Oltre la propaganda, oltre la politica: c’è il silenzio della vita che ricomincia.
Siamo contenti della pace tra Israele e Palestina, oppure no? Ci siamo messi nei panni dei bambini di Gaza che non muoiono più, delle bombe che non esplodono più, delle madri che non piangono più i loro figli?
Perché tutto questo brusio, adesso che il rumore della guerra in Medio Oriente si è finalmente fermato?
Molti si nascondono dietro la demagogia, ma non c’è nulla di demagogico nel desiderare la fine del dolore. È demagogia quella che usa la pace Israele Palestina come strumento politico, non quella che la accoglie come dono.
Al di là di chi abbia annunciato l’accordo, in questo caso Donald Trump, ciò che conta è la realtà dei fatti: le bombe, a Gaza, non cadono più, e i bambini non muoiono più.
Questa è la verità più semplice, più umana, e anche la più grande. Ci si può interrogare su tutto: sui retroscena, sugli interessi, sui giochi di potere.
Ma la politica passa, la vita resta. E quando la vita rinasce, quando la paura cede il passo al silenzio, anche solo per un giorno, quello è il primo segno di pace autentica.
Non serve essere schierati per gioire del silenzio dopo le bombe. Non serve credere ai protagonisti, serve credere alle persone che da oggi potranno tornare a respirare.
La pace non è mai pura, mai perfetta. È fragile, incompleta, spesso manipolata. Ma ogni pace, anche la più discussa, è un passo verso la sopravvivenza, verso il diritto alla speranza.
E se davvero da oggi, tra Israele e Palestina, i bambini non muoiono più, allora sì: questa è la più grande vittoria possibile.
Perché non importa chi l’ha annunciata. Importa solo che qualcuno, stasera, potrà addormentarsi senza paura.
La politica divide, la vita unisce. E quando smettono di cadere le bombe, anche per un istante, la Terra ricomincia a respirare.
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