Petrachi; poi, il  Comandante del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri, Tenente Colonnello Ruggero Placidi con il Sostituto Procuratore della Repubblica Domenico Sica, unitamente ai dirigenti della Polizia Politica, Bonaventura Provenza, Umberto Improta, Domenico Spinella ed altri. I processi che seguirono alle indagini ebbero vicende discordi. Achille Lollo, di 22 anni, fu arrestato quasi subito; Marino Clavo e Manlio Grillo, 20 e 32 anni, fecero sparire le loro tracce. In primo grado, nel 1975, la Corte d’Assise assolse gli imputati per insufficienza di prove; sei anni dopo, in Appello, venne annullata quella sentenza, condannando tutti a 18 anni per omicidio preterintenzionale (cioè senza volontà specifica di uccidere), ma in contumacia (perché latitanti). Dal 25 gennaio 2005, loro, i condannati,  sono uomini liberi in quanto la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha dichiarato estinte, per prescrizione, le condanne. A reato prescritto, Lollo ha confessato le sue responsabilità in un’intervista al Corriere della Sera, replicandole nella trasmissione Porta a Porta, coinvolgendo altri tre compagni di Potere Operaio, Paolo Gaeta, Elisabetta Lecco e Diana Perrone, già lambiti dall’inchiesta però archiviata per difetto di elementi. Comunque, per questi ultimi, le indagini risultano riaperte dopo l’acquisizione di nuovi indizi. Quali veleni, quanto dolore, che violenza in un’epoca tanto lontana eppure tanto vicina alla  coscienza e alla memoria di chi ha vissuto quegli anni denominati di piombo. All’epoca, non mancò il suono velenoso e falso della grancassa mediatica del sinistrume italico volto a depistare e a influenzare le coscienze dei disattenti che nel nostro bel Paese pullulano, purtroppo. Si volle, come prassi di chi pratica la menzogna come metodo, accreditare la tesi di evento tragico causato da beghe interne tra fascisti, ovvero, addirittura, anche quella di una messinscena poi… sfuggita di mano, mirante ad avvalorare una improbabile pista rossa. Così, Lotta Continua: “La provocazione fascista oltre ogni limite arriva al punto di uccidere i suoi stessi figli”, mentre Il Manifesto: “È un delitto nazista”. Per Diana Perrone, figlia del proprietario del quotidiano romano Il Messaggero, fu messa in campo una campagna innocentista che culminò con il titolo in prima pagina: “Assolti! La vergognosa montatura fascista è crollata…”. Ovviamente, anche gli intellettuali corifei di sinistra si mobilitarono. Franca Rame scrisse a Lollo: “Ho provato dolore e umiliazione nel vedere gente che mente senza rispetto nemmeno dei propri morti…”. Le povere vittime, quindi, erano diventate carnefici di se stesse! Quando Clavo e Grillo furono fermati in Svezia, Alberto Moravia lanciò un appello perché fossero accolti come esuli politici e non venissero estradati. Riccardo Lombardi scrisse: “Caro compagno Lollo, voglio incoraggiarti a resistere alla persecuzione…”. Stessa tragicofarsa ci fu anni prima quale premessa dell’assassinio del Commissario Luigi Calabresi (17 maggio 1972) che ispirò una  lettera che fu pubblicata su ”L’ Espresso”, a partire dal 13 giugno 1971 per tre successivi numeri,  firmata addirittura da 800 intellettuali, tra i quali i nomi più rappresentativi della cultura italica; tale documento, tra l’altro, definiva il Commissario Luigi Calabresi “un torturatore”, accusandolo quale “responsabile della morte di Pinelli (coinvolto nelle indagini su Piazza Fontana)” e chiedeva di ricusare i “Commissari torturatori, i Magistrati persecutori, i Giudici indegni”, e ancora, così si scriveva su Lotta Continua del 6 giugno 1970: “…Dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito….. Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte….”. Una violenza, quella appunto della controinformazione, che meglio definirei disinformazione, che con i suoi veleni ideologici, ben accompagnati da molotov e “P/38”, negli anni successivi portò ai prodromi della Guerra Civile (anni ’77-’78) con il Caso Moro; anni che videro la morte violenta di Martiri della Legalità, quali Magistrati e appartenenti alle Forze dell’Ordine che, certamente, seppero fare barriera, con il proprio coraggio, equilibrio e senso dello Stato, ad un disordine voluto, praticato, provocato  e imposto, per motivi di destabilizzazione. Essi, furono servi dello Stato? Sicuramente no!; Servitori della legge?, certamente si’!! Concludo, invitando chi volesse saperne di più sull’argomento della disinformazione, a leggere un interessante libro di Aldo Giannuli “”BOMBE A INCHIOSTRO-Luci e ombre della Controinformazione tra il ’68 e gli anni di piombo”” BUR-Futuropassato, 2008, che racconta molto bene la guerra sotterranea e silenziosa tra le cosiddette fonti ufficiali dell’informazione e i molti rivoli della cosiddetta militanza democratica.

 

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